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Feb 6, 2019

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. 3 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 6 Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. 9 Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. 12 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, 15 guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. 18 Allor fu la paura un poco queta che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 21 E come quei che con lena affannata uscito fuor del pelago a la riva si volge a l’acqua perigliosa e guata, 24 così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. 27 Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 30 Letteratura italiana Einaudi 1 Dante Alighieri - Commedia Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; 33 e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. 36 Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino 39 mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle 42 l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. 45 Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. 48 Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, 51 questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. 54 E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutt’i suoi pensier piange e s’attrista; 57 tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace. 60 Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. 63 Quando vidi costui nel gran diserto, « Miserere di me», gridai a lui, «qual che tu sii, od ombra od omo certo!». 66 Letteratura italiana Einaudi 2 Dante Alighieri - Commedia Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patria ambedui. 69 Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72 Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ’l superbo Ilión fu combusto. 75 Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?». 78 «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?», rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81 «O de li altri poeti onore e lume vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore che m’ha fatto cercar lo tuo volume. 84 Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore; tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ha fatto onore. 87 Vedi la bestia per cu’ io mi volsi: aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi». 90 «A te convien tenere altro viaggio», rispuose poi che lagrimar mi vide, «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio: 93 ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96 e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99 Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro verrà, che la farà morir con doglia. 102 Letteratura italiana Einaudi 3 Dante Alighieri - Commedia Questi non ciberà terra né peltro, ma sapienza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105 Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108 Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla. 111 Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno, 114 ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida; 117 e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. 120 A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; 123 ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126 In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’alto seggio: oh felice colui cu’ ivi elegge!». 129 E io a lui: «Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch’io fugga questo male e peggio, 132 che tu mi meni là dov’or dicesti, sì ch’io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti». 135 Allor si mosse, e io li tenni dietro. Letteratura italiana Einaudi 4 Dante Alighieri - Commedia CANTO II Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno 3 m’apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. 6 O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. 9 Io cominciai: «Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12 Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. 15 Però, se l’avversario d’ogne male cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale, 18 non pare indegno ad omo d’intelletto; ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero ne l’empireo ciel per padre eletto: 21 la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u’ siede il successor del maggior Piero. 24 Per quest’andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. 27 Andovvi poi lo Vas d’elezione, per recarne conforto a quella fede ch’è principio a la via di salvazione. 30 Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33 Letteratura italiana Einaudi 5 Dante Alighieri - Commedia Per che, se del venire io m’abbandono, temo che la venuta non sia folle. Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36 E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che dal cominciar tutto si tolle, 39 tal mi fec’io ’n quella oscura costa, perché, pensando, consumai la ’mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta. 42 «S’i’ ho ben la parola tua intesa», rispuose del magnanimo quell’ombra; «l’anima tua è da viltade offesa; 45 la qual molte fiate l’omo ingombra sì che d’onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra. 48 Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi nel primo punto che di te mi dolve. 51 Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. 54 Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella: 57 “O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ’l mondo lontana, 60 l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che volt’è per paura; 63 e temo che non sia già sì smarrito, ch’io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66 Or movi, e con la tua parola ornata e con ciò c’ha mestieri al suo campare l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata. 69 Letteratura italiana Einaudi 6 Dante Alighieri - Commedia I’ son Beatrice che ti faccio andare; vegno del loco ove tornar disio; amor mi mosse, che mi fa parlare. 72 Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui”. Tacette allora, e poi comincia’ io: 75 “O donna di virtù, sola per cui l’umana spezie eccede ogne contento di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, 78 tanto m’aggrada il tuo comandamento, che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. 81 Ma dimmi la cagion che non ti guardi de lo scender qua giuso in questo centro de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. 84 “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, dirotti brievemente”, mi rispuose, “perch’io non temo di venir qua entro. 87 Temer si dee di sole quelle cose c’hanno potenza di fare altrui male; de l’altre no, ché non son paurose. 90 I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d’esto incendio non m’assale. 93 Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo ’mpedimento ov’io ti mando, sì che duro giudicio là sù frange. 96 Questa chiese Lucia in suo dimando e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele di te, e io a te lo raccomando –. 99 Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov’i’ era, che mi sedea con l’antica Rachele. 102 Disse: – Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? 105 Letteratura italiana Einaudi 7 Dante Alighieri - Commedia non odi tu la pieta del suo pianto? non vedi tu la morte che ’l combatte su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? – 108 Al mondo non fur mai persone ratte a far lor pro o a fuggir lor danno, com’io, dopo cotai parole fatte, 111 venni qua giù del mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto, ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”. 114 Poscia che m’ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse; per che mi fece del venir più presto; 117 e venni a te così com’ella volse; d’inanzi a quella fiera ti levai che del bel monte il corto andar ti tolse. 120 Dunque: che è? perché, perché restai? perché tanta viltà nel core allette? perché ardire e franchezza non hai? 123 poscia che tai tre donne benedette curan di te ne la corte del cielo, e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». 126 Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129 tal mi fec’io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch’i’ cominciai come persona franca: 132 «Oh pietosa colei che mi soccorse! e te cortese ch’ubidisti tosto a le vere parole che ti porse! 135 Tu m’hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue, ch’i’ son tornato nel primo proposto. 138 Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro». Così li dissi; e poi che mosso fue, 141 intrai per lo cammino alto e silvestro. Letteratura italiana Einaudi 8 Dante Alighieri - Commedia CANTO III «PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE, PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE, PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. 3 GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE: FECEMI LA DIVINA PODESTATE, LA SOMMA SAPIENZA E ’L PRIMO AMORE. 6 DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO. LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE». 9 Queste parole di colore oscuro vid’io scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». 12 Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. 15 Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto». 18 E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. 21 Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. 24 Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle 27 facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. 30 E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?». 33 Letteratura italiana Einaudi 9 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. 36 Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. 39 Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». 42 E io: «Maestro, che è tanto greve a lor, che lamentar li fa sì forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve. 45 Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte. 48 Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa». 51 E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta, che d’ogne posa mi parea indegna; 54 e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch’i’ non averei creduto che morte tanta n’avesse disfatta. 57 Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto. 60 Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui. 63 Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch’eran ivi. 66 Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. 69 Letteratura italiana Einaudi 10 Dante Alighieri - Commedia E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d’un gran fiume; per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi 72 ch’i’ sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com’io discerno per lo fioco lume». 75 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d’Acheronte». 78 Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no ’l mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi. 81 Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! 84 Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 87 E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90 disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti». 93 E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 96 Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 99 Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude. 102 Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti. 105 Letteratura italiana Einaudi 11 Dante Alighieri - Commedia Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme. 108 Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia. 111 Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, 114 similemente il mal seme d’Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo. 117 Così sen vanno su per l’onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s’auna. 120 «Figliuol mio», disse ’l maestro cortese, «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese: 123 e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio. 126 Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona». 129 Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. 132 La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento; 135 e caddi come l’uom cui sonno piglia. Letteratura italiana Einaudi 12 Dante Alighieri - Commedia CANTO IV Ruppemi l’alto sonno ne la testa un greve truono, sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta; 3 e l’occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov’io fossi. 6 Vero è che ’n su la proda mi trovai de la valle d’abisso dolorosa che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. 9 Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa. 12 «Or discendiam qua giù nel cieco mondo», cominciò il poeta tutto smorto. «Io sarò primo, e tu sarai secondo». 15 E io, che del color mi fui accorto, dissi: «Come verrò, se tu paventi che suoli al mio dubbiare esser conforto?». 18 Ed elli a me: «L’angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà che tu per tema senti. 21 Andiam, ché la via lunga ne sospigne». Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l’abisso cigne. 24 Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri, che l’aura etterna facevan tremare; 27 ciò avvenia di duol sanza martìri ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, d’infanti e di femmine e di viri. 30 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33 Letteratura italiana Einaudi 13 Dante Alighieri - Commedia ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi; 36 e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. 39 Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi, che sanza speme vivemo in disio». 42 Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, però che gente di molto valore conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. 45 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», comincia’ io per voler esser certo di quella fede che vince ogne errore: 48 «uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?». E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 51 rispuose: «Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. 54 Trasseci l’ombra del primo parente, d’Abèl suo figlio e quella di Noè, di Moisè legista e ubidente; 57 Abraàm patriarca e Davìd re, Israèl con lo padre e co’ suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé; 60 e altri molti, e feceli beati. E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati». 63 Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spiriti spessi. 66 Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno, quand’io vidi un foco ch’emisperio di tenebre vincia. 69 Letteratura italiana Einaudi 14 Dante Alighieri - Commedia Di lungi n’eravamo ancora un poco, ma non sì ch’io non discernessi in parte ch’orrevol gente possedea quel loco. 72 «O tu ch’onori scienzia e arte, questi chi son c’hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?». 75 E quelli a me: «L’onrata nominanza che di lor suona sù ne la tua vita, grazia acquista in ciel che sì li avanza». 78 Intanto voce fu per me udita: «Onorate l’altissimo poeta: l’ombra sua torna, ch’era dipartita». 81 Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand’ombre a noi venire: sembianz’avevan né trista né lieta. 84 Lo buon maestro cominciò a dire: «Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sì come sire: 87 quelli è Omero poeta sovrano; l’altro è Orazio satiro che vene; Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano. 90 Però che ciascun meco si convene nel nome che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene». 93 Così vid’i’ adunar la bella scola di quel segnor de l’altissimo canto che sovra li altri com’aquila vola. 96 Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno, e ’l mio maestro sorrise di tanto; 99 e più d’onore ancora assai mi fenno, ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. 102 Così andammo infino a la lumera, parlando cose che ’l tacere è bello, sì com’era ’l parlar colà dov’era. 105 Letteratura italiana Einaudi 15 Dante Alighieri - Commedia Venimmo al piè d’un nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura, difeso intorno d’un bel fiumicello. 108 Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. 111 Genti v’eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne’ lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. 114 Traemmoci così da l’un de’ canti, in loco aperto, luminoso e alto, sì che veder si potien tutti quanti. 117 Colà diritto, sovra ’l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni, che del vedere in me stesso m’essalto. 120 I’ vidi Eletra con molti compagni, tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, Cesare armato con li occhi grifagni. 123 Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l’altra parte, vidi ’l re Latino che con Lavina sua figlia sedea. 126 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia; e solo, in parte, vidi ’l Saladino. 129 Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, vidi ’l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. 132 Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’io Socrate e Platone, che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; 135 Democrito, che ’l mondo a caso pone, Diogenés, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; 138 e vidi il buono accoglitor del quale, Diascoride dico; e vidi Orfeo, Tulio e Lino e Seneca morale; 141 Letteratura italiana Einaudi 16 Dante Alighieri - Commedia Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galieno, Averoìs, che ’l gran comento feo. 144 Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. 147 La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l’aura che trema. 150 E vegno in parte ove non è che luca. Letteratura italiana Einaudi 17 Dante Alighieri - Commedia CANTO V Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che punge a guaio. 3 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia. 6 Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata 9 vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. 15 «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio, 18 «guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? 21 Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 24 Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. 27 Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. 30 La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. 33 Letteratura italiana Einaudi 18 Dante Alighieri - Commedia Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. 36 Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 39 E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali 42 di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. 45 E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, 48 ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?». 51 «La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle. 54 A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. 57 Ell’è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge. 60 L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussuriosa. 63 Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo. 66 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille. 69 Letteratura italiana Einaudi 19 Dante Alighieri - Commedia Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72 I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri». 75 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78 Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!». 81 Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate; 84 cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettuoso grido. 87 «O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90 se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 93 Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96 Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui. 99 Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 102 Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105 Letteratura italiana Einaudi 20 Dante Alighieri - Commedia Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. 108 Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». 111 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». 114 Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117 Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». 120 E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. 123 Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto dirò come colui che piange e dice. 126 Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129 Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132 Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, 135 la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». 138 Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse. 141 E caddi come corpo morto cade. Letteratura italiana Einaudi 21 Dante Alighieri - Commedia CANTO VI Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pietà d’i due cognati, che di trestizia tutto mi confuse, 3 novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch’io mi mova e ch’io mi volga, e come che io guati. 6 Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova. 9 Grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aere tenebroso si riversa; pute la terra che questo riceve. 12 Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. 15 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ’l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti, iscoia ed isquatra. 18 Urlar li fa la pioggia come cani; de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. 21 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo. 24 E ’l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne. 27 Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, e si racqueta poi che ’l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna, 30 cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che ’ntrona l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. 33 Letteratura italiana Einaudi 22 Dante Alighieri - Commedia Noi passavam su per l’ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante sovra lor vanità che par persona. 36 Elle giacean per terra tutte quante, fuor d’una ch’a seder si levò, ratto ch’ella ci vide passarsi davante. 39 «O tu che se’ per questo ’nferno tratto», mi disse, «riconoscimi, se sai: tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto». 42 E io a lui: «L’angoscia che tu hai forse ti tira fuor de la mia mente, sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. 45 Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente loco se’ messo e hai sì fatta pena, che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente». 48 Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. 51 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. 54 E io anima trista non son sola, ché tutte queste a simil pena stanno per simil colpa». E più non fé parola. 57 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno 60 li cittadin de la città partita; s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione per che l’ha tanta discordia assalita». 63 E quelli a me: «Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l’altra con molta offensione. 66 Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l’altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. 69 Letteratura italiana Einaudi 23 Dante Alighieri - Commedia Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l’altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n’aonti. 72 Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi». 75 Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni, e che di più parlar mi facci dono. 78 Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, 81 dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; ché gran disio mi stringe di savere se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca». 84 E quelli: «Ei son tra l’anime più nere: diverse colpe giù li grava al fondo: se tanto scendi, là i potrai vedere. 87 Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch’a la mente altrui mi rechi: più non ti dico e più non ti rispondo». 90 Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco, e poi chinò la testa: cadde con essa a par de li altri ciechi. 93 E ’l duca disse a me: «Più non si desta di qua dal suon de l’angelica tromba, quando verrà la nimica podesta: 96 ciascun rivederà la trista tomba, ripiglierà sua carne e sua figura, udirà quel ch’in etterno rimbomba». 99 Sì trapassammo per sozza mistura de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura; 102 per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti crescerann’ei dopo la gran sentenza, o fier minori, o saran sì cocenti?». 105 Letteratura italiana Einaudi 24 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza, che vuol, quanto la cosa è più perfetta, più senta il bene, e così la doglienza. 108 Tutto che questa gente maladetta in vera perfezion già mai non vada, di là più che di qua essere aspetta». 111 Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando più assai ch’i’ non ridico; venimmo al punto dove si digrada: 114 quivi trovammo Pluto, il gran nemico. Letteratura italiana Einaudi 25 Dante Alighieri - Commedia CANTO VII « Pape Satàn, pape Satàn aleppe! », cominciò Pluto con la voce chioccia; e quel savio gentil, che tutto seppe, 3 disse per confortarmi: «Non ti noccia la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, non ci torrà lo scender questa roccia». 6 Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia, e disse: «Taci, maladetto lupo! consuma dentro te con la tua rabbia. 9 Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi ne l’alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo». 12 Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca, tal cadde a terra la fiera crudele. 15 Così scendemmo ne la quarta lacca pigliando più de la dolente ripa che ’l mal de l’universo tutto insacca. 18 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa nove travaglie e pene quant’io viddi? e perché nostra colpa sì ne scipa? 21 Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa, così convien che qui la gente riddi. 24 Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa, e d’una parte e d’altra, con grand’urli, voltando pesi per forza di poppa. 27 Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lì si rivolgea ciascun, voltando a retro, gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?». 30 Così tornavan per lo cerchio tetro da ogne mano a l’opposito punto, gridandosi anche loro ontoso metro; 33 Letteratura italiana Einaudi 26 Dante Alighieri - Commedia poi si volgea ciascun, quand’era giunto, per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra. E io, ch’avea lo cor quasi compunto, 36 dissi: «Maestro mio, or mi dimostra che gente è questa, e se tutti fuor cherci questi chercuti a la sinistra nostra». 39 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci sì de la mente in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci. 42 Assai la voce lor chiaro l’abbaia quando vegnono a’ due punti del cerchio dove colpa contraria li dispaia. 45 Questi fuor cherci, che non han coperchio piloso al capo, e papi e cardinali, in cui usa avarizia il suo soperchio». 48 E io: «Maestro, tra questi cotali dovre’ io ben riconoscere alcuni che furo immondi di cotesti mali». 51 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni: la sconoscente vita che i fé sozzi ad ogne conoscenza or li fa bruni. 54 In etterno verranno a li due cozzi: questi resurgeranno del sepulcro col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi. 57 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa: qual ella sia, parole non ci appulcro. 60 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa d’i ben che son commessi a la fortuna, per che l’umana gente si rabbuffa; 63 ché tutto l’oro ch’è sotto la luna e che già fu, di quest’anime stanche non poterebbe farne posare una». 66 «Maestro mio», diss’io, «or mi dì anche: questa fortuna di che tu mi tocche, che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?». 69 Letteratura italiana Einaudi 27 Dante Alighieri - Commedia E quelli a me: «Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v’offende! Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche. 72 Colui lo cui saver tutto trascende, fece li cieli e diè lor chi conduce sì ch’ogne parte ad ogne parte splende, 75 distribuendo igualmente la luce. Similemente a li splendor mondani ordinò general ministra e duce 78 che permutasse a tempo li ben vani di gente in gente e d’uno in altro sangue, oltre la difension d’i senni umani; 81 per ch’una gente impera e l’altra langue, seguendo lo giudicio di costei, che è occulto come in erba l’angue. 84 Vostro saver non ha contasto a lei: questa provede, giudica, e persegue suo regno come il loro li altri dèi. 87 Le sue permutazion non hanno triegue; necessità la fa esser veloce; sì spesso vien chi vicenda consegue. 90 Quest’è colei ch’è tanto posta in croce pur da color che le dovrien dar lode, dandole biasmo a torto e mala voce; 93 ma ella s’è beata e ciò non ode: con l’altre prime creature lieta volve sua spera e beata si gode. 96 Or discendiamo omai a maggior pieta; già ogne stella cade che saliva quand’io mi mossi, e ’l troppo star si vieta». 99 Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva sovr’una fonte che bolle e riversa per un fossato che da lei deriva. 102 L’acqua era buia assai più che persa; e noi, in compagnia de l’onde bige, intrammo giù per una via diversa. 105 In la palude va c’ha nome Stige Letteratura italiana Einaudi 28 Dante Alighieri - Commedia questo tristo ruscel, quand’è disceso al piè de le maligne piagge grige. 108 E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. 111 Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi, troncandosi co’ denti a brano a brano. 114 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira; e anche vo’ che tu per certo credi 117 che sotto l’acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest’acqua al summo, come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira. 120 Fitti nel limo, dicon: “Tristi fummo ne l’aere dolce che dal sol s’allegra, portando dentro accidioso fummo: 123 or ci attristiam ne la belletta negra”. Quest’inno si gorgoglian ne la strozza, ché dir nol posson con parola integra». 126 Così girammo de la lorda pozza grand’arco tra la ripa secca e ’l mézzo, con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. 129 Venimmo al piè d’una torre al da sezzo. Letteratura italiana Einaudi 29 Dante Alighieri - Commedia CANTO VIII Io dico, seguitando, ch’assai prima che noi fossimo al piè de l’alta torre, li occhi nostri n’andar suso a la cima 3 per due fiammette che i vedemmo porre e un’altra da lungi render cenno tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre. 6 E io mi volsi al mar di tutto ’l senno; dissi: «Questo che dice? e che risponde quell’altro foco? e chi son quei che ’l fenno?». 9 Ed elli a me: «Su per le sucide onde già scorgere puoi quello che s’aspetta, se ’l fummo del pantan nol ti nasconde». 12 Corda non pinse mai da sé saetta che sì corresse via per l’aere snella, com’io vidi una nave piccioletta 15 venir per l’acqua verso noi in quella, sotto ’l governo d’un sol galeoto, che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!». 18 «Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto», disse lo mio segnore «a questa volta: più non ci avrai che sol passando il loto». 21 Qual è colui che grande inganno ascolta che li sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs ne l’ira accolta. 24 Lo duca mio discese ne la barca, e poi mi fece intrare appresso lui; e sol quand’io fui dentro parve carca. 27 Tosto che ’l duca e io nel legno fui, segando se ne va l’antica prora de l’acqua più che non suol con altrui. 30 Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?». 33 Letteratura italiana Einaudi 30 Dante Alighieri - Commedia E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango; ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?». Rispuose: «Vedi che son un che piango». 36 E io a lui: «Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto». 39 Allor distese al legno ambo le mani; per che ’l maestro accorto lo sospinse, dicendo: «Via costà con li altri cani!». 42 Lo collo poi con le braccia mi cinse; basciommi ’l volto, e disse: «Alma sdegnosa, benedetta colei che ’n te s’incinse! 45 Quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi: così s’è l’ombra sua qui furiosa. 48 Quanti si tegnon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi!». 51 E io: «Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda prima che noi uscissimo del lago». 54 Ed elli a me: «Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disio convien che tu goda». 57 Dopo ciò poco vid’io quello strazio far di costui a le fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 60 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»; e ’l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co’ denti. 63 Quivi il lasciammo, che più non ne narro; ma ne l’orecchie mi percosse un duolo, per ch’io avante l’occhio intento sbarro. 66 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, s’appressa la città c’ha nome Dite, coi gravi cittadin, col grande stuolo». 69 Letteratura italiana Einaudi 31 Dante Alighieri - Commedia E io: «Maestro, già le sue meschite là entro certe ne la valle cerno, vermiglie come se di foco uscite 72 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno ch’entro l’affoca le dimostra rosse, come tu vedi in questo basso inferno». 75 Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse che vallan quella terra sconsolata: le mura mi parean che ferro fosse. 78 Non sanza prima far grande aggirata, venimmo in parte dove il nocchier forte «Usciteci», gridò: «qui è l’intrata». 81 Io vidi più di mille in su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente dicean: «Chi è costui che sanza morte 84 va per lo regno de la morta gente?». E ’l savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente. 87 Allor chiusero un poco il gran disdegno, e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada, che sì ardito intrò per questo regno. 90 Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai che li ha’ iscorta sì buia contrada». 93 Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon de le parole maladette, ché non credetti ritornarci mai. 96 «O caro duca mio, che più di sette volte m’hai sicurtà renduta e tratto d’alto periglio che ’ncontra mi stette, 99 non mi lasciar», diss’io, «così disfatto; e se ’l passar più oltre ci è negato, ritroviam l’orme nostre insieme ratto». 102 E quel segnor che lì m’avea menato, mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato. 105 Letteratura italiana Einaudi 32 Dante Alighieri - Commedia Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso conforta e ciba di speranza buona, ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso». 108 Così sen va, e quivi m’abbandona lo dolce padre, e io rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona. 111 Udir non potti quello ch’a lor porse; ma ei non stette là con essi guari, che ciascun dentro a pruova si ricorse. 114 Chiuser le porte que’ nostri avversari nel petto al mio segnor, che fuor rimase, e rivolsesi a me con passi rari. 117 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri: «Chi m’ha negate le dolenti case!». 120 E a me disse: «Tu, perch’io m’adiri, non sbigottir, ch’io vincerò la prova, qual ch’a la difension dentro s’aggiri. 123 Questa lor tracotanza non è nova; ché già l’usaro a men segreta porta, la qual sanza serrame ancor si trova. 126 Sovr’essa vedestù la scritta morta: e già di qua da lei discende l’erta, passando per li cerchi sanza scorta, 129 tal che per lui ne fia la terra aperta». Letteratura italiana Einaudi 33 Dante Alighieri - Commedia CANTO IX Quel color che viltà di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta, più tosto dentro il suo novo ristrinse. 3 Attento si fermò com’uom ch’ascolta; ché l’occhio nol potea menare a lunga per l’aere nero e per la nebbia folta. 6 «Pur a noi converrà vincer la punga», cominciò el, «se non... Tal ne s’offerse. Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!». 9 I’ vidi ben sì com’ei ricoperse lo cominciar con l’altro che poi venne, che fur parole a le prime diverse; 12 ma nondimen paura il suo dir dienne, perch’io traeva la parola tronca forse a peggior sentenzia che non tenne. 15 «In questo fondo de la trista conca discende mai alcun del primo grado, che sol per pena ha la speranza cionca?». 18 Questa question fec’io; e quei «Di rado incontra», mi rispuose, «che di noi faccia il cammino alcun per qual io vado. 21 Ver è ch’altra fiata qua giù fui, congiurato da quella Eritón cruda che richiamava l’ombre a’ corpi sui. 24 Di poco era di me la carne nuda, ch’ella mi fece intrar dentr’a quel muro, per trarne un spirto del cerchio di Giuda. 27 Quell’è ’l più basso loco e ’l più oscuro, e ’l più lontan dal ciel che tutto gira: ben so ’l cammin; però ti fa sicuro. 30 Questa palude che ’l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente, u’ non potemo intrare omai sanz’ira». 33 Letteratura italiana Einaudi 34 Dante Alighieri - Commedia E altro disse, ma non l’ho a mente; però che l’occhio m’avea tutto tratto ver’ l’alta torre a la cima rovente, 36 dove in un punto furon dritte ratto tre furie infernal di sangue tinte, che membra feminine avieno e atto, 39 e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine, onde le fiere tempie erano avvinte. 42 E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l’etterno pianto, «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. 45 Quest’è Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro è Aletto; Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. 48 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; battiensi a palme, e gridavan sì alto, ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. 51 «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso; «mal non vengiammo in Teseo l’assalto». 54 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso». 57 Così disse ’l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. 60 O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani. 63 E già venia su per le torbide onde un fracasso d’un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde, 66 non altrimenti fatto che d’un vento impetuoso per li avversi ardori, che fier la selva e sanz’alcun rattento 69 Letteratura italiana Einaudi 35 Dante Alighieri - Commedia li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori. 72 i occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica per indi ove quel fummo è più acerbo». 75 Come le rane innanzi a la nimica biscia per l’acqua si dileguan tutte, fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, 78 vid’io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch’al passo passava Stige con le piante asciutte. 81 Dal volto rimovea quell’aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso; e sol di quell’angoscia parea lasso. 84 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. 87 Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta, e con una verghetta l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. 90 «O cacciati del ciel, gente dispetta», cominciò elli in su l’orribil soglia, «ond’esta oltracotanza in voi s’alletta? 93 Perché recalcitrate a quella voglia a cui non puote il fin mai esser mozzo, e che più volte v’ha cresciuta doglia? 96 Che giova ne le fata dar di cozzo? Cerbero vostro, se ben vi ricorda, ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo». 99 Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé motto a noi, ma fé sembiante d’omo cui altra cura stringa e morda 102 che quella di colui che li è davante; e noi movemmo i piedi inver’ la terra, sicuri appresso le parole sante. 105 Letteratura italiana Einaudi 36 Dante Alighieri - Commedia Dentro li ’ntrammo sanz’alcuna guerra; e io, ch’avea di riguardar disio la condizion che tal fortezza serra, 108 com’io fui dentro, l’occhio intorno invio; e veggio ad ogne man grande campagna piena di duolo e di tormento rio. 111 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna, 114 fanno i sepulcri tutt’il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte, salvo che ’l modo v’era più amaro; 117 ché tra gli avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi, che ferro più non chiede verun’arte. 120 Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan sì duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi. 123 E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell’arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?». 126 Ed elli a me: «Qui son li eresiarche con lor seguaci, d’ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche. 129 Simile qui con simile è sepolto, e i monimenti son più e men caldi». E poi ch’a la man destra si fu vòlto, 132 passammo tra i martiri e li alti spaldi. Letteratura italiana Einaudi 37 Dante Alighieri - Commedia CANTO X Ora sen va per un secreto calle, tra ’l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3 «O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com’a te piace, parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 6 La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt’i coperchi, e nessun guardia face». 9 E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati. 12 Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno. 15 Però a la dimanda che mi faci quinc’entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci». 18 E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». 21 «O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. 24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patria natio a la qual forse fui troppo molesto». 27 Subitamente questo suono uscìo d’una de l’arche; però m’accostai, temendo, un poco più al duca mio. 30 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto: da la cintola in sù tutto ’l vedrai». 33 Letteratura italiana Einaudi 38 Dante Alighieri - Commedia Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36 E l’animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: «Le parole tue sien conte». 39 Com’io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 42 Io ch’era d’ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel’apersi; ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45 poi disse: «Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fiate li dispersi». 48 «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata; ma i vostri non appreser ben quell’arte». 51 Allor surse a la vista scoperchiata un’ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s’era in ginocchie levata. 54 Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco; e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 57 piangendo disse: «Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’è? e perché non è teco?». 60 E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui ch’attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». 63 Le sue parole e ’l modo de la pena m’avean di costui già letto il nome; però fu la risposta così piena. 66 Di subito drizzato gridò: «Come? dicesti “elli ebbe”? non viv’elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». 69 Letteratura italiana Einaudi 39 Dante Alighieri - Commedia Quando s’accorse d’alcuna dimora ch’io facea dinanzi a la risposta, supin ricadde e più non parve fora. 72 Ma quell’altro magnanimo, a cui posta restato m’era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa: 75 e sé continuando al primo detto, «S’elli han quell’arte», disse, «male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto. 78 Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81 E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?». 84 Ond’io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio». 87 Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, «A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo sanza cagion con li altri sarei mosso. 90 Ma fu’ io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto». 93 «Deh, se riposi mai vostra semenza», prega’ io lui, «solvetemi quel nodo che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96 El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo». 99 «Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose», disse, «che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102 Quando s’appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. 105 Letteratura italiana Einaudi 40 Dante Alighieri - Commedia Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta». 108 Allor, come di mia colpa compunto, dissi: «Or direte dunque a quel caduto che ’l suo nato è co’vivi ancor congiunto; 111 e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che ’l fei perché pensava già ne l’error che m’avete soluto». 114 E già ’l maestro mio mi richiamava; per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu’ istava. 117 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: qua dentro è ’l secondo Federico, e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio». 120 Indi s’ascose; e io inver’ l’antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar che mi parea nemico. 123 Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?». E io li sodisfeci al suo dimando. 126 «La mente tua conservi quel ch’udito hai contra te», mi comandò quel saggio. «E ora attendi qui», e drizzò ’l dito: 129 «quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell’occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il viaggio». 132 Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo per un sentier ch’a una valle fiede, 135 che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo. Letteratura italiana Einaudi 41 Dante Alighieri - Commedia CANTO XI In su l’estremità d’un’alta ripa che facevan gran pietre rotte in cerchio venimmo sopra più crudele stipa; 3 e quivi, per l’orribile soperchio del puzzo che ’l profondo abisso gitta, ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio 6 d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta che dicea: «Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin de la via dritta». 9 «Lo nostro scender conviene esser tardo, sì che s’ausi un poco in prima il senso al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». 12 Così ’l maestro; e io «Alcun compenso», dissi lui, «trova che ’l tempo non passi perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». 15 «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi», cominciò poi a dir, «son tre cerchietti di grado in grado, come que’ che lassi. 18 Tutti son pien di spirti maladetti; ma perché poi ti basti pur la vista, intendi come e perché son costretti. 21 D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista, ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale o con forza o con frode altrui contrista. 24 Ma perché frode è de l’uom proprio male, più spiace a Dio; e però stan di sotto li frodolenti, e più dolor li assale. 27 Di violenti il primo cerchio è tutto; ma perché si fa forza a tre persone, in tre gironi è distinto e costrutto. 30 A Dio, a sé, al prossimo si pòne far forza, dico in loro e in lor cose, come udirai con aperta ragione. 33 Letteratura italiana Einaudi 42 Dante Alighieri - Commedia Morte per forza e ferute dogliose nel prossimo si danno, e nel suo avere ruine, incendi e tollette dannose; 36 onde omicide e ciascun che mal fiere, guastatori e predon, tutti tormenta lo giron primo per diverse schiere. 39 Puote omo avere in sé man violenta e ne’ suoi beni; e però nel secondo giron convien che sanza pro si penta 42 qualunque priva sé del vostro mondo, biscazza e fonde la sua facultade, e piange là dov’esser de’ giocondo. 45 Puossi far forza nella deitade, col cor negando e bestemmiando quella, e spregiando natura e sua bontade; 48 e però lo minor giron suggella del segno suo e Soddoma e Caorsa e chi, spregiando Dio col cor, favella. 51 La frode, ond’ogne coscienza è morsa, può l’omo usare in colui che ’n lui fida e in quel che fidanza non imborsa. 54 Questo modo di retro par ch’incida pur lo vinco d’amor che fa natura; onde nel cerchio secondo s’annida 57 ipocresia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia, ruffian, baratti e simile lordura. 60 Per l’altro modo quell’amor s’oblia che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto, di che la fede spezial si cria; 63 onde nel cerchio minore, ov’è ’l punto de l’universo in su che Dite siede, qualunque trade in etterno è consunto». 66 E io: «Maestro, assai chiara procede la tua ragione, e assai ben distingue questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. 69 Letteratura italiana Einaudi 43 Dante Alighieri - Commedia Ma dimmi: quei de la palude pingue, che mena il vento, e che batte la pioggia, e che s’incontran con sì aspre lingue, 72 perché non dentro da la città roggia sono ei puniti, se Dio li ha in ira? e se non li ha, perché sono a tal foggia?». 75 Ed elli a me «Perché tanto delira», disse «lo ’ngegno tuo da quel che sòle? o ver la mente dove altrove mira? 78 Non ti rimembra di quelle parole con le quai la tua Etica pertratta le tre disposizion che ’l ciel non vole, 81 incontenenza, malizia e la matta bestialitade? e come incontenenza men Dio offende e men biasimo accatta? 84 Se tu riguardi ben questa sentenza, e rechiti a la mente chi son quelli che sù di fuor sostegnon penitenza, 87 tu vedrai ben perché da questi felli sien dipartiti, e perché men crucciata la divina vendetta li martelli». 90 «O sol che sani ogni vista turbata, tu mi contenti sì quando tu solvi, che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. 93 Ancora in dietro un poco ti rivolvi», diss’io, «là dove di’ ch’usura offende la divina bontade, e ’l groppo solvi». 96 «Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende, nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende 99 dal divino ’ntelletto e da sua arte; e se tu ben la tua Fisica note, tu troverai, non dopo molte carte, 102 che l’arte vostra quella, quanto pote, segue, come ’l maestro fa ’l discente; sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote. 105 Letteratura italiana Einaudi 44 Dante Alighieri - Commedia Da queste due, se tu ti rechi a mente lo Genesì dal principio, convene prender sua vita e avanzar la gente; 108 e perché l’usuriere altra via tene, per sé natura e per la sua seguace dispregia, poi ch’in altro pon la spene. 111 Ma seguimi oramai, che ’l gir mi piace; ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta, e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, 114 e ’l balzo via là oltra si dismonta». Letteratura italiana Einaudi 45 Dante Alighieri - Commedia CANTO XII Era lo loco ov’a scender la riva venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco, tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva. 3 Qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l’Adice percosse, o per tremoto o per sostegno manco, 6 che da cima del monte, onde si mosse, al piano è sì la roccia discoscesa, ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse: 9 cotal di quel burrato era la scesa; e ’n su la punta de la rotta lacca l’infamia di Creti era distesa 12 che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse, sì come quei cui l’ira dentro fiacca. 15 Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse tu credi che qui sia ’l duca d’Atene, che sù nel mondo la morte ti porse? 18 Pàrtiti, bestia: ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella, ma vassi per veder le vostre pene». 21 Qual è quel toro che si slaccia in quella c’ha ricevuto già ’l colpo mortale, che gir non sa, ma qua e là saltella, 24 vid’io lo Minotauro far cotale; e quello accorto gridò: «Corri al varco: mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale». 27 Così prendemmo via giù per lo scarco di quelle pietre, che spesso moviensi sotto i miei piedi per lo novo carco. 30 Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi forse a questa ruina ch’è guardata da quell’ira bestial ch’i’ ora spensi. 33 Letteratura italiana Einaudi 46 Dante Alighieri - Commedia Or vo’ che sappi che l’altra fiata ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno, questa roccia non era ancor cascata. 36 Ma certo poco pria, se ben discerno, che venisse colui che la gran preda levò a Dite del cerchio superno, 39 da tutte parti l’alta valle feda tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo sentisse amor, per lo qual è chi creda 42 più volte il mondo in caòsso converso; e in quel punto questa vecchia roccia qui e altrove, tal fece riverso. 45 Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia la riviera del sangue in la qual bolle qual che per violenza in altrui noccia». 48 Oh cieca cupidigia e ira folle, che sì ci sproni ne la vita corta, e ne l’etterna poi sì mal c’immolle! 51 Io vidi un’ampia fossa in arco torta, come quella che tutto ’l piano abbraccia, secondo ch’avea detto la mia scorta; 54 e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia corrien centauri, armati di saette, come solien nel mondo andare a caccia. 57 Veggendoci calar, ciascun ristette, e de la schiera tre si dipartiro con archi e asticciuole prima elette; 60 e l’un gridò da lungi: «A qual martiro venite voi che scendete la costa? Ditel costinci; se non, l’arco tiro». 63 Lo mio maestro disse: «La risposta farem noi a Chirón costà di presso: mal fu la voglia tua sempre sì tosta». 66 Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso, che morì per la bella Deianira e fé di sé la vendetta elli stesso. 69 Letteratura italiana Einaudi 47 Dante Alighieri - Commedia E quel di mezzo, ch’al petto si mira, è il gran Chirón, il qual nodrì Achille; quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira. 72 Dintorno al fosso vanno a mille a mille, saettando qual anima si svelle del sangue più che sua colpa sortille». 75 Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: Chirón prese uno strale, e con la cocca fece la barba in dietro a le mascelle. 78 Quando s’ebbe scoperta la gran bocca, disse a’ compagni: «Siete voi accorti che quel di retro move ciò ch’el tocca? 81 Così non soglion far li piè d’i morti». E ’l mio buon duca, che già li er’al petto, dove le due nature son consorti, 84 rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto mostrar li mi convien la valle buia; necessità ’l ci ’nduce, e non diletto. 87 Tal si partì da cantare alleluia che mi commise quest’officio novo: non è ladron, né io anima fuia. 90 Ma per quella virtù per cu’ io movo li passi miei per sì selvaggia strada, danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, 93 e che ne mostri là dove si guada e che porti costui in su la groppa, ché non è spirto che per l’aere vada». 96 Chirón si volse in su la destra poppa, e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida, e fa cansar s’altra schiera v’intoppa». 99 Or ci movemmo con la scorta fida lungo la proda del bollor vermiglio, dove i bolliti facieno alte strida. 102 Io vidi gente sotto infino al ciglio; e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni che dier nel sangue e ne l’aver di piglio. 105 Letteratura italiana Einaudi 48 Dante Alighieri - Commedia Quivi si piangon li spietati danni; quivi è Alessandro, e Dionisio fero, che fé Cicilia aver dolorosi anni. 108 E quella fronte c’ha ’l pel così nero, è Azzolino; e quell’altro ch’è biondo, è Opizzo da Esti, il qual per vero 111 fu spento dal figliastro sù nel mondo». Allor mi volsi al poeta, e quei disse: «Questi ti sia or primo, e io secondo». 114 Poco più oltre il centauro s’affisse sovr’una gente che ’nfino a la gola parea che di quel bulicame uscisse. 117 Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola». 120 Poi vidi gente che di fuor del rio tenean la testa e ancor tutto ’l casso; e di costoro assai riconobb’io. 123 Così a più a più si facea basso quel sangue, sì che cocea pur li piedi; e quindi fu del fosso il nostro passo. 126 «Sì come tu da questa parte vedi lo bulicame che sempre si scema», disse ’l centauro, «voglio che tu credi 129 che da quest’altra a più a più giù prema lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge ove la tirannia convien che gema. 132 La divina giustizia di qua punge quell’Attila che fu flagello in terra e Pirro e Sesto; e in etterno munge 135 le lagrime, che col bollor diserra, a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, che fecero a le strade tanta guerra». 138 Poi si rivolse, e ripassossi ’l guazzo. Letteratura italiana Einaudi 49 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIII Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 3 Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco: 6 non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che ’n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9 Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. 12 Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. 15 E ’l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se’ nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre 18 che tu verrai ne l’orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone». 21 Io sentia d’ogne parte trarre guai, e non vedea persona che ’l facesse; per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24 Cred’io ch’ei credette ch’io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi da gente che per noi si nascondesse. 27 Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d’una d’este piante, li pensier c’hai si faran tutti monchi». 30 Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 33 Letteratura italiana Einaudi 50 Dante Alighieri - Commedia Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? 36 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». 39 Come d’un stizzo verde ch’arso sia da l’un de’capi, che da l’altro geme e cigola per vento che va via, 42 sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond’io lasciai la cima cadere, e stetti come l’uom che teme. 45 «S’elli avesse potuto creder prima», rispuose ’l savio mio, «anima lesa, ciò c’ha veduto pur con la mia rima, 48 non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51 Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece». 54 E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi, ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi perch’io un poco a ragionar m’inveschi. 57 Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi, 60 che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63 La meretrice che mai da l’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, 66 infiammò contra me li animi tutti; e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69 Letteratura italiana Einaudi 51 Dante Alighieri - Commedia L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 72 Per le nove radici d’esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che ’nvidia le diede». 78 Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». 81 Ond’io a lui: «Domandal tu ancora di quel che credi ch’a me satisfaccia; ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». 84 Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia liberamente ciò che ’l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87 di dirne come l’anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s’alcuna mai di tai membra si spiega». 90 Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce: «Brievemente sarà risposto a voi. 93 Quando si parte l’anima feroce dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta, Minòs la manda a la settima foce. 96 Cade in la selva, e non l’è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta. 99 Surge in vermena e in pianta silvestra: l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, fanno dolore, e al dolor fenestra. 102 Come l’altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch’alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 105 Letteratura italiana Einaudi 52 Dante Alighieri - Commedia Qui le trascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». 108 Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch’altro ne volesse dire, quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111 similemente a colui che venire sente ’l porco e la caccia a la sua posta, ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114 Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte, che de la selva rompieno ogni rosta. 117 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!». E l’altro, cui pareva tardar troppo, gridava: «Lano, sì non furo accorte 120 le gambe tue a le giostre dal Toppo!». E poi che forse li fallia la lena, di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123 Di rietro a loro era la selva piena di nere cagne, bramose e correnti come veltri ch’uscisser di catena. 126 In quel che s’appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti. 129 Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea, per le rotture sanguinenti in vano. 132 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, che t’è giovato di me fare schermo? che colpa ho io de la tua vita rea?». 135 Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo, disse «Chi fosti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo?». 138 Ed elli a noi: «O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141 Letteratura italiana Einaudi 53 Dante Alighieri - Commedia raccoglietele al piè del tristo cesto. I’ fui de la città che nel Batista mutò il primo padrone; ond’ei per questo 144 sempre con l’arte sua la farà trista; e se non fosse che ’n sul passo d’Arno rimane ancor di lui alcuna vista, 147 que’ cittadin che poi la rifondarno sovra ’l cener che d’Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno. 150 Io fei gibbetto a me de le mie case». Letteratura italiana Einaudi 54 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIV Poi che la carità del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte, e rende’le a colui, ch’era già fioco. 3 Indi venimmo al fine ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove si vede di giustizia orribil arte. 6 A ben manifestar le cose nove, dico che arrivammo ad una landa che dal suo letto ogne pianta rimove. 9 La dolorosa selva l’è ghirlanda intorno, come ’l fosso tristo ad essa: quivi fermammo i passi a randa a randa. 12 Lo spazzo era una rena arida e spessa, non d’altra foggia fatta che colei che fu da’ piè di Caton già soppressa. 15 O vendetta di Dio, quanto tu dei esser temuta da ciascun che legge ciò che fu manifesto a li occhi miei! 18 D’anime nude vidi molte gregge che piangean tutte assai miseramente, e parea posta lor diversa legge. 21 Supin giacea in terra alcuna gente, alcuna si sedea tutta raccolta, e altra andava continuamente. 24 Quella che giva intorno era più molta, e quella men che giacea al tormento, ma più al duolo avea la lingua sciolta. 27 Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento, piovean di foco dilatate falde, come di neve in alpe sanza vento. 30 Quali Alessandro in quelle parti calde d’India vide sopra ’l suo stuolo fiamme cadere infino a terra salde, 33 Letteratura italiana Einaudi 55 Dante Alighieri - Commedia per ch’ei provide a scalpitar lo suolo con le sue schiere, acciò che lo vapore mei si stingueva mentre ch’era solo: 36 tale scendeva l’etternale ardore; onde la rena s’accendea, com’esca sotto focile, a doppiar lo dolore. 39 Sanza riposo mai era la tresca de le misere mani, or quindi or quinci escotendo da sé l’arsura fresca. 42 I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci tutte le cose, fuor che ’ demon duri ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci, 45 chi è quel grande che non par che curi lo ’ncendio e giace dispettoso e torto, sì che la pioggia non par che ’l marturi?». 48 E quel medesmo, che si fu accorto ch’io domandava il mio duca di lui, gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto. 51 Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui crucciato prese la folgore aguta onde l’ultimo dì percosso fui; 54 o s’elli stanchi li altri a muta a muta in Mongibello a la focina negra, chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”, 57 sì com’el fece a la pugna di Flegra, e me saetti con tutta sua forza, non ne potrebbe aver vendetta allegra». 60 Allora il duca mio parlò di forza tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito: «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza 63 la tua superbia, se’ tu più punito: nullo martiro, fuor che la tua rabbia, sarebbe al tuo furor dolor compito». 66 Poi si rivolse a me con miglior labbia dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia 69 Letteratura italiana Einaudi 56 Dante Alighieri - Commedia Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi; ma, com’io dissi lui, li suoi dispetti sono al suo petto assai debiti fregi. 72 Or mi vien dietro, e guarda che non metti, ancor, li piedi ne la rena arsiccia; ma sempre al bosco tien li piedi stretti». 75 Tacendo divenimmo là ’ve spiccia fuor de la selva un picciol fiumicello, lo cui rossore ancor mi raccapriccia. 78 Quale del Bulicame esce ruscello che parton poi tra lor le peccatrici, tal per la rena giù sen giva quello. 81 Lo fondo suo e ambo le pendici fatt’era ’n pietra, e ’ margini dallato; per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici. 84 «Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato, poscia che noi intrammo per la porta lo cui sogliare a nessuno è negato, 87 cosa non fu da li tuoi occhi scorta notabile com’è ’l presente rio, che sovra sé tutte fiammelle ammorta». 90 Queste parole fuor del duca mio; per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto di cui largito m’avea il disio. 93 «In mezzo mar siede un paese guasto», diss’elli allora, «che s’appella Creta, sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. 96 Una montagna v’è che già fu lieta d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida: or è diserta come cosa vieta. 99 Rea la scelse già per cuna fida del suo figliuolo, e per celarlo meglio, quando piangea, vi facea far le grida. 102 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, che tien volte le spalle inver’ Dammiata e Roma guarda come suo speglio. 105 Letteratura italiana Einaudi 57 Dante Alighieri - Commedia La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e ’l petto, poi è di rame infino a la forcata; 108 da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che ’l destro piede è terra cotta; e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto. 111 Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta d’una fessura che lagrime goccia, le quali, accolte, foran quella grotta. 114 Lor corso in questa valle si diroccia: fanno Acheronte, Stige e Flegetonta; poi sen van giù per questa stretta doccia 117 infin, là ove più non si dismonta fanno Cocito; e qual sia quello stagno tu lo vedrai, però qui non si conta». 120 E io a lui: «Se ’l presente rigagno si diriva così dal nostro mondo, perché ci appar pur a questo vivagno?». 123 Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo; e tutto che tu sie venuto molto, pur a sinistra, giù calando al fondo, 126 non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto: per che, se cosa n’apparisce nova, non de’ addur maraviglia al tuo volto». 129 E io ancor: «Maestro, ove si trova Flegetonta e Letè? ché de l’un taci, e l’altro di’ che si fa d’esta piova». 132 «In tutte tue question certo mi piaci», rispuose; «ma ’l bollor de l’acqua rossa dovea ben solver l’una che tu faci. 135 Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, là dove vanno l’anime a lavarsi quando la colpa pentuta è rimossa». 138 Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi dal bosco; fa che di retro a me vegne: li margini fan via, che non son arsi, 141 e sopra loro ogne vapor si spegne». Letteratura italiana Einaudi 58 Dante Alighieri - Commedia CANTO XV Ora cen porta l’un de’ duri margini; e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l’acqua e li argini. 3 Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo ’l fiotto che ’nver lor s’avventa, fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; 6 e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta: 9 a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro felli. 12 Già eravam da la selva rimossi tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era, perch’io in dietro rivolto mi fossi, 15 quando incontrammo d’anime una schiera che venìan lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera 18 guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. 21 Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!». 24 E io, quando ’l suo braccio a me distese, ficcai li occhi per lo cotto aspetto, sì che ’l viso abbrusciato non difese 27 la conoscenza sua al mio ’ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?». 30 E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia». 33 Letteratura italiana Einaudi 59 Dante Alighieri - Commedia I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m’asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco». 36 «O figliuol», disse, «qual di questa greggia s’arresta punto, giace poi cent’anni sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia. 39 Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi etterni danni». 42 I’ non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’uom che reverente vada. 45 El cominciò: «Qual fortuna o destino anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? e chi è questi che mostra ’l cammino?». 48 «Là sù di sopra, in la vita serena», rispuos’io lui, «mi smarri’ in una valle, avanti che l’età mia fosse piena. 51 Pur ier mattina le volsi le spalle: questi m’apparve, tornand’io in quella, e reducemi a ca per questo calle». 54 Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m’accorsi ne la vita bella; 57 e s’io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno, dato t’avrei a l’opera conforto. 60 Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno, 63 ti si farà, per tuo ben far, nimico: ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico. 66 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent’è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. 69 Letteratura italiana Einaudi 60 Dante Alighieri - Commedia La tua fortuna tanto onor ti serba, che l’una parte e l’altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l’erba. 72 Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s’alcuna surge ancora in lor letame, 75 in cui riviva la sementa santa di que’ Roman che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta». 78 «Se fosse tutto pieno il mio dimando», rispuos’io lui, «voi non sareste ancora de l’umana natura posto in bando; 81 ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora 84 m’insegnavate come l’uom s’etterna: e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo convien che ne la mia lingua si scerna. 87 Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s’a lei arrivo. 90 Tanto vogl’io che vi sia manifesto, pur che mia coscienza non mi garra, che a la Fortuna, come vuol, son presto. 93 Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota come le piace, e ’l villan la sua marra». 96 Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse in dietro, e riguardommi; poi disse: «Bene ascolta chi la nota». 99 Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono li suoi compagni più noti e più sommi. 102 Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci, ché ’l tempo sarìa corto a tanto suono. 105 Letteratura italiana Einaudi 61 Dante Alighieri - Commedia In somma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama, d’un peccato medesmo al mondo lerci. 108 Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d’Accorso anche; e vedervi, s’avessi avuto di tal tigna brama, 111 colui potei che dal servo de’ servi fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi. 114 Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone più lungo esser non può, però ch’i’ veggio là surger nuovo fummo del sabbione. 117 Gente vien con la quale esser non deggio. Sieti raccomandato il mio Tesoro nel qual io vivo ancora, e più non cheggio». 120 Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro 123 quelli che vince, non colui che perde. Letteratura italiana Einaudi 62 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVI Già era in loco onde s’udìa ’l rimbombo de l’acqua che cadea ne l’altro giro, simile a quel che l’arnie fanno rombo, 3 quando tre ombre insieme si partiro, correndo, d’una torma che passava sotto la pioggia de l’aspro martiro. 6 Venian ver noi, e ciascuna gridava: «Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri esser alcun di nostra terra prava». 9 Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri ricenti e vecchie, da le fiamme incese! Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri. 12 A le lor grida il mio dottor s’attese; volse ’l viso ver me, e: «Or aspetta», disse «a costor si vuole esser cortese. 15 E se non fosse il foco che saetta la natura del loco, i’ dicerei che meglio stesse a te che a lor la fretta». 18 Ricominciar, come noi restammo, ei l’antico verso; e quando a noi fuor giunti, fenno una rota di sé tutti e trei. 21 Qual sogliono i campion far nudi e unti, avvisando lor presa e lor vantaggio, prima che sien tra lor battuti e punti, 24 così rotando, ciascuno il visaggio drizzava a me, sì che ’n contraro il collo faceva ai piè continuo viaggio. 27 E «Se miseria d’esto loco sollo rende in dispetto noi e nostri prieghi», cominciò l’uno «e ’l tinto aspetto e brollo, 30 la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se’, che i vivi piedi così sicuro per lo ’nferno freghi. 33 Letteratura italiana Einaudi 63 Dante Alighieri - Commedia Questi, l’orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada, fu di grado maggior che tu non credi: 36 nepote fu de la buona Gualdrada; Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita fece col senno assai e con la spada. 39 L’altro, ch’appresso me la rena trita, è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce nel mondo sù dovrìa esser gradita. 42 E io, che posto son con loro in croce, Iacopo Rusticucci fui; e certo la fiera moglie più ch’altro mi nuoce». 45 S’i’ fossi stato dal foco coperto, gittato mi sarei tra lor di sotto, e credo che ’l dottor l’avrìa sofferto; 48 ma perch’io mi sarei brusciato e cotto, vinse paura la mia buona voglia che di loro abbracciar mi facea ghiotto. 51 Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia la vostra condizion dentro mi fisse, tanta che tardi tutta si dispoglia, 54 tosto che questo mio segnor mi disse parole per le quali i’ mi pensai che qual voi siete, tal gente venisse. 57 Di vostra terra sono, e sempre mai l’ovra di voi e li onorati nomi con affezion ritrassi e ascoltai. 60 Lascio lo fele e vo per dolci pomi promessi a me per lo verace duca; ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi». 63 «Se lungamente l’anima conduca le membra tue», rispuose quelli ancora, «e se la fama tua dopo te luca, 66 cortesia e valor dì se dimora ne la nostra città sì come suole, o se del tutto se n’è gita fora; 69 Letteratura italiana Einaudi 64 Dante Alighieri - Commedia ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole con noi per poco e va là coi compagni, assai ne cruccia con le sue parole». 72 «La gente nuova e i sùbiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni». 75 Così gridai con la faccia levata; e i tre, che ciò inteser per risposta, guardar l’un l’altro com’al ver si guata. 78 «Se l’altre volte sì poco ti costa», rispuoser tutti «il satisfare altrui, felice te se sì parli a tua posta! 81 Però, se campi d’esti luoghi bui e torni a riveder le belle stelle, quando ti gioverà dicere “I’ fui”, 84 fa che di noi a la gente favelle». Indi rupper la rota, e a fuggirsi ali sembiar le gambe loro isnelle. 87 Un amen non saria potuto dirsi tosto così com’e’ fuoro spariti; per ch’al maestro parve di partirsi. 90 Io lo seguiva, e poco eravam iti, che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino, che per parlar saremmo a pena uditi. 93 Come quel fiume c’ha proprio cammino prima dal Monte Viso ’nver’ levante, da la sinistra costa d’Apennino, 96 che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, 99 rimbomba là sovra San Benedetto de l’Alpe per cadere ad una scesa ove dovea per mille esser recetto; 102 così, giù d’una ripa discoscesa, trovammo risonar quell’acqua tinta, sì che ’n poc’ora avria l’orecchia offesa. 105 Letteratura italiana Einaudi 65 Dante Alighieri - Commedia Io avea una corda intorno cinta, e con essa pensai alcuna volta prender la lonza a la pelle dipinta. 108 Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta, sì come ’l duca m’avea comandato, porsila a lui aggroppata e ravvolta. 111 Ond’ei si volse inver’ lo destro lato, e alquanto di lunge da la sponda la gittò giuso in quell’alto burrato. 114 ‘E’ pur convien che novità risponda’ dicea fra me medesmo ‘al novo cenno che ’l maestro con l’occhio sì seconda’. 117 Ahi quanto cauti li uomini esser dienno presso a color che non veggion pur l’ovra, ma per entro i pensier miran col senno! 120 El disse a me: «Tosto verrà di sovra ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna: tosto convien ch’al tuo viso si scovra». 123 Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote, però che sanza colpa fa vergogna; 126 ma qui tacer nol posso; e per le note di questa comedìa, lettor, ti giuro, s’elle non sien di lunga grazia vòte, 129 ch’i’ vidi per quell’aere grosso e scuro venir notando una figura in suso, maravigliosa ad ogne cor sicuro, 132 sì come torna colui che va giuso talora a solver l’àncora ch’aggrappa o scoglio o altro che nel mare è chiuso, 135 che ’n sù si stende, e da piè si rattrappa. Letteratura italiana Einaudi 66 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVII «Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti, e rompe i muri e l’armi! Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!». 3 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi; e accennolle che venisse a proda vicino al fin d’i passeggiati marmi. 6 E quella sozza imagine di froda sen venne, e arrivò la testa e ’l busto, ma ’n su la riva non trasse la coda. 9 La faccia sua era faccia d’uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle, e d’un serpente tutto l’altro fusto; 12 due branche avea pilose insin l’ascelle; lo dosso e ’l petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle. 15 Con più color, sommesse e sovraposte non fer mai drappi Tartari né Turchi, né fuor tai tele per Aragne imposte. 18 Come tal volta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra, e come là tra li Tedeschi lurchi 21 lo bivero s’assetta a far sua guerra, così la fiera pessima si stava su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra. 24 Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in sù la venenosa forca ch’a guisa di scorpion la punta armava. 27 Lo duca disse: «Or convien che si torca la nostra via un poco insino a quella bestia malvagia che colà si corca». 30 Però scendemmo a la destra mammella, e diece passi femmo in su lo stremo, per ben cessar la rena e la fiammella. 33 Letteratura italiana Einaudi 67 Dante Alighieri - Commedia E quando noi a lei venuti semo, poco più oltre veggio in su la rena gente seder propinqua al loco scemo. 36 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena esperienza d’esto giron porti», mi disse, «va, e vedi la lor mena. 39 Li tuoi ragionamenti sian là corti: mentre che torni, parlerò con questa, che ne conceda i suoi omeri forti». 42 Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo andai, dove sedea la gente mesta. 45 Per li occhi fora scoppiava lor duolo; è di qua, di là soccorrien con le mani quando a’ vapori, e quando al caldo suolo: 48 non altrimenti fan di state i cani or col ceffo, or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani. 51 Poi che nel viso a certi li occhi porsi, ne’ quali ’l doloroso foco casca, non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi 54 che dal collo a ciascun pendea una tasca ch’avea certo colore e certo segno, e quindi par che ’l loro occhio si pasca. 57 E com’io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro che d’un leone avea faccia e contegno. 60 Poi, procedendo di mio sguardo il curro, vidine un’altra come sangue rossa, mostrando un’oca bianca più che burro. 63 E un che d’una scrofa azzurra e grossa segnato avea lo suo sacchetto bianco, mi disse: «Che fai tu in questa fossa? 66 Or te ne va; e perché se’ vivo anco, sappi che ’l mio vicin Vitaliano sederà qui dal mio sinistro fianco. 69 Letteratura italiana Einaudi 68 Dante Alighieri - Commedia Con questi Fiorentin son padoano: spesse fiate mi ’ntronan li orecchi gridando: “Vegna ’l cavalier sovrano, 72 che recherà la tasca con tre becchi!”». Qui distorse la bocca e di fuor trasse la lingua, come bue che ’l naso lecchi. 75 E io, temendo no ’l più star crucciasse lui che di poco star m’avea ’mmonito, torna’mi in dietro da l’anime lasse. 78 Trova’ il duca mio ch’era salito già su la groppa del fiero animale, e disse a me: «Or sie forte e ardito. 81 Omai si scende per sì fatte scale: monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo, sì che la coda non possa far male». 84 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo de la quartana, c’ha già l’unghie smorte, e triema tutto pur guardando ’l rezzo, 87 tal divenn’io a le parole porte; ma vergogna mi fé le sue minacce, che innanzi a buon segnor fa servo forte. 90 I’ m’assettai in su quelle spallacce; sì volli dir, ma la voce non venne com’io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’. 93 Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto ch’i’ montai con le braccia m’avvinse e mi sostenne; 96 e disse: «Gerion, moviti omai: le rote larghe e lo scender sia poco: pensa la nova soma che tu hai». 99 Come la navicella esce di loco in dietro in dietro, sì quindi si tolse; e poi ch’al tutto si sentì a gioco, 102 là ’v’era ’l petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche l’aere a sé raccolse. 105 Letteratura italiana Einaudi 69 Dante Alighieri - Commedia Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse; 108 né quando Icaro misero le reni sentì spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui «Mala via tieni!», 111 che fu la mia, quando vidi ch’i’ era ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta ogne veduta fuor che de la fera. 114 Ella sen va notando lenta lenta: rota e discende, ma non me n’accorgo se non che al viso e di sotto mi venta. 117 Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per che con li occhi ’n giù la testa sporgo. 120 Allor fu’ io più timido a lo stoscio, però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti; ond’io tremando tutto mi raccoscio. 123 E vidi poi, ché nol vedea davanti, lo scendere e ’l girar per li gran mali che s’appressavan da diversi canti. 126 Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali, che sanza veder logoro o uccello fa dire al falconiere «Omè, tu cali!», 129 discende lasso onde si move isnello, per cento rote, e da lunge si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello; 132 così ne puose al fondo Gerione al piè al piè de la stagliata rocca e, discarcate le nostre persone, 135 si dileguò come da corda cocca. Letteratura italiana Einaudi 70 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVIII Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge. 3 Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l’ordigno. 6 Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo. 9 Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, 12 tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da’ lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, 15 così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ’ fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli. 18 In questo luogo, de la schiena scossi di Gerion, trovammoci; e ’l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. 21 A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. 24 Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, 27 come i Roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, 30 che da l’un lato tutti hanno la fronte verso ’l castello e vanno a Santo Pietro; da l’altra sponda vanno verso ’l monte. 33 Letteratura italiana Einaudi 71 Dante Alighieri - Commedia Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro. 36 Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze. 39 Mentr’io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno». 42 Per ch’io a figurarlo i piedi affissi; e ’l dolce duca meco si ristette, e assentio ch’alquanto in dietro gissi. 45 E quel frustato celar si credette bassando ’l viso; ma poco li valse, ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette, 48 se le fazion che porti non son false, Venedico se’ tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?». 51 Ed elli a me: «Mal volentier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. 54 I’ fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella. 57 E non pur io qui piango bolognese; anzi n’è questo luogo tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese 60 a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno». 63 Così parlando il percosse un demonio de la sua scuriada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio». 66 I’ mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là ’v’uno scoglio de la ripa uscia. 69 Letteratura italiana Einaudi 72 Dante Alighieri - Commedia Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo. 72 Quando noi fummo là dov’el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia 75 lo viso in te di quest’altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati». 78 Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l’altra banda, e che la ferza similmente scaccia. 81 E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda: 84 quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne. 87 Ello passò per l’isola di Lenno, poi che l’ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. 90 Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l’altre ingannate. 93 Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta. 96 Con lui sen va chi da tal parte inganna: e questo basti de la prima valle sapere e di color che ’n sé assanna». 99 Già eravam là ’ve lo stretto calle con l’argine secondo s’incrocicchia, e fa di quello ad un altr’arco spalle. 102 Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. 105 Letteratura italiana Einaudi 73 Dante Alighieri - Commedia Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa. 108 Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 111 Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. 114 E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parea s’era laico o cherco. 117 Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo, 120 già t’ho veduto coi capelli asciutti, e se’ Alessio Interminei da Lucca: però t’adocchio più che li altri tutti». 123 Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’io non ebbi mai la lingua stucca». 126 Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinghe 129 di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante. 132 Taide è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse “Ho io grazie grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. 135 E quinci sien le nostre viste sazie». Letteratura italiana Einaudi 74 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIX O Simon mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci 3 per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state. 6 Già eravamo, a la seguente tomba, montati de lo scoglio in quella parte ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba. 9 O somma sapienza, quanta è l’arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte! 12 Io vidi per le coste e per lo fondo piena la pietra livida di fóri, d’un largo tutti e ciascun era tondo. 15 Non mi parean men ampi né maggiori che que’ che son nel mio bel San Giovanni, fatti per loco d’i battezzatori; 18 l’un de li quali, ancor non è molt’anni, rupp’io per un che dentro v’annegava: e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni. 21 Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d’un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l’altro dentro stava. 24 Le piante erano a tutti accese intrambe; per che sì forte guizzavan le giunte, che spezzate averien ritorte e strambe. 27 Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte. 30 «Chi è colui, maestro, che si cruccia guizzando più che li altri suoi consorti», diss’io, «e cui più roggia fiamma succia?». 33 Letteratura italiana Einaudi 75 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti là giù per quella ripa che più giace, da lui saprai di sé e de’ suoi torti». 36 E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace: tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace». 39 Allor venimmo in su l’argine quarto: volgemmo e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato e arto. 42 Lo buon maestro ancor de la sua anca non mi dipuose, sì mi giunse al rotto di quel che si piangeva con la zanca. 45 «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, anima trista come pal commessa», comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto». 48 Io stava come ’l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, richiama lui, per che la morte cessa. 51 Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto, se’ tu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto. 54 Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio per lo qual non temesti tòrre a ’nganno la bella donna, e poi di farne strazio?». 57 Tal mi fec’io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch’è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno. 60 Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: “Non son colui, non son colui che credi”»; e io rispuosi come a me fu imposto. 63 Per che lo spirto tutti storse i piedi; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse: «Dunque che a me richiedi? 66 Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; 69 Letteratura italiana Einaudi 76 Dante Alighieri - Commedia e veramente fui figliuol de l’orsa, cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l’avere e qui me misi in borsa. 72 Di sotto al capo mio son li altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure de la pietra piatti. 75 Là giù cascherò io altresì quando verrà colui ch’i’ credea che tu fossi allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando. 78 Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi e ch’i’ son stato così sottosopra, ch’el non starà piantato coi piè rossi: 81 ché dopo lui verrà di più laida opra di ver’ ponente, un pastor sanza legge, tal che convien che lui e me ricuopra. 84 Novo Iasón sarà, di cui si legge ne’ Maccabei; e come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge». 87 Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro: «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle 90 Nostro Segnore in prima da san Pietro ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa? Certo non chiese se non “Viemmi retro”. 93 Né Pier né li altri tolsero a Matia oro od argento, quando fu sortito al loco che perdé l’anima ria. 96 Però ti sta, ché tu se’ ben punito; e guarda ben la mal tolta moneta ch’esser ti fece contra Carlo ardito. 99 E se non fosse ch’ancor lo mi vieta la reverenza delle somme chiavi che tu tenesti ne la vita lieta, 102 io userei parole ancor più gravi; ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi. 105 Letteratura italiana Einaudi 77 Dante Alighieri - Commedia Di voi pastor s’accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l’acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista; 108 quella che con le sette teste nacque, e da le diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque. 111 Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento; e che altro è da voi a l’idolatre, se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? 114 Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!». 117 E mentr’io li cantava cotai note, o ira o coscienza che ’l mordesse, forte spingava con ambo le piote. 120 I’ credo ben ch’al mio duca piacesse, con sì contenta labbia sempre attese lo suon de le parole vere espresse. 123 Però con ambo le braccia mi prese; e poi che tutto su mi s’ebbe al petto, rimontò per la via onde discese. 126 Né si stancò d’avermi a sé distretto, sì men portò sovra ’l colmo de l’arco che dal quarto al quinto argine è tragetto. 129 Quivi soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe a le capre duro varco. 132 Indi un altro vallon mi fu scoperto. Letteratura italiana Einaudi 78 Dante Alighieri - Commedia CANTO XX Di nova pena mi conven far versi e dar matera al ventesimo canto de la prima canzon ch’è d’i sommersi. 3 Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d’angoscioso pianto; 6 e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo. 9 Come ’l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso; 12 ché da le reni era tornato ’l volto, e in dietro venir li convenia, perché ’l veder dinanzi era lor tolto. 15 Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, né credo che sia. 18 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso com’io potea tener lo viso asciutto, 21 quando la nostra imagine di presso vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. 24 Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi? 27 Qui vive la pietà quand’è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta? 30 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui s’aperse a li occhi d’i Teban la terra; per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui, 33 Letteratura italiana Einaudi 79 Dante Alighieri - Commedia Anfiarao? perché lasci la guerra?”. E non restò di ruinare a valle fino a Minòs che ciascheduno afferra. 36 Mira c’ha fatto petto de le spalle: perché volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle. 39 Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne cangiandosi le membra tutte quante; 42 e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne. 45 Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga, che ne’ monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga, 48 ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca per sua dimora; onde a guardar le stelle e ’l mar no li era la veduta tronca. 51 E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle, 54 Manto fu, che cercò per terre molte; poscia si puose là dove nacqu’io; onde un poco mi piace che m’ascolte. 57 Poscia che ’l padre suo di vita uscìo, e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio. 60 Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. 63 Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de l’acqua che nel detto laco stagna. 66 Loco è nel mezzo là dove ’l trentino pastore e quel di Brescia e ’l veronese segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. 69 Letteratura italiana Einaudi 80 Dante Alighieri - Commedia Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva ’ntorno più discese. 72 Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che ’n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. 75 Tosto che l’acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. 78 Non molto ha corso, ch’el trova una lama, ne la qual si distende e la ’mpaluda; e suol di state talor essere grama. 81 Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d’abitanti nuda. 84 Lì, per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. 87 Li uomini poi che ’ntorno erano sparti s’accolsero a quel loco, ch’era forte per lo pantan ch’avea da tutte parti. 90 Fer la città sovra quell’ossa morte; e per colei che ’l loco prima elesse, Mantua l’appellar sanz’altra sorte. 93 Già fuor le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia da Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse. 96 Però t’assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi». 99 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti. 102 Ma dimmi, de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota; ché solo a ciò la mia mente rifiede». 105 Letteratura italiana Einaudi 81 Dante Alighieri - Commedia Allor mi disse: «Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu – quando Grecia fu di maschi vòta, 108 sì ch’a pena rimaser per le cune – augure, e diede ’l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune. 111 Euripilo ebbe nome, e così ’l canta l’alta mia tragedìa in alcun loco: ben lo sai tu che la sai tutta quanta. 114 Quell’altro che ne’ fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente de le magiche frode seppe ’l gioco. 117 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch’avere inteso al cuoio e a lo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente. 120 Vedi le triste che lasciaron l’ago, la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine; fecer malie con erbe e con imago. 123 Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine d’amendue li emisperi e tocca l’onda sotto Sobilia Caino e le spine; 126 e già iernotte fu la luna tonda: ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque alcuna volta per la selva fonda». 129 Sì mi parlava, e andavamo introcque. Letteratura italiana Einaudi 82 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXI Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenavamo il colmo, quando 3 restammo per veder l’altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura. 6 Quale ne l’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, 9 ché navicar non ponno – in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece; 12 chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa –; 15 tal, non per foco, ma per divin’arte, bollia là giuso una pegola spessa, che ’nviscava la ripa d’ogne parte. 18 I’ vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che ’l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. 21 Mentr’io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a sé del loco dov’io stava. 24 Allor mi volsi come l’uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, 27 che, per veder, non indugia ’l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire. 30 Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero! e quanto mi parea ne l’atto acerbo, con l’ali aperte e sovra i piè leggero! 33 Letteratura italiana Einaudi 83 Dante Alighieri - Commedia L’omero suo, ch’era aguto e superbo, carcava un peccator con ambo l’anche, e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo. 36 Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzian di Santa Zita! Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche 39 a quella terra che n’è ben fornita: ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar vi si fa ita». 42 Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. 45 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: 48 qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo’ di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio». 51 Poi l’addentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi». 54 Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli. 57 Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; 60 e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, perch’altra volta fui a tal baratta». 63 Poscia passò di là dal co del ponte; e com’el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d’aver sicura fronte. 66 Con quel furore e con quella tempesta ch’escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s’arresta, 69 Letteratura italiana Einaudi 84 Dante Alighieri - Commedia usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt’i runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! 72 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, traggasi avante l’un di voi che m’oda, e poi d’arruncigliarmi si consigli». 75 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi –, e venne a lui dicendo: «Che li approda?». 78 «Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse ’l mio maestro, «sicuro già da tutti vostri schermi, 81 sanza voler divino e fato destro? Lascian’andar, ché nel cielo è voluto ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro». 84 Allor li fu l’orgoglio sì caduto, ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto». 87 E ’l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi». 90 Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; 93 così vid’io già temer li fanti ch’uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti. 96 I’ m’accostai con tutta la persona lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch’era non buona. 99 Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi», diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?». E rispondien: «Sì, fa che gliel’accocchi!». 102 Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto, e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». 105 Letteratura italiana Einaudi 85 Dante Alighieri - Commedia Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l’arco sesto. 108 E se l’andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. 111 Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. 114 Io mando verso là di questi miei a riguardar s’alcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei». 117 «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina. 120 Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo, Ciriatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo. 123 Cercate ’ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a l’altro scheggio che tutto intero va sovra le tane». 126 «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?», diss’io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio. 129 Se tu se’ sì accorto come suoli, non vedi tu ch’e’ digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?». 132 Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti». 135 Per l’argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; 138 ed elli avea del cul fatto trombetta. Letteratura italiana Einaudi 86 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXII Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; 3 corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; 6 quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; 9 né già con sì diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. 12 Noi andavam con li diece demoni. Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni. 15 Pur a la pegola era la mia ’ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente ch’entro v’era incesa. 18 Come i dalfini, quando fanno segno a’ marinar con l’arco de la schiena, che s’argomentin di campar lor legno, 21 talor così, ad alleggiar la pena, mostrav’alcun de’ peccatori il dosso e nascondea in men che non balena. 24 E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, sì che celano i piedi e l’altro grosso, 27 sì stavan d’ogne parte i peccatori; ma come s’appressava Barbariccia, così si ritraén sotto i bollori. 30 I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia, uno aspettar così, com’elli ’ncontra ch’una rana rimane e l’altra spiccia; 33 Letteratura italiana Einaudi 87 Dante Alighieri - Commedia e Graffiacan, che li era più di contra, li arruncigliò le ’mpegolate chiome e trassel sù, che mi parve una lontra. 36 I’ sapea già di tutti quanti ’l nome, sì li notai quando fuorono eletti, e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come. 39 «O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», gridavan tutti insieme i maladetti. 42 E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi». 45 Lo duca mio li s’accostò allato; domandollo ond’ei fosse, e quei rispuose: «I’ fui del regno di Navarra nato. 48 Mia madre a servo d’un segnor mi puose, che m’avea generato d’un ribaldo, distruggitor di sé e di sue cose. 51 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo: quivi mi misi a far baratteria; di ch’io rendo ragione in questo caldo». 54 E Ciriatto, a cui di bocca uscia d’ogne parte una sanna come a porco, li fé sentir come l’una sdruscia. 57 Tra male gatte era venuto ’l sorco; ma Barbariccia il chiuse con le braccia, e disse: «State in là, mentr’io lo ’nforco». 60 E al maestro mio volse la faccia: «Domanda», disse, «ancor, se più disii saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia». 63 Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii, 66 poco è, da un che fu di là vicino. Così foss’io ancor con lui coperto, ch’i’ non temerei unghia né uncino!». 69 Letteratura italiana Einaudi 88 Dante Alighieri - Commedia E Libicocco «Troppo avem sofferto», disse; e preseli ’l braccio col runciglio, sì che, stracciando, ne portò un lacerto. 72 Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso a le gambe; onde ’l decurio loro si volse intorno intorno con mal piglio. 75 Quand’elli un poco rappaciati fuoro, a lui, ch’ancor mirava sua ferita, domandò ’l duca mio sanza dimoro: 78 «Chi fu colui da cui mala partita di’ che facesti per venire a proda?». Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, 81 quel di Gallura, vasel d’ogne froda, ch’ebbe i nemici di suo donno in mano, e fé sì lor, che ciascun se ne loda. 84 Danar si tolse, e lasciolli di piano, sì com’e’ dice; e ne li altri offici anche barattier fu non picciol, ma sovrano. 87 Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro; e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche. 90 Omè, vedete l’altro che digrigna: i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello non s’apparecchi a grattarmi la tigna». 93 E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello che stralunava li occhi per fedire, disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!». 96 «Se voi volete vedere o udire», ricominciò lo spaurato appresso «Toschi o Lombardi, io ne farò venire; 99 ma stieno i Malebranche un poco in cesso, sì ch’ei non teman de le lor vendette; e io, seggendo in questo loco stesso, 102 per un ch’io son, ne farò venir sette quand’io suffolerò, com’è nostro uso di fare allor che fori alcun si mette». 105 Letteratura italiana Einaudi 89 Dante Alighieri - Commedia Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso, crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!». 108 Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quand’io procuro a’ mia maggior trestizia». 111 Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, 114 ma batterò sovra la pece l’ali. Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali». 117 O tu che leggi, udirai nuovo ludo: ciascun da l’altra costa li occhi volse; quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. 120 Lo Navarrese ben suo tempo colse; fermò le piante a terra, e in un punto saltò e dal proposto lor si sciolse. 123 Di che ciascun di colpa fu compunto, ma quei più che cagion fu del difetto; però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!». 126 Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto non potero avanzar: quelli andò sotto, e quei drizzò volando suso il petto: 129 non altrimenti l’anitra di botto, quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa, ed ei ritorna sù crucciato e rotto. 132 Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa; 135 e come ’l barattier fu disparito, così volse li artigli al suo compagno, e fu con lui sopra ’l fosso ghermito. 138 Ma l’altro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e amendue cadder nel mezzo del bogliente stagno. 141 Letteratura italiana Einaudi 90 Dante Alighieri - Commedia Lo caldo sghermitor sùbito fue; ma però di levarsi era neente, sì avieno inviscate l’ali sue. 144 Barbariccia, con li altri suoi dolente, quattro ne fé volar da l’altra costa con tutt’i raffi, e assai prestamente 147 di qua, di là discesero a la posta; porser li uncini verso li ’mpaniati, ch’eran già cotti dentro da la crosta; 150 e noi lasciammo lor così ’mpacciati. Letteratura italiana Einaudi 91 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIII Taciti, soli, sanza compagnia n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, come frati minor vanno per via. 3 Vòlt’era in su la favola d’Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov’el parlò de la rana e del topo; 6 ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’ che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia principio e fine con la mente fissa. 9 E come l’un pensier de l’altro scoppia, così nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fé doppia. 12 Io pensava così: ‘Questi per noi sono scherniti con danno e con beffa sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. 15 Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. 18 Già mi sentia tutti arricciar li peli de la paura e stava in dietro intento, quand’io dissi: «Maestro, se non celi 21 te e me tostamente, i’ ho pavento d’i Malebranche. Noi li avem già dietro; io li ’magino sì, che già li sento». 24 E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro, l’imagine di fuor tua non trarrei più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. 27 Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei, con simile atto e con simile faccia, sì che d’intrambi un sol consiglio fei. 30 S’elli è che sì la destra costa giaccia, che noi possiam ne l’altra bolgia scendere, noi fuggirem l’imaginata caccia». 33 Letteratura italiana Einaudi 92 Dante Alighieri - Commedia Già non compié di tal consiglio rendere, ch’io li vidi venir con l’ali tese non molto lungi, per volerne prendere. 36 Lo duca mio di sùbito mi prese, come la madre ch’al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, 39 che prende il figlio e fugge e non s’arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camiscia vesta; 42 e giù dal collo de la ripa dura supin si diede a la pendente roccia, che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. 45 Non corse mai sì tosto acqua per doccia a volger ruota di molin terragno, quand’ella più verso le pale approccia, 48 come ’l maestro mio per quel vivagno, portandosene me sovra ’l suo petto, come suo figlio, non come compagno. 51 A pena fuoro i piè suoi giunti al letto del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle sovresso noi; ma non lì era sospetto; 54 ché l’alta provedenza che lor volle porre ministri de la fossa quinta, poder di partirs’indi a tutti tolle. 57 Là giù trovammo una gente dipinta che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60 Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la taglia che in Clugnì per li monaci fassi. 63 Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia. 66 Oh in etterno faticoso manto! Noi ci volgemmo ancor pur a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto; 69 Letteratura italiana Einaudi 93 Dante Alighieri - Commedia ma per lo peso quella gente stanca venìa sì pian, che noi eravam nuovi di compagnia ad ogne mover d’anca. 72 Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi alcun ch’al fatto o al nome si conosca, e li occhi, sì andando, intorno movi». 75 E un che ’ntese la parola tosca, di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, voi che correte sì per l’aura fosca! 78 Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi». Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta e poi secondo il suo passo procedi». 81 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta de l’animo, col viso, d’esser meco; ma tardavali ’l carco e la via stretta. 84 Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco mi rimiraron sanza far parola; poi si volsero in sé, e dicean seco: 87 «Costui par vivo a l’atto de la gola; e s’e’ son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?». 90 Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio de l’ipocriti tristi se’ venuto, dir chi tu se’ non avere in dispregio». 93 E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 96 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant’i’ veggio dolor giù per le guance? e che pena è in voi che sì sfavilla?». 99 E l’un rispuose a me: «Le cappe rance son di piombo sì grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance. 102 Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi, 105 Letteratura italiana Einaudi 94 Dante Alighieri - Commedia come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali, ch’ancor si pare intorno dal Gardingo». 108 Io cominciai: «O frati, i vostri mali...»; ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali. 111 Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando ne la barba con sospiri; e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, 114 mi disse: «Quel confitto che tu miri, consigliò i Farisei che convenia porre un uom per lo popolo a’ martìri. 117 Attraversato è, nudo, ne la via, come tu vedi, ed è mestier ch’el senta qualunque passa, come pesa, pria. 120 E a tal modo il socero si stenta in questa fossa, e li altri dal concilio che fu per li Giudei mala sementa». 123 Allor vid’io maravigliar Virgilio sovra colui ch’era disteso in croce tanto vilmente ne l’etterno essilio. 126 Poscia drizzò al frate cotal voce: «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci s’a la man destra giace alcuna foce 129 onde noi amendue possiamo uscirci, sanza costrigner de li angeli neri che vegnan d’esto fondo a dipartirci». 132 Rispuose adunque: «Più che tu non speri s’appressa un sasso che de la gran cerchia si move e varca tutt’i vallon feri, 135 salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia montar potrete su per la ruina, che giace in costa e nel fondo soperchia». 138 Lo duca stette un poco a testa china; poi disse: «Mal contava la bisogna colui che i peccator di qua uncina». 142 Letteratura italiana Einaudi 95 Dante Alighieri - Commedia E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’ ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna». 145 Appresso il duca a gran passi sen gì, turbato un poco d’ira nel sembiante; ond’io da li ’ncarcati mi parti’ 148 dietro a le poste de le care piante. Letteratura italiana Einaudi 96 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIV In quella parte del giovanetto anno che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra e già le notti al mezzo dì sen vanno, 3 quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua sorella bianca, ma poco dura a la sua penna tempra, 6 lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca, 9 ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; poi riede, e la speranza ringavagna, 12 veggendo ’l mondo aver cangiata faccia in poco d’ora, e prende suo vincastro, e fuor le pecorelle a pascer caccia. 15 Così mi fece sbigottir lo mastro quand’io li vidi sì turbar la fronte, e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; 18 ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio dolce ch’io vidi prima a piè del monte. 21 Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima ben la ruina, e diedemi di piglio. 24 E come quei ch’adopera ed estima, che sempre par che ’nnanzi si proveggia, così, levando me sù ver la cima 27 d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa; ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia». 30 Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, potavam sù montar di chiappa in chiappa. 33 Letteratura italiana Einaudi 97 Dante Alighieri - Commedia E se non fosse che da quel precinto più che da l’altro era la costa corta, non so di lui, ma io sarei ben vinto. 36 Ma perché Malebolge inver’ la porta del bassissimo pozzo tutta pende, lo sito di ciascuna valle porta 39 che l’una costa surge e l’altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta onde l’ultima pietra si scoscende. 42 La lena m’era del polmon sì munta quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre, anzi m’assisi ne la prima giunta. 45 «Omai convien che tu così ti spoltre», disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre; 48 sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma. 51 E però leva sù: vinci l’ambascia con l’animo che vince ogne battaglia, se col suo grave corpo non s’accascia. 54 Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia». 57 Leva’mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch’i’ non mi sentìa; e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito». 60 Su per lo scoglio prendemmo la via, ch’era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto più assai che quel di pria. 63 Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l’altro fosso, a parole formar disconvenevole. 66 Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso fossi de l’arco già che varca quivi; ma chi parlava ad ire parea mosso. 69 Letteratura italiana Einaudi 98 Dante Alighieri - Commedia Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi 72 da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com’i’ odo quinci e non intendo, così giù veggio e neente affiguro». 75 «Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta si de’ seguir con l’opera tacendo». 78 Noi discendemmo il ponte da la testa dove s’aggiugne con l’ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta: 81 e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa. 84 Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree produce, e cencri con anfisibena, 87 né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l’Etiopia né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. 90 Tra questa cruda e tristissima copia correan genti nude e spaventate, sanza sperar pertugio o elitropia: 93 con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. 96 Ed ecco a un ch’era da nostra proda, s’avventò un serpente che ’l trafisse là dove ’l collo a le spalle s’annoda. 99 Né O sì tosto mai né I si scrisse, com’el s’accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse; 102 e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa, e ’n quel medesmo ritornò di butto. 105 Letteratura italiana Einaudi 99 Dante Alighieri - Commedia Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; 108 erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. 111 E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch’a terra il tira, o d’altra oppilazion che lega l’omo, 114 quando si leva, che ’ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: 117 tal era il peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant’è severa, che cotai colpi per vendetta croscia! 120 Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fiera. 123 Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana». 126 E io al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù ’l pinse; ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci». 129 E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, e di trista vergogna si dipinse; 132 poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, che quando fui de l’altra vita tolto. 135 Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch’io fui ladro a la sagrestia d’i belli arredi, 138 e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, 141 Letteratura italiana Einaudi 100 Dante Alighieri - Commedia apri li orecchi al mio annunzio, e odi: Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi. 144 Tragge Marte vapor di Val di Magra ch’è di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetuosa e agra 147 sovra Campo Picen fia combattuto; ond’ei repente spezzerà la nebbia, sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. 150 E detto l’ho perché doler ti debbia!». Letteratura italiana Einaudi 101 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXV Al fine de le sue parole il ladro le mani alzò con amendue le fiche, gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!». 3 Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, perch’una li s’avvolse allora al collo, come dicesse ‘Non vo’ che più diche’; 6 e un’altra a le braccia, e rilegollo, ribadendo sé stessa sì dinanzi, che non potea con esse dare un crollo. 9 Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi d’incenerarti sì che più non duri, poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi? 12 Per tutt’i cerchi de lo ’nferno scuri non vidi spirto in Dio tanto superbo, non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. 15 El si fuggì che non parlò più verbo; e io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando: «Ov’è, ov’è l’acerbo?». 18 Maremma non cred’io che tante n’abbia, quante bisce elli avea su per la groppa infin ove comincia nostra labbia. 21 Sovra le spalle, dietro da la coppa, con l’ali aperte li giacea un draco; e quello affuoca qualunque s’intoppa. 24 Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, che sotto ’l sasso di monte Aventino di sangue fece spesse volte laco. 27 Non va co’ suoi fratei per un cammino, per lo furto che frodolente fece del grande armento ch’elli ebbe a vicino; 30 onde cessar le sue opere biece sotto la mazza d’Ercule, che forse gliene diè cento, e non sentì le diece». 33 Letteratura italiana Einaudi 102 Dante Alighieri - Commedia Mentre che sì parlava, ed el trascorse e tre spiriti venner sotto noi, de’ quali né io né ’l duca mio s’accorse, 36 se non quando gridar: «Chi siete voi?»; per che nostra novella si ristette, e intendemmo pur ad essi poi. 39 Io non li conoscea; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che l’un nomar un altro convenette, 42 dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»; per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento, mi puosi ’l dito su dal mento al naso. 45 Se tu se’ or, lettore, a creder lento ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia, ché io che ’l vidi, a pena il mi consento. 48 Com’io tenea levate in lor le ciglia, e un serpente con sei piè si lancia dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. 51 Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia, e con li anterior le braccia prese; poi li addentò e l’una e l’altra guancia; 54 li diretani a le cosce distese, e miseli la coda tra ’mbedue, e dietro per le ren sù la ritese. 57 Ellera abbarbicata mai non fue ad alber sì, come l’orribil fiera per l’altrui membra avviticchiò le sue. 60 Poi s’appiccar, come di calda cera fossero stati, e mischiar lor colore, né l’un né l’altro già parea quel ch’era: 63 come procede innanzi da l’ardore, per lo papiro suso, un color bruno che non è nero ancora e ’l bianco more. 66 Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno gridava: «Omè, Agnel, come ti muti! Vedi che già non se’ né due né uno». 69 Letteratura italiana Einaudi 103 Dante Alighieri - Commedia Già eran li due capi un divenuti, quando n’apparver due figure miste in una faccia, ov’eran due perduti. 72 Fersi le braccia due di quattro liste; le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso divenner membra che non fuor mai viste. 75 Ogne primaio aspetto ivi era casso: due e nessun l’imagine perversa parea; e tal sen gio con lento passo. 78 Come ’l ramarro sotto la gran fersa dei dì canicular, cangiando sepe, folgore par se la via attraversa, 81 sì pareva, venendo verso l’epe de li altri due, un serpentello acceso, livido e nero come gran di pepe; 84 e quella parte onde prima è preso nostro alimento, a l’un di lor trafisse; poi cadde giuso innanzi lui disteso. 87 Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse; anzi, co’ piè fermati, sbadigliava pur come sonno o febbre l’assalisse. 90 Elli ’l serpente, e quei lui riguardava; l’un per la piaga, e l’altro per la bocca fummavan forte, e ’l fummo si scontrava. 93 Taccia Lucano ormai là dove tocca del misero Sabello e di Nasidio, e attenda a udir quel ch’or si scocca. 96 Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio; ché se quello in serpente e quella in fonte converte poetando, io non lo ’nvidio; 99 ché due nature mai a fronte a fronte non trasmutò sì ch’amendue le forme a cambiar lor matera fosser pronte. 102 Insieme si rispuosero a tai norme, che ’l serpente la coda in forca fesse, e il feruto ristrinse insieme l’orme. 105 Letteratura italiana Einaudi 104 Dante Alighieri - Commedia Le gambe con le cosce seco stesse s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura non facea segno alcun che si paresse. 108 Togliea la coda fessa la figura che si perdeva là, e la sua pelle si facea molle, e quella di là dura. 111 Io vidi intrar le braccia per l’ascelle, e i due piè de la fiera, ch’eran corti, tanto allungar quanto accorciavan quelle. 114 Poscia li piè di retro, insieme attorti, diventaron lo membro che l’uom cela, e ’l misero del suo n’avea due porti. 117 Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela di color novo, e genera ’l pel suso per l’una parte e da l’altra il dipela, 120 l’un si levò e l’altro cadde giuso, non torcendo però le lucerne empie, sotto le quai ciascun cambiava muso. 123 Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie, e di troppa matera ch’in là venne uscir li orecchi de le gote scempie; 126 ciò che non corse in dietro e si ritenne di quel soverchio, fé naso a la faccia e le labbra ingrossò quanto convenne. 129 Quel che giacea, il muso innanzi caccia, e li orecchi ritira per la testa come face le corna la lumaccia; 132 e la lingua, ch’avea unita e presta prima a parlar, si fende, e la forcuta ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta. 135 L’anima ch’era fiera divenuta, suffolando si fugge per la valle, e l’altro dietro a lui parlando sputa. 138 Poscia li volse le novelle spalle, e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra, com’ho fatt’io, carpon per questo calle». 141 Letteratura italiana Einaudi 105 Dante Alighieri - Commedia Così vid’io la settima zavorra mutare e trasmutare; e qui mi scusi la novità se fior la penna abborra. 144 E avvegna che li occhi miei confusi fossero alquanto e l’animo smagato, non poter quei fuggirsi tanto chiusi, 147 ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato; ed era quel che sol, di tre compagni che venner prima, non era mutato; 150 l’altr’era quel che tu, Gaville, piagni. Letteratura italiana Einaudi 106 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVI Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! 3 Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. 6 Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 9 E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’più m’attempo. 12 Noi ci partimmo, e su per le scalee che n’avea fatto iborni a scender pria, rimontò ’l duca mio e trasse mee; 15 e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. 18 Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 21 perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 24 Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, 27 come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’e’ vendemmia e ara: 30 di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 33 Letteratura italiana Einaudi 107 Dante Alighieri - Commedia E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, 36 che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: 39 tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. 42 Io stava sovra ’l ponte a veder surto, sì che s’io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’esser urto. 45 E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel ch’elli è inceso». 48 «Maestro mio», rispuos’io, «per udirti son io più certo; ma già m’era avviso che così fosse, e già voleva dirti: 51 chi è ’n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dov’Eteòcle col fratel fu miso?». 54 Rispuose a me: «Là dentro si martira Ulisse e Diomede, e così insieme a la vendetta vanno come a l’ira; 57 e dentro da la lor fiamma si geme l’agguato del caval che fé la porta onde uscì de’ Romani il gentil seme. 60 Piangevisi entro l’arte per che, morta, Deidamìa ancor si duol d’Achille, e del Palladio pena vi si porta». 63 «S’ei posson dentro da quelle faville parlar», diss’io, «maestro, assai ten priego e ripriego, che ’l priego vaglia mille, 66 che non mi facci de l’attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver’ lei mi piego!». 69 Letteratura italiana Einaudi 108 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «La tua preghiera è degna di molta loda, e io però l’accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. 72 Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, perch’e’ fuor greci, forse del tuo detto». 75 Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: 78 «O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco 81 quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma l’un di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi». 84 Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; 87 indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando 90 mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, 93 né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, 96 vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; 99 ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. 102 L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. 105 Letteratura italiana Einaudi 109 Dante Alighieri - Commedia Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, 108 acciò che l’uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111 “O frati”, dissi “che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia 114 d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. 117 Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. 120 Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; 123 e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. 126 Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. 129 Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 132 quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. 135 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. 138 Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141 infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». Letteratura italiana Einaudi 110 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVII Già era dritta in sù la fiamma e queta per non dir più, e già da noi sen gia con la licenza del dolce poeta, 3 quand’un’altra, che dietro a lei venia, ne fece volger li occhi a la sua cima per un confuso suon che fuor n’uscia. 6 Come ’l bue cicilian che mugghiò prima col pianto di colui, e ciò fu dritto, che l’avea temperato con sua lima, 9 mugghiava con la voce de l’afflitto, sì che, con tutto che fosse di rame, pur el pareva dal dolor trafitto; 12 così, per non aver via né foram dal principio nel foco, in suo linguaggio si convertian le parole grame. 15 Ma poscia ch’ebber colto lor viaggio su per la punta, dandole quel guizzo che dato avea la lingua in lor passaggio, 18 udimmo dire: «O tu a cu’ io drizzo la voce e che parlavi mo lombardo, dicendo “Istra ten va, più non t’adizzo”, 21 perch’io sia giunto forse alquanto tardo, non t’incresca restare a parlar meco; vedi che non incresce a me, e ardo! 24 Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto se’ di quella dolce terra latina ond’io mia colpa tutta reco, 27 dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; ch’io fui d’i monti là intra Orbino e ’l giogo di che Tever si diserra». 30 Io era in giuso ancora attento e chino, quando il mio duca mi tentò di costa, dicendo: «Parla tu; questi è latino». 33 Letteratura italiana Einaudi 111 Dante Alighieri - Commedia E io, ch’avea già pronta la risposta, sanza indugio a parlare incominciai: «O anima che se’ là giù nascosta, 36 Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni; ma ’n palese nessuna or vi lasciai. 39 Ravenna sta come stata è molt’anni: l’aguglia da Polenta la si cova, sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. 42 La terra che fé già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. 45 E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, là dove soglion fan d’i denti succhio. 48 Le città di Lamone e di Santerno conduce il lioncel dal nido bianco, che muta parte da la state al verno. 51 E quella cu’ il Savio bagna il fianco, così com’ella sie’ tra ’l piano e ’l monte tra tirannia si vive e stato franco. 54 Ora chi se’, ti priego che ne conte; non esser duro più ch’altri sia stato, se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte». 57 Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, l’aguta punta mosse di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 60 «S’i’ credesse che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma staria sanza più scosse; 63 ma però che già mai di questo fondo non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero, sanza tema d’infamia ti rispondo. 66 Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda; e certo il creder mio venìa intero, 69 Letteratura italiana Einaudi 112 Dante Alighieri - Commedia se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, che mi rimise ne le prime colpe; e come e quare, voglio che m’intenda. 72 Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe che la madre mi diè, l’opere mie non furon leonine, ma di volpe. 75 Li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte, ch’al fine de la terra il suono uscie. 78 Quando mi vidi giunto in quella parte di mia etade ove ciascun dovrebbe calar le vele e raccoglier le sarte, 81 ciò che pria mi piacea, allor m’increbbe, e pentuto e confesso mi rendei; ahi miser lasso! e giovato sarebbe. 84 Lo principe d’i novi Farisei, avendo guerra presso a Laterano, e non con Saracin né con Giudei, 87 ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessun era stato a vincer Acri né mercatante in terra di Soldano; 90 né sommo officio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro che solea fare i suoi cinti più macri. 93 Ma come Costantin chiese Silvestro d’entro Siratti a guerir de la lebbre; così mi chiese questi per maestro 96 a guerir de la sua superba febbre: domandommi consiglio, e io tacetti perché le sue parole parver ebbre. 99 E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti; finor t’assolvo, e tu m’insegna fare sì come Penestrino in terra getti. 102 Lo ciel poss’io serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi che ’l mio antecessor non ebbe care”. 105 Letteratura italiana Einaudi 113 Dante Alighieri - Commedia Allor mi pinser li argomenti gravi là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio, e dissi: “Padre, da che tu mi lavi 108 di quel peccato ov’io mo cader deggio, lunga promessa con l’attender corto ti farà triunfar ne l’alto seggio”. 111 Francesco venne poi com’io fu’ morto, per me; ma un d’i neri cherubini li disse: “Non portar: non mi far torto. 114 Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini perché diede ’l consiglio frodolente, dal quale in qua stato li sono a’ crini; 117 ch’assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente”. 120 Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: “Forse tu non pensavi ch’io loico fossi!”. 123 A Minòs mi portò; e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro; e poi che per gran rabbia la si morse, 126 disse: “Questi è d’i rei del foco furo”; per ch’io là dove vedi son perduto, e sì vestito, andando, mi rancuro». 129 Quand’elli ebbe ’l suo dir così compiuto, la fiamma dolorando si partio, torcendo e dibattendo ’l corno aguto. 132 Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio, su per lo scoglio infino in su l’altr’arco che cuopre ’l fosso in che si paga il fio 135 a quei che scommettendo acquistan carco. Letteratura italiana Einaudi 114 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVIII Chi poria mai pur con parole sciolte dicer del sangue e de le piaghe a pieno ch’i’ ora vidi, per narrar più volte? 3 Ogne lingua per certo verria meno per lo nostro sermone e per la mente c’hanno a tanto comprender poco seno. 6 S’el s’aunasse ancor tutta la gente che già in su la fortunata terra di Puglia, fu del suo sangue dolente 9 per li Troiani e per la lunga guerra che de l’anella fé sì alte spoglie, come Livio scrive, che non erra, 12 con quella che sentio di colpi doglie per contastare a Ruberto Guiscardo; e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie 15 a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo, dove sanz’arme vinse il vecchio Alardo; 18 e qual forato suo membro e qual mozzo mostrasse, d’aequar sarebbe nulla il modo de la nona bolgia sozzo. 21 Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com’io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. 24 Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ’l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. 27 Mentre che tutto in lui veder m’attacco, guardommi, e con le man s’aperse il petto, dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco! 30 vedi come storpiato è Maometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. 33 Letteratura italiana Einaudi 115 Dante Alighieri - Commedia E tutti li altri che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fuor vivi, e però son fessi così. 36 Un diavolo è qua dietro che n’accisma sì crudelmente, al taglio de la spada rimettendo ciascun di questa risma, 39 quand’avem volta la dolente strada; però che le ferite son richiuse prima ch’altri dinanzi li rivada. 42 Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse, forse per indugiar d’ire a la pena ch’è giudicata in su le tue accuse?». 45 «Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena», rispuose ’l mio maestro «a tormentarlo; ma per dar lui esperienza piena, 48 a me, che morto son, convien menarlo per lo ’nferno qua giù di giro in giro; e quest’è ver così com’io ti parlo». 51 Più fuor di cento che, quando l’udiro, s’arrestaron nel fosso a riguardarmi per maraviglia obliando il martiro. 54 «Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi, tu che forse vedra’ il sole in breve, s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, 57 sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, ch’altrimenti acquistar non sarìa leve». 60 Poi che l’un piè per girsene sospese, Maometto mi disse esta parola; indi a partirsi in terra lo distese. 63 Un altro, che forata avea la gola e tronco ’l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai ch’una orecchia sola, 66 ristato a riguardar per maraviglia con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, ch’era di fuor d’ogni parte vermiglia, 69 Letteratura italiana Einaudi 116 Dante Alighieri - Commedia e disse: «O tu cui colpa non condanna e cu’ io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non m’inganna, 72 rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina. 75 E fa saper a’ due miglior da Fano, a messer Guido e anco ad Angiolello, che, se l’antiveder qui non è vano, 78 gittati saran fuor di lor vasello e mazzerati presso a la Cattolica per tradimento d’un tiranno fello. 81 Tra l’isola di Cipri e di Maiolica non vide mai sì gran fallo Nettuno, non da pirate, non da gente argolica. 84 Quel traditor che vede pur con l’uno, e tien la terra che tale qui meco vorrebbe di vedere esser digiuno, 87 farà venirli a parlamento seco; poi farà sì, ch’al vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco». 90 E io a lui: «Dimostrami e dichiara, se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella, chi è colui da la veduta amara». 93 Allor puose la mano a la mascella d’un suo compagno e la bocca li aperse, gridando: «Questi è desso, e non favella. 96 Questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare, affermando che ’l fornito sempre con danno l’attender sofferse». 99 Oh quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata ne la strozza Curio, ch’a dir fu così ardito! 102 E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, levando i moncherin per l’aura fosca, sì che ’l sangue facea la faccia sozza, 105 Letteratura italiana Einaudi 117 Dante Alighieri - Commedia gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca, che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”, che fu mal seme per la gente tosca». 108 E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; per ch’elli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. 111 Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa, ch’io avrei paura, sanza più prova, di contarla solo; 114 se non che coscienza m’assicura, la buona compagnia che l’uom francheggia sotto l’asbergo del sentirsi pura. 117 Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia, un busto sanza capo andar sì come andavan li altri de la trista greggia; 120 e ’l capo tronco tenea per le chiome, pesol con mano a guisa di lanterna; e quel mirava noi e dicea: «Oh me!». 123 Di sé facea a sé stesso lucerna, ed eran due in uno e uno in due: com’esser può, quei sa che sì governa. 126 Quando diritto al piè del ponte fue, levò ’l braccio alto con tutta la testa, per appressarne le parole sue, 129 che fuoro: «Or vedi la pena molesta tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi s’alcuna è grande come questa. 132 E perché tu di me novella porti, sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma’ conforti. 135 Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli: Achitofèl non fé più d’Absalone e di Davìd coi malvagi punzelli. 138 Perch’io parti’ così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso!, dal suo principio ch’è in questo troncone. 141 Così s’osserva in me lo contrapasso». Letteratura italiana Einaudi 118 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIX La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie sì inebriate, che de lo stare a piangere eran vaghe. 3 Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate? perché la vista tua pur si soffolge là giù tra l’ombre triste smozzicate? 6 Tu non hai fatto sì a l’altre bolge; pensa, se tu annoverar le credi, che miglia ventidue la valle volge. 9 E già la luna è sotto i nostri piedi: lo tempo è poco omai che n’è concesso, e altro è da veder che tu non vedi». 12 «Se tu avessi», rispuos’io appresso, «atteso a la cagion perch’io guardava, forse m’avresti ancor lo star dimesso». 15 Parte sen giva, e io retro li andava, lo duca, già faccendo la risposta, e soggiugnendo: «Dentro a quella cava 18 dov’io tenea or li occhi sì a posta, credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa». 21 Allor disse ’l maestro: «Non si franga lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ello. Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 24 ch’io vidi lui a piè del ponticello mostrarti, e minacciar forte, col dito, e udi’ ’l nominar Geri del Bello. 27 Tu eri allor sì del tutto impedito sovra colui che già tenne Altaforte, che non guardasti in là, sì fu partito». 30 «O duca mio, la violenta morte che non li è vendicata ancor», diss’io, «per alcun che de l’onta sia consorte, 33 Letteratura italiana Einaudi 119 Dante Alighieri - Commedia fece lui disdegnoso; ond’el sen gio sanza parlarmi, sì com’io estimo: e in ciò m’ha el fatto a sé più pio». 36 Così parlammo infino al loco primo che de lo scoglio l’altra valle mostra, se più lume vi fosse, tutto ad imo. 39 Quando noi fummo sor l’ultima chiostra di Malebolge, sì che i suoi conversi potean parere a la veduta nostra, 42 lamenti saettaron me diversi, che di pietà ferrati avean li strali; ond’io li orecchi con le man copersi. 45 Qual dolor fora, se de li spedali, di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre e di Maremma e di Sardigna i mali 48 fossero in una fossa tutti ’nsembre, tal era quivi, e tal puzzo n’usciva qual suol venir de le marcite membre. 51 Noi discendemmo in su l’ultima riva del lungo scoglio, pur da man sinistra; e allor fu la mia vista più viva 54 giù ver lo fondo, la ’ve la ministra de l’alto Sire infallibil giustizia punisce i falsador che qui registra. 57 Non credo ch’a veder maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu l’aere sì pien di malizia, 60 che li animali, infino al picciol vermo, cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, 63 si ristorar di seme di formiche; ch’era a veder per quella oscura valle languir li spirti per diverse biche. 66 Qual sovra ’l ventre, e qual sovra le spalle l’un de l’altro giacea, e qual carpone si trasmutava per lo tristo calle. 69 Letteratura italiana Einaudi 120 Dante Alighieri - Commedia Passo passo andavam sanza sermone, guardando e ascoltando li ammalati, che non potean levar le lor persone. 72 Io vidi due sedere a sé poggiati, com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia, dal capo al piè di schianze macolati; 75 e non vidi già mai menare stregghia a ragazzo aspettato dal segnorso, né a colui che mal volontier vegghia, 78 come ciascun menava spesso il morso de l’unghie sopra sé per la gran rabbia del pizzicor, che non ha più soccorso; 81 e sì traevan giù l’unghie la scabbia, come coltel di scardova le scaglie o d’altro pesce che più larghe l’abbia. 84 «O tu che con le dita ti dismaglie», cominciò ’l duca mio a l’un di loro, «e che fai d’esse talvolta tanaglie, 87 dinne s’alcun Latino è tra costoro che son quinc’entro, se l’unghia ti basti etternalmente a cotesto lavoro». 90 «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti qui ambedue», rispuose l’un piangendo; «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?». 93 E ’l duca disse: «I’ son un che discendo con questo vivo giù di balzo in balzo, e di mostrar lo ’nferno a lui intendo». 96 Allor si ruppe lo comun rincalzo; e tremando ciascuno a me si volse con altri che l’udiron di rimbalzo. 99 Lo buon maestro a me tutto s’accolse, dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»; e io incominciai, poscia ch’ei volse: 102 «Se la vostra memoria non s’imboli nel primo mondo da l’umane menti, ma s’ella viva sotto molti soli, 105 Letteratura italiana Einaudi 121 Dante Alighieri - Commedia ditemi chi voi siete e di che genti; la vostra sconcia e fastidiosa pena di palesarvi a me non vi spaventi». 108 «Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena», rispuose l’un, «mi fé mettere al foco; ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena. 111 Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco: “I’ mi saprei levar per l’aere a volo”; e quei, ch’avea vaghezza e senno poco, 114 volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo perch’io nol feci Dedalo, mi fece ardere a tal che l’avea per figliuolo. 117 Ma nell’ultima bolgia de le diece me per l’alchìmia che nel mondo usai dannò Minòs, a cui fallar non lece». 120 E io dissi al poeta: «Or fu già mai gente sì vana come la sanese? Certo non la francesca sì d’assai!». 123 Onde l’altro lebbroso, che m’intese, rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca che seppe far le temperate spese, 126 e Niccolò che la costuma ricca del garofano prima discoverse ne l’orto dove tal seme s’appicca; 129 e tra’ne la brigata in che disperse Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda, e l’Abbagliato suo senno proferse. 132 Ma perché sappi chi sì ti seconda contra i Sanesi, aguzza ver me l’occhio, sì che la faccia mia ben ti risponda: 135 sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio, che falsai li metalli con l’alchìmia; e te dee ricordar, se ben t’adocchio, 138 com’io fui di natura buona scimia». Letteratura italiana Einaudi 122 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXX Nel tempo che Iunone era crucciata per Semelè contra ’l sangue tebano, come mostrò una e altra fiata, 3 Atamante divenne tanto insano, che veggendo la moglie con due figli andar carcata da ciascuna mano, 6 gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli la leonessa e ’ leoncini al varco»; e poi distese i dispietati artigli, 9 prendendo l’un ch’avea nome Learco, e rotollo e percosselo ad un sasso; e quella s’annegò con l’altro carco. 12 E quando la fortuna volse in basso l’altezza de’ Troian che tutto ardiva, sì che ’nsieme col regno il re fu casso, 15 Ecuba trista, misera e cattiva, poscia che vide Polissena morta, e del suo Polidoro in su la riva 18 del mar si fu la dolorosa accorta, forsennata latrò sì come cane; tanto il dolor le fé la mente torta. 21 Ma né di Tebe furie né troiane si vider mai in alcun tanto crude, non punger bestie, nonché membra umane, 24 quant’io vidi in due ombre smorte e nude, che mordendo correvan di quel modo che ’l porco quando del porcil si schiude. 27 L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo del collo l’assannò, sì che, tirando, grattar li fece il ventre al fondo sodo. 30 E l’Aretin che rimase, tremando mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui così conciando». 33 Letteratura italiana Einaudi 123 Dante Alighieri - Commedia «Oh!», diss’io lui, «se l’altro non ti ficchi li denti a dosso, non ti sia fatica a dir chi è, pria che di qui si spicchi». 36 Ed elli a me: «Quell’è l’anima antica di Mirra scellerata, che divenne al padre fuor del dritto amore amica. 39 Questa a peccar con esso così venne, falsificando sé in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne, 42 per guadagnar la donna de la torma, falsificare in sé Buoso Donati, testando e dando al testamento norma». 45 E poi che i due rabbiosi fuor passati sovra cu’ io avea l’occhio tenuto, rivolsilo a guardar li altri mal nati. 48 Io vidi un, fatto a guisa di leuto, pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto. 51 La grave idropesì, che sì dispaia le membra con l’omor che mal converte, che ’l viso non risponde a la ventraia, 54 facea lui tener le labbra aperte come l’etico fa, che per la sete l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte. 57 «O voi che sanz’alcuna pena siete, e non so io perché, nel mondo gramo», diss’elli a noi, «guardate e attendete 60 a la miseria del maestro Adamo: io ebbi vivo assai di quel ch’i’ volli, e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo. 63 Li ruscelletti che d’i verdi colli del Casentin discendon giuso in Arno, faccendo i lor canali freddi e molli, 66 sempre mi stanno innanzi, e non indarno, ché l’imagine lor vie più m’asciuga che ’l male ond’io nel volto mi discarno. 69 Letteratura italiana Einaudi 124 Dante Alighieri - Commedia La rigida giustizia che mi fruga tragge cagion del loco ov’io peccai a metter più li miei sospiri in fuga. 72 Ivi è Romena, là dov’io falsai la lega suggellata del Batista; per ch’io il corpo sù arso lasciai. 75 Ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista. 78 Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate ombre che vanno intorno dicon vero; ma che mi val, c’ho le membra legate? 81 S’io fossi pur di tanto ancor leggero ch’i’ potessi in cent’anni andare un’oncia, io sarei messo già per lo sentiero, 84 cercando lui tra questa gente sconcia, con tutto ch’ella volge undici miglia, e men d’un mezzo di traverso non ci ha. 87 Io son per lor tra sì fatta famiglia: e’ m’indussero a batter li fiorini ch’avevan tre carati di mondiglia». 90 E io a lui: «Chi son li due tapini che fumman come man bagnate ’l verno, giacendo stretti a’ tuoi destri confini?». 93 «Qui li trovai – e poi volta non dierno – », rispuose, «quando piovvi in questo greppo, e non credo che dieno in sempiterno. 96 L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo; l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia: per febbre aguta gittan tanto leppo». 99 E l’un di lor, che si recò a noia forse d’esser nomato sì oscuro, col pugno li percosse l’epa croia. 102 Quella sonò come fosse un tamburo; e mastro Adamo li percosse il volto col braccio suo, che non parve men duro, 105 Letteratura italiana Einaudi 125 Dante Alighieri - Commedia dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto lo muover per le membra che son gravi, ho io il braccio a tal mestiere sciolto». 108 Ond’ei rispuose: «Quando tu andavi al fuoco, non l’avei tu così presto; ma sì e più l’avei quando coniavi». 111 E l’idropico: «Tu di’ ver di questo: ma tu non fosti sì ver testimonio là ’ve del ver fosti a Troia richesto». 114 «S’io dissi falso, e tu falsasti il conio», disse Sinon; «e son qui per un fallo, e tu per più ch’alcun altro demonio!». 117 «Ricorditi, spergiuro, del cavallo», rispuose quel ch’avea infiata l’epa; «e sieti reo che tutto il mondo sallo!». 120 «E te sia rea la sete onde ti crepa», disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!». 123 Allora il monetier: «Così si squarcia la bocca tua per tuo mal come suole; ché s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia, 126 tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole, e per leccar lo specchio di Narcisso, non vorresti a ’nvitar molte parole». 129 Ad ascoltarli er’io del tutto fisso, quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira, che per poco che teco non mi risso!». 132 Quand’io ’l senti’ a me parlar con ira, volsimi verso lui con tal vergogna, ch’ancor per la memoria mi si gira. 135 Qual è colui che suo dannaggio sogna, che sognando desidera sognare, sì che quel ch’è, come non fosse, agogna, 138 tal mi fec’io, non possendo parlare, che disiava scusarmi, e scusava me tuttavia, e nol mi credea fare. 141 Letteratura italiana Einaudi 126 Dante Alighieri - Commedia «Maggior difetto men vergogna lava», disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato; però d’ogne trestizia ti disgrava. 144 E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, se più avvien che fortuna t’accoglia dove sien genti in simigliante piato: 147 ché voler ciò udire è bassa voglia». Letteratura italiana Einaudi 127 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXI Una medesma lingua pria mi morse, sì che mi tinse l’una e l’altra guancia, e poi la medicina mi riporse; 3 così od’io che solea far la lancia d’Achille e del suo padre esser cagione prima di trista e poi di buona mancia. 6 Noi demmo il dosso al misero vallone su per la ripa che ’l cinge dintorno, attraversando sanza alcun sermone. 9 Quiv’era men che notte e men che giorno, sì che ’l viso m’andava innanzi poco; ma io senti’ sonare un alto corno, 12 tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco, che, contra sé la sua via seguitando, dirizzò li occhi miei tutti ad un loco. 15 Dopo la dolorosa rotta, quando Carlo Magno perdé la santa gesta, non sonò sì terribilmente Orlando. 18 Poco portai in là volta la testa, che me parve veder molte alte torri; ond’io: «Maestro, di’, che terra è questa?». 21 Ed elli a me: «Però che tu trascorri per le tenebre troppo da la lungi, avvien che poi nel maginare abborri. 24 Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, quanto ’l senso s’inganna di lontano; però alquanto più te stesso pungi». 27 Poi caramente mi prese per mano, e disse: «Pria che noi siamo più avanti, acciò che ’l fatto men ti paia strano, 30 sappi che non son torri, ma giganti, e son nel pozzo intorno da la ripa da l’umbilico in giuso tutti quanti». 33 Letteratura italiana Einaudi 128 Dante Alighieri - Commedia Come quando la nebbia si dissipa, lo sguardo a poco a poco raffigura ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa, 36 così forando l’aura grossa e scura, più e più appressando ver’ la sponda, fuggiemi errore e cresciemi paura; 39 però che come su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, così la proda che ’l pozzo circonda 42 torreggiavan di mezza la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora quando tuona. 45 E io scorgeva già d’alcun la faccia, le spalle e ’l petto e del ventre gran parte, e per le coste giù ambo le braccia. 48 Natura certo, quando lasciò l’arte di sì fatti animali, assai fé bene per tòrre tali essecutori a Marte. 51 E s’ella d’elefanti e di balene non si pente, chi guarda sottilmente, più giusta e più discreta la ne tene; 54 ché dove l’argomento de la mente s’aggiugne al mal volere e a la possa, nessun riparo vi può far la gente. 57 La faccia sua mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma, e a sua proporzione eran l’altre ossa; 60 sì che la ripa, ch’era perizoma dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto di sovra, che di giugnere a la chioma 63 tre Frison s’averien dato mal vanto; però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi dal loco in giù dov’omo affibbia ’l manto. 66 « Raphél maì amèche zabì almi», cominciò a gridar la fiera bocca, cui non si convenia più dolci salmi. 69 Letteratura italiana Einaudi 129 Dante Alighieri - Commedia E ’l duca mio ver lui: «Anima sciocca, tienti col corno, e con quel ti disfoga quand’ira o altra passion ti tocca! 72 Cércati al collo, e troverai la soga che ’l tien legato, o anima confusa, e vedi lui che ’l gran petto ti doga». 75 Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa; questi è Nembrotto per lo cui mal coto pur un linguaggio nel mondo non s’usa. 78 Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; ché così è a lui ciascun linguaggio come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto». 81 Facemmo adunque più lungo viaggio, vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro, trovammo l’altro assai più fero e maggio. 84 A cigner lui qual che fosse ’l maestro, non so io dir, ma el tenea soccinto dinanzi l’altro e dietro il braccio destro 87 d’una catena che ’l tenea avvinto dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto si ravvolgea infino al giro quinto. 90 «Questo superbo volle esser esperto di sua potenza contra ’l sommo Giove», disse ’l mio duca, «ond’elli ha cotal merto. 93 Fialte ha nome, e fece le gran prove quando i giganti fer paura a’ dèi; le braccia ch’el menò, già mai non move». 96 E io a lui: «S’esser puote, io vorrei che de lo smisurato Briareo esperienza avesser li occhi miei». 99 Ond’ei rispuose: «Tu vedrai Anteo presso di qui che parla ed è disciolto, che ne porrà nel fondo d’ogne reo. 102 Quel che tu vuo’ veder, più là è molto, ed è legato e fatto come questo, salvo che più feroce par nel volto». 105 Letteratura italiana Einaudi 130 Dante Alighieri - Commedia Non fu tremoto già tanto rubesto, che scotesse una torre così forte, come Fialte a scuotersi fu presto. 108 Allor temett’io più che mai la morte, e non v’era mestier più che la dotta, s’io non avessi viste le ritorte. 111 Noi procedemmo più avante allotta, e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle, sanza la testa, uscia fuor de la grotta. 114 «O tu che ne la fortunata valle che fece Scipion di gloria reda, quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle, 117 recasti già mille leon per preda, e che, se fossi stato a l’alta guerra de’tuoi fratelli, ancor par che si creda 120 ch’avrebber vinto i figli de la terra; mettine giù, e non ten vegna schifo, dove Cocito la freddura serra. 123 Non ci fare ire a Tizio né a Tifo: questi può dar di quel che qui si brama; però ti china, e non torcer lo grifo. 126 Ancor ti può nel mondo render fama, ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama». 129 Così disse ’l maestro; e quelli in fretta le man distese, e prese ’l duca mio, ond’Ercule sentì già grande stretta. 132 Virgilio, quando prender si sentio, disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»; poi fece sì ch’un fascio era elli e io. 135 Qual pare a riguardar la Carisenda sotto ’l chinato, quando un nuvol vada sovr’essa sì, ched ella incontro penda; 138 tal parve Anteo a me che stava a bada di vederlo chinare, e fu tal ora ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. 141 Letteratura italiana Einaudi 131 Dante Alighieri - Commedia Ma lievemente al fondo che divora Lucifero con Giuda, ci sposò; né sì chinato, lì fece dimora, 144 e come albero in nave si levò. Letteratura italiana Einaudi 132 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXII S’io avessi le rime aspre e chiocce, come si converrebbe al tristo buco sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce, 3 io premerei di mio concetto il suco più pienamente; ma perch’io non l’abbo, non sanza tema a dicer mi conduco; 6 ché non è impresa da pigliare a gabbo discriver fondo a tutto l’universo, né da lingua che chiami mamma o babbo. 9 Ma quelle donne aiutino il mio verso ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe, sì che dal fatto il dir non sia diverso. 12 Oh sovra tutte mal creata plebe che stai nel loco onde parlare è duro, mei foste state qui pecore o zebe! 15 Come noi fummo giù nel pozzo scuro sotto i piè del gigante assai più bassi, e io mirava ancora a l’alto muro, 18 dicere udi’mi: «Guarda come passi: va sì, che tu non calchi con le piante le teste de’ fratei miseri lassi». 21 Per ch’io mi volsi, e vidimi davante e sotto i piedi un lago che per gelo avea di vetro e non d’acqua sembiante. 24 Non fece al corso suo sì grosso velo di verno la Danoia in Osterlicchi, né Tanai là sotto ’l freddo cielo, 27 com’era quivi; che se Tambernicchi vi fosse sù caduto, o Pietrapana, non avria pur da l’orlo fatto cricchi. 30 E come a gracidar si sta la rana col muso fuor de l’acqua, quando sogna di spigolar sovente la villana; 33 Letteratura italiana Einaudi 133 Dante Alighieri - Commedia livide, insin là dove appar vergogna eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia, mettendo i denti in nota di cicogna. 36 Ognuna in giù tenea volta la faccia; da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo tra lor testimonianza si procaccia. 39 Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto, volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti, che ’l pel del capo avieno insieme misto. 42 «Ditemi, voi che sì strignete i petti», diss’io, «chi siete?». E quei piegaro i colli; e poi ch’ebber li visi a me eretti, 45 li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli, gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse le lagrime tra essi e riserrolli. 48 Con legno legno spranga mai non cinse forte così; ond’ei come due becchi cozzaro insieme, tanta ira li vinse. 51 E un ch’avea perduti ambo li orecchi per la freddura, pur col viso in giùe, disse: «Perché cotanto in noi ti specchi? 54 Se vuoi saper chi son cotesti due, la valle onde Bisenzo si dichina del padre loro Alberto e di lor fue. 57 D’un corpo usciro; e tutta la Caina potrai cercare, e non troverai ombra degna più d’esser fitta in gelatina; 60 non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra con esso un colpo per la man d’Artù; non Focaccia; non questi che m’ingombra 63 col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più, e fu nomato Sassol Mascheroni; se tosco se’, ben sai omai chi fu. 66 E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi; e aspetto Carlin che mi scagioni». 69 Letteratura italiana Einaudi 134 Dante Alighieri - Commedia Poscia vid’io mille visi cagnazzi fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, e verrà sempre, de’ gelati guazzi. 72 E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo al quale ogne gravezza si rauna, e io tremava ne l’etterno rezzo; 75 se voler fu o destino o fortuna, non so; ma, passeggiando tra le teste, forte percossi ’l piè nel viso ad una. 78 Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste? se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste?». 81 E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta, si ch’io esca d’un dubbio per costui; poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». 84 Lo duca stette, e io dissi a colui che bestemmiava duramente ancora: «Qual se’ tu che così rampogni altrui?». 87 «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora, percotendo», rispuose, «altrui le gote, sì che, se fossi vivo, troppo fora?». 90 «Vivo son io, e caro esser ti puote», fu mia risposta, «se dimandi fama, ch’io metta il nome tuo tra l’altre note». 93 Ed elli a me: «Del contrario ho io brama. Lèvati quinci e non mi dar più lagna, ché mal sai lusingar per questa lama!». 96 Allor lo presi per la cuticagna, e dissi: «El converrà che tu ti nomi, o che capel qui sù non ti rimagna». 99 Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi, né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti, se mille fiate in sul capo mi tomi». 102 Io avea già i capelli in mano avvolti, e tratto glien’avea più d’una ciocca, latrando lui con li occhi in giù raccolti, 105 Letteratura italiana Einaudi 135 Dante Alighieri - Commedia quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca? non ti basta sonar con le mascelle, se tu non latri? qual diavol ti tocca?». 108 «Omai», diss’io, «non vo’ che più favelle, malvagio traditor; ch’a la tua onta io porterò di te vere novelle». 111 «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta; ma non tacer, se tu di qua entro eschi, di quel ch’ebbe or così la lingua pronta. 114 El piange qui l’argento de’ Franceschi: “Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera là dove i peccatori stanno freschi”. 117 Se fossi domandato “Altri chi v’era?”, tu hai dallato quel di Beccheria di cui segò Fiorenza la gorgiera. 120 Gianni de’ Soldanier credo che sia più là con Ganellone e Tebaldello, ch’aprì Faenza quando si dormia». 123 Noi eravam partiti già da ello, ch’io vidi due ghiacciati in una buca, sì che l’un capo a l’altro era cappello; 126 e come ’l pan per fame si manduca, così ’l sovran li denti a l’altro pose là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca: 129 non altrimenti Tideo si rose le tempie a Menalippo per disdegno, che quei faceva il teschio e l’altre cose. 132 «O tu che mostri per sì bestial segno odio sovra colui che tu ti mangi, dimmi ’l perché», diss’io, «per tal convegno, 135 che se tu a ragion di lui ti piangi, sappiendo chi voi siete e la sua pecca, nel mondo suso ancora io te ne cangi, 138 se quella con ch’io parlo non si secca». Letteratura italiana Einaudi 136 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXIII La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’capelli del capo ch’elli avea di retro guasto. 3 Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ’l cor mi preme già pur pensando, pria ch’io ne favelli. 6 Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo, parlar e lagrimar vedrai insieme. 9 Io non so chi tu se’ né per che modo venuto se’ qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente quand’io t’odo. 12 Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino. 15 Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri; 18 però quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. 21 Breve pertugio dentro da la Muda la qual per me ha ’l titol de la fame, e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, 24 m’avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand’io feci ’l mal sonno che del futuro mi squarciò ’l velame. 27 Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ’ lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non ponno. 30 Con cagne magre, studiose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s’avea messi dinanzi da la fronte. 33 Letteratura italiana Einaudi 137 Dante Alighieri - Commedia In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ’ figli, e con l’agute scane mi parea lor veder fender li fianchi. 36 Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli ch’eran con meco, e dimandar del pane. 39 Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? 42 Già eran desti, e l’ora s’appressava che ’l cibo ne solea essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava; 45 e io senti’ chiavar l’uscio di sotto a l’orribile torre; ond’io guardai nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto. 48 Io non piangea, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”. 51 Perciò non lacrimai né rispuos’io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l’altro sol nel mondo uscìo. 54 Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso, 57 ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia di manicar, di subito levorsi 60 e disser: “Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia”. 63 Queta’mi allor per non farli più tristi; lo dì e l’altro stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t’apristi? 66 Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi, dicendo: “Padre mio, ché non mi aiuti?”. 69 Letteratura italiana Einaudi 138 Dante Alighieri - Commedia Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’io cascar li tre ad uno ad uno tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi, 72 già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno». 75 Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese ’l teschio misero co’denti, che furo a l’osso, come d’un can, forti. 78 Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove ’l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, 81 muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli annieghi in te ogne persona! 84 Ché se ’l conte Ugolino aveva voce d’aver tradita te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 87 Innocenti facea l’età novella, novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata e li altri due che ’l canto suso appella. 90 Noi passammo oltre, là ’ve la gelata ruvidamente un’altra gente fascia, non volta in giù, ma tutta riversata. 93 Lo pianto stesso lì pianger non lascia, e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo, si volge in entro a far crescer l’ambascia; 96 ché le lagrime prime fanno groppo, e sì come visiere di cristallo, riempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. 99 E avvegna che, sì come d’un callo, per la freddura ciascun sentimento cessato avesse del mio viso stallo, 102 già mi parea sentire alquanto vento: per ch’io: «Maestro mio, questo chi move? non è qua giù ogne vapore spento?». 105 Letteratura italiana Einaudi 139 Dante Alighieri - Commedia Ond’elli a me: «Avaccio sarai dove di ciò ti farà l’occhio la risposta, veggendo la cagion che ’l fiato piove». 108 E un de’ tristi de la fredda crosta gridò a noi: «O anime crudeli, tanto che data v’è l’ultima posta, 111 levatemi dal viso i duri veli, sì ch’io sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna, un poco, pria che ’l pianto si raggeli». 114 Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna, dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo, al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». 117 Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo; i’ son quel da le frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo». 120 «Oh!», diss’io lui, «or se’ tu ancor morto?». Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea nel mondo sù, nulla scienza porto. 123 Cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte l’anima ci cade innanzi ch’Atropòs mossa le dea. 126 E perché tu più volentier mi rade le ’nvetriate lagrime dal volto, sappie che, tosto che l’anima trade 129 come fec’io, il corpo suo l’è tolto da un demonio, che poscia il governa mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto. 132 Ella ruina in sì fatta cisterna; e forse pare ancor lo corpo suso de l’ombra che di qua dietro mi verna. 135 Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso: elli è ser Branca Doria, e son più anni poscia passati ch’el fu sì racchiuso». 138 «Io credo», diss’io lui, «che tu m’inganni; ché Branca Doria non morì unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni». 141 Letteratura italiana Einaudi 140 Dante Alighieri - Commedia «Nel fosso sù», diss’el, «de’ Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancor giunto Michel Zanche, 144 che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che ’l tradimento insieme con lui fece. 147 Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi». E io non gliel’apersi; e cortesia fu lui esser villano. 150 Ahi Genovesi, uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogne magagna, perché non siete voi del mondo spersi? 153 Ché col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima in Cocito già si bagna, 156 e in corpo par vivo ancor di sopra. Letteratura italiana Einaudi 141 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXIV « Vexilla regis prodeunt inferni verso di noi; però dinanzi mira», disse ’l maestro mio «se tu ’l discerni». 3 Come quando una grossa nebbia spira, o quando l’emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che ’l vento gira, 6 veder mi parve un tal dificio allotta; poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio; ché non lì era altra grotta. 9 Già era, e con paura il metto in metro, là dove l’ombre tutte eran coperte, e trasparien come festuca in vetro. 12 Altre sono a giacere; altre stanno erte, quella col capo e quella con le piante; altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. 15 Quando noi fummo fatti tanto avante, ch’al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 18 d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco ove convien che di fortezza t’armi». 21 Com’io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, però ch’ogne parlar sarebbe poco. 24 Io non mori’ e non rimasi vivo: pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno, qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 27 Lo ’mperador del doloroso regno da mezzo ’l petto uscìa fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, 30 che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant’esser dee quel tutto ch’a così fatta parte si confaccia. 33 Letteratura italiana Einaudi 142 Dante Alighieri - Commedia S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto. 36 Oh quanto parve a me gran maraviglia quand’io vidi tre facce a la sua testa! L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 39 l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, e sé giugnieno al loco de la cresta: 42 e la destra parea tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 45 Sotto ciascuna uscivan due grand’ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid’io mai cotali. 48 Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: 51 quindi Cocito tutto s’aggelava. Con sei occhi piangea, e per tre menti gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 54 Da ogne bocca dirompea co’ denti un peccatore, a guisa di maciulla, sì che tre ne facea così dolenti. 57 A quel dinanzi il mordere era nulla verso ’l graffiar, che talvolta la schiena rimanea de la pelle tutta brulla. 60 «Quell’anima là sù c’ha maggior pena», disse ’l maestro, «è Giuda Scariotto, che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. 63 De li altri due c’hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; 66 e l’altro è Cassio che par sì membruto. Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto». 69 Letteratura italiana Einaudi 143 Dante Alighieri - Commedia Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai; ed el prese di tempo e loco poste, e quando l’ali fuoro aperte assai, 72 appigliò sé a le vellute coste; di vello in vello giù discese poscia tra ’l folto pelo e le gelate croste. 75 Quando noi fummo là dove la coscia si volge, a punto in sul grosso de l’anche, lo duca, con fatica e con angoscia, 78 volse la testa ov’elli avea le zanche, e aggrappossi al pel com’om che sale, sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. 81 «Attienti ben, ché per cotali scale», disse ’l maestro, ansando com’uom lasso, «conviensi dipartir da tanto male». 84 Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso, e puose me in su l’orlo a sedere; appresso porse a me l’accorto passo. 87 Io levai li occhi e credetti vedere Lucifero com’io l’avea lasciato, e vidili le gambe in sù tenere; 90 e s’io divenni allora travagliato, la gente grossa il pensi, che non vede qual è quel punto ch’io avea passato. 93 «Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede: la via è lunga e ’l cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede». 96 Non era camminata di palagio là ’v’eravam, ma natural burella ch’avea mal suolo e di lume disagio. 99 «Prima ch’io de l’abisso mi divella, maestro mio», diss’io quando fui dritto, «a trarmi d’erro un poco mi favella: 102 ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto sì sottosopra? e come, in sì poc’ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». 105 Letteratura italiana Einaudi 144 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Tu imagini ancora d’esser di là dal centro, ov’io mi presi al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. 108 Di là fosti cotanto quant’io scesi; quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto al qual si traggon d’ogne parte i pesi. 111 E se’ or sotto l’emisperio giunto ch’è contraposto a quel che la gran secca coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto 114 fu l’uom che nacque e visse sanza pecca: tu hai i piedi in su picciola spera che l’altra faccia fa de la Giudecca. 117 Qui è da man, quando di là è sera; e questi, che ne fé scala col pelo, fitto è ancora sì come prim’era. 120 Da questa parte cadde giù dal cielo; e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fé del mar velo, 123 e venne a l’emisperio nostro; e forse per fuggir lui lasciò qui loco vòto quella ch’appar di qua, e sù ricorse». 126 Luogo è là giù da Belzebù remoto tanto quanto la tomba si distende, che non per vista, ma per suono è noto 129 d’un ruscelletto che quivi discende per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, col corso ch’elli avvolge, e poco pende. 132 Lo duca e io per quel cammino ascoso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, 135 salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. 138 E quindi uscimmo a riveder le stelle. Letteratura italiana Einaudi 145 Dante Alighieri - Commedia PURGATORIO CANTO I Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele; 3 e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. 6 Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che vostro sono; e qui Caliopè alquanto surga, 9 seguitando il mio canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono. 12 Dolce color d’oriental zaffiro, che s’accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro, 15 a li occhi miei ricominciò diletto, tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta che m’avea contristati li occhi e ’l petto. 18 Lo bel pianeto che d’amar conforta faceva tutto rider l’oriente, velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 21 I’ mi volsi a man destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente. 24 Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: oh settentrional vedovo sito, poi che privato se’ di mirar quelle! 27 Com’io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l’altro polo, là onde il Carro già era sparito, 30 Letteratura italiana Einaudi 146 Dante Alighieri - Commedia vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista, che più non dee a padre alcun figliuolo. 33 Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a’ suoi capelli simigliante, de’ quai cadeva al petto doppia lista. 36 Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume, ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 39 «Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?», diss’el, movendo quelle oneste piume. 42 «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte che sempre nera fa la valle inferna? 45 Son le leggi d’abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?». 48 Lo duca mio allor mi diè di piglio, e con parole e con mani e con cenni reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 51 Poscia rispuose lui: «Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de la mia compagnia costui sovvenni. 54 Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com’ell’è vera, esser non puote il mio che a te si nieghi. 57 Questi non vide mai l’ultima sera; ma per la sua follia le fu sì presso, che molto poco tempo a volger era. 60 Sì com’io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra via che questa per la quale i’ mi son messo. 63 Mostrata ho lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti che purgan sé sotto la tua balìa. 66 Letteratura italiana Einaudi 147 Dante Alighieri - Commedia Com’io l’ho tratto, saria lungo a dirti; de l’alto scende virtù che m’aiuta conducerlo a vederti e a udirti. 69 Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta. 72 Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. 75 Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive, e Minòs me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti 78 di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81 Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei, se d’esser mentovato là giù degni». 84 «Marzia piacque tanto a li occhi miei mentre ch’i’ fu’ di là», diss’elli allora, «che quante grazie volse da me, fei. 87 Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n’usci’ fora. 90 Ma se donna del ciel ti muove e regge, come tu di’ , non c’è mestier lusinghe: bastisi ben che per lei mi richegge. 93 Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 96 ché non si converria, l’occhio sorpriso d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo ministro, ch’è di quei di paradiso. 99 Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l’onda, porta di giunchi sovra ’l molle limo; 102 Letteratura italiana Einaudi 148 Dante Alighieri - Commedia null’altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però ch’a le percosse non seconda. 105 Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai, prendere il monte a più lieve salita». 108 Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111 El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua dichina questa pianura a’ suoi termini bassi». 114 L’alba vinceva l’ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano conobbi il tremolar de la marina. 117 Noi andavam per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada, che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 120 Quando noi fummo là ’ve la rugiada pugna col sole, per essere in parte dove, ad orezza, poco si dirada, 123 ambo le mani in su l’erbetta sparte soavemente ’l mio maestro pose: ond’io, che fui accorto di sua arte, 126 porsi ver’ lui le guance lagrimose: ivi mi fece tutto discoverto quel color che l’inferno mi nascose. 129 Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto. 132 Quivi mi cinse sì com’altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse l’umile pianta, cotal si rinacque 135 subitamente là onde l’avelse. Letteratura italiana Einaudi 149 Dante Alighieri - Commedia CANTO II Già era ’l sole a l’orizzonte giunto lo cui meridian cerchio coverchia Ierusalèm col suo più alto punto; 3 e la notte, che opposita a lui cerchia, uscia di Gange fuor con le Bilance, che le caggion di man quando soverchia; 6 sì che le bianche e le vermiglie guance, là dov’i’ era, de la bella Aurora per troppa etate divenivan rance. 9 Noi eravam lunghesso mare ancora, come gente che pensa a suo cammino, che va col cuore e col corpo dimora. 12 Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra ’l suol marino, 15 cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì ratto, che ’l muover suo nessun volar pareggia. 18 Dal qual com’io un poco ebbi ritratto l’occhio per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto. 21 Poi d’ogne lato ad esso m’appario un non sapeva che bianco, e di sotto a poco a poco un altro a lui uscio. 24 Lo mio maestro ancor non facea motto, mentre che i primi bianchi apparver ali; allor che ben conobbe il galeotto, 27 gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. Ecco l’angel di Dio: piega le mani; omai vedrai di sì fatti officiali. 30 Vedi che sdegna li argomenti umani, sì che remo non vuol, né altro velo che l’ali sue, tra liti sì lontani. 33 Letteratura italiana Einaudi 150 Dante Alighieri - Commedia Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo, trattando l’aere con l’etterne penne, che non si mutan come mortal pelo». 36 Poi, come più e più verso noi venne l’uccel divino, più chiaro appariva: per che l’occhio da presso nol sostenne, 39 ma chinail giuso; e quei sen venne a riva con un vasello snelletto e leggero, tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva. 42 Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che faria beato pur descripto; e più di cento spirti entro sediero. 45 ‘ In exitu Israel de Aegypto’ cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto. 48 Poi fece il segno lor di santa croce; ond’ei si gittar tutti in su la piaggia; ed el sen gì, come venne, veloce. 51 La turba che rimase lì, selvaggia parea del loco, rimirando intorno come colui che nove cose assaggia. 54 Da tutte parti saettava il giorno lo sol, ch’avea con le saette conte di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno, 57 quando la nova gente alzò la fronte ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, mostratene la via di gire al monte». 60 E Virgilio rispuose: «Voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete. 63 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, per altra via, che fu sì aspra e forte, che lo salire omai ne parrà gioco». 66 L’anime, che si fuor di me accorte, per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo, maravigliando diventaro smorte. 69 Letteratura italiana Einaudi 151 Dante Alighieri - Commedia E come a messagger che porta ulivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar nessun si mostra schivo, 72 così al viso mio s’affisar quelle anime fortunate tutte quante, quasi obliando d’ire a farsi belle. 75 Io vidi una di lor trarresi avante per abbracciarmi con sì grande affetto, che mosse me a far lo somigliante. 78 Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante mi tornai con esse al petto. 81 Di maraviglia, credo, mi dipinsi; per che l’ombra sorrise e si ritrasse, e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. 84 Soavemente disse ch’io posasse; allor conobbi chi era, e pregai che, per parlarmi, un poco s’arrestasse. 87 Rispuosemi: «Così com’io t’amai nel mortal corpo, così t’amo sciolta: però m’arresto; ma tu perché vai?». 90 «Casella mio, per tornar altra volta là dov’io son, fo io questo viaggio», diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?». 93 Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio, se quei che leva quando e cui li piace, più volte m’ha negato esto passaggio; 96 ché di giusto voler lo suo si face: veramente da tre mesi elli ha tolto chi ha voluto intrar, con tutta pace. 99 Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto dove l’acqua di Tevero s’insala, benignamente fu’ da lui ricolto. 102 A quella foce ha elli or dritta l’ala, però che sempre quivi si ricoglie qual verso Acheronte non si cala». 105 Letteratura italiana Einaudi 152 Dante Alighieri - Commedia E io: «Se nuova legge non ti toglie memoria o uso a l’amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, 108 di ciò ti piaccia consolare alquanto l’anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto!». 111 ‘ Amor che ne la mente mi ragiona’ cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona. 114 Lo mio maestro e io e quella gente ch’eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente. 117 Noi eravam tutti fissi e attenti a le sue note; ed ecco il veglio onesto gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 120 qual negligenza, quale stare è questo? Correte al monte a spogliarvi lo scoglio ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». 123 Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, 126 se cosa appare ond’elli abbian paura, subitamente lasciano star l’esca, perch’assaliti son da maggior cura; 129 così vid’io quella masnada fresca lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, com’om che va, né sa dove riesca: 132 né la nostra partita fu men tosta. Letteratura italiana Einaudi 153 Dante Alighieri - Commedia CANTO III Avvegna che la subitana fuga dispergesse color per la campagna, rivolti al monte ove ragion ne fruga, 3 i’ mi ristrinsi a la fida compagna: e come sare’ io sanza lui corso? chi m’avria tratto su per la montagna? 6 El mi parea da sé stesso rimorso: o dignitosa coscienza e netta, come t’è picciol fallo amaro morso! 9 Quando li piedi suoi lasciar la fretta, che l’onestade ad ogn’atto dismaga, la mente mia, che prima era ristretta, 12 lo ’ntento rallargò, sì come vaga, e diedi ’l viso mio incontr’al poggio che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. 15 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, rotto m’era dinanzi a la figura, ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio. 18 Io mi volsi dallato con paura d’essere abbandonato, quand’io vidi solo dinanzi a me la terra oscura; 21 e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?», a dir mi cominciò tutto rivolto; «non credi tu me teco e ch’io ti guidi? 24 Vespero è già colà dov’è sepolto lo corpo dentro al quale io facea ombra: Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. 27 Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, non ti maravigliar più che d’i cieli che l’uno a l’altro raggio non ingombra. 30 A sofferir tormenti, caldi e geli simili corpi la Virtù dispone che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli. 33 Letteratura italiana Einaudi 154 Dante Alighieri - Commedia Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via che tiene una sustanza in tre persone. 36 State contenti, umana gente, al quia; ché se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria; 39 e disiar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato, ch’etternalmente è dato lor per lutto: 42 io dico d’Aristotile e di Plato e di molt’altri»; e qui chinò la fronte, e più non disse, e rimase turbato. 45 Noi divenimmo intanto a piè del monte; quivi trovammo la roccia sì erta, che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. 48 Tra Lerice e Turbìa la più diserta, la più rotta ruina è una scala, verso di quella, agevole e aperta. 51 «Or chi sa da qual man la costa cala», disse ’l maestro mio fermando ’l passo, «sì che possa salir chi va sanz’ala?». 54 E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso essaminava del cammin la mente, e io mirava suso intorno al sasso, 57 da man sinistra m’apparì una gente d’anime, che movieno i piè ver’ noi, e non pareva, sì venian lente. 60 «Leva», diss’io, «maestro, li occhi tuoi: ecco di qua chi ne darà consiglio, se tu da te medesmo aver nol puoi». 63 Guardò allora, e con libero piglio rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano; e tu ferma la spene, dolce figlio». 66 Ancora era quel popol di lontano, i’ dico dopo i nostri mille passi, quanto un buon gittator trarria con mano, 69 Letteratura italiana Einaudi 155 Dante Alighieri - Commedia quando si strinser tutti ai duri massi de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti com’a guardar, chi va dubbiando, stassi. 72 «O ben finiti, o già spiriti eletti», Virgilio incominciò, «per quella pace ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti, 75 ditene dove la montagna giace sì che possibil sia l’andare in suso; ché perder tempo a chi più sa più spiace». 78 Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l’altre stanno timidette atterrando l’occhio e ’l muso; 81 e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, addossandosi a lei, s’ella s’arresta, semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; 84 sì vid’io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta, pudica in faccia e ne l’andare onesta. 87 Come color dinanzi vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, sì che l’ombra era da me a la grotta, 90 restaro, e trasser sé in dietro alquanto, e tutti li altri che venieno appresso, non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. 93 «Sanza vostra domanda io vi confesso che questo è corpo uman che voi vedete; per che ’l lume del sole in terra è fesso. 96 Non vi maravigliate, ma credete che non sanza virtù che da ciel vegna cerchi di soverchiar questa parete». 99 Così ’l maestro; e quella gente degna «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque», coi dossi de le man faccendo insegna. 102 E un di loro incominciò: «Chiunque tu se’, così andando, volgi ’l viso: pon mente se di là mi vedesti unque». 105 Letteratura italiana Einaudi 156 Dante Alighieri - Commedia Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. 108 Quand’io mi fui umilmente disdetto d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. 111 Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; ond’io ti priego che, quando tu riedi, 114 vadi a mia bella figlia, genitrice de l’onor di Cicilia e d’Aragona, e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. 117 Poscia ch’io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, piangendo, a quei che volontier perdona. 120 Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei. 123 Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, 126 l’ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, sotto la guardia de la grave mora. 129 Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde, dov’e’ le trasmutò a lume spento. 132 Per lor maladizion sì non si perde, che non possa tornar, l’etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde. 135 Vero è che quale in contumacia more di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta, star li convien da questa ripa in fore, 138 per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, in sua presunzion, se tal decreto più corto per buon prieghi non diventa. 141 Letteratura italiana Einaudi 157 Dante Alighieri - Commedia Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m’hai visto, e anco esto divieto; 144 ché qui per quei di là molto s’avanza». Letteratura italiana Einaudi 158 Dante Alighieri - Commedia CANTO IV Quando per dilettanze o ver per doglie, che alcuna virtù nostra comprenda l’anima bene ad essa si raccoglie, 3 par ch’a nulla potenza più intenda; e questo è contra quello error che crede ch’un’anima sovr’altra in noi s’accenda. 6 E però, quando s’ode cosa o vede che tegna forte a sé l’anima volta, vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede; 9 ch’altra potenza è quella che l’ascolta, e altra è quella c’ha l’anima intera: questa è quasi legata, e quella è sciolta. 12 Di ciò ebb’io esperienza vera, udendo quello spirto e ammirando; ché ben cinquanta gradi salito era 15 lo sole, e io non m’era accorto, quando venimmo ove quell’anime ad una gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». 18 Maggiore aperta molte volte impruna con una forcatella di sue spine l’uom de la villa quando l’uva imbruna, 21 che non era la calla onde saline lo duca mio, e io appresso, soli, come da noi la schiera si partìne. 24 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, montasi su in Bismantova ’n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; 27 dico con l’ale snelle e con le piume del gran disio, di retro a quel condotto che speranza mi dava e facea lume. 30 Noi salavam per entro ’l sasso rotto, e d’ogne lato ne stringea lo stremo, e piedi e man volea il suol di sotto. 33 Letteratura italiana Einaudi 159 Dante Alighieri - Commedia Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo de l’alta ripa, a la scoperta piaggia, «Maestro mio», diss’io, «che via faremo?». 36 Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia; pur su al monte dietro a me acquista, fin che n’appaia alcuna scorta saggia». 39 Lo sommo er’alto che vincea la vista, e la costa superba più assai che da mezzo quadrante a centro lista. 42 Io era lasso, quando cominciai: «O dolce padre, volgiti, e rimira com’io rimango sol, se non restai». 45 «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira», additandomi un balzo poco in sùe che da quel lato il poggio tutto gira. 48 Sì mi spronaron le parole sue, ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue. 51 A seder ci ponemmo ivi ambedui vòlti a levante ond’eravam saliti, che suole a riguardar giovare altrui. 54 Li occhi prima drizzai ai bassi liti; poscia li alzai al sole, e ammirava che da sinistra n’eravam feriti. 57 Ben s’avvide il poeta ch’io stava stupido tutto al carro de la luce, ove tra noi e Aquilone intrava. 60 Ond’elli a me: «Se Castore e Poluce fossero in compagnia di quello specchio che sù e giù del suo lume conduce, 63 tu vedresti il Zodiaco rubecchio ancora a l’Orse più stretto rotare, se non uscisse fuor del cammin vecchio. 66 Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare, dentro raccolto, imagina Siòn con questo monte in su la terra stare 69 Letteratura italiana Einaudi 160 Dante Alighieri - Commedia sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn e diversi emisperi; onde la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn, 72 vedrai come a costui convien che vada da l’un, quando a colui da l’altro fianco, se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada». 75 «Certo, maestro mio,», diss’io, «unquanco non vid’io chiaro sì com’io discerno là dove mio ingegno parea manco, 78 che ’l mezzo cerchio del moto superno, che si chiama Equatore in alcun’arte, e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno, 81 per la ragion che di’ , quinci si parte verso settentrion, quanto li Ebrei vedevan lui verso la calda parte. 84 Ma se a te piace, volontier saprei quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale più che salir non posson li occhi miei». 87 Ed elli a me: «Questa montagna è tale, che sempre al cominciar di sotto è grave; e quant’om più va sù, e men fa male. 90 Però, quand’ella ti parrà soave tanto, che sù andar ti fia leggero com’a seconda giù andar per nave, 93 allor sarai al fin d’esto sentiero; quivi di riposar l’affanno aspetta. Più non rispondo, e questo so per vero». 96 E com’elli ebbe sua parola detta, una voce di presso sonò: «Forse che di sedere in pria avrai distretta!». 99 Al suon di lei ciascun di noi si torse, e vedemmo a mancina un gran petrone, del qual né io né ei prima s’accorse. 102 Là ci traemmo; e ivi eran persone che si stavano a l’ombra dietro al sasso come l’uom per negghienza a star si pone. 105 Letteratura italiana Einaudi 161 Dante Alighieri - Commedia E un di lor, che mi sembiava lasso, sedeva e abbracciava le ginocchia, tenendo ’l viso giù tra esse basso. 108 «O dolce segnor mio», diss’io, «adocchia colui che mostra sé più negligente che se pigrizia fosse sua serocchia». 111 Allor si volse a noi e puose mente, movendo ’l viso pur su per la coscia, e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!». 114 Conobbi allor chi era, e quella angoscia che m’avacciava un poco ancor la lena, non m’impedì l’andare a lui; e poscia 117 ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena, dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole da l’omero sinistro il carro mena?». 120 Li atti suoi pigri e le corte parole mosser le labbra mie un poco a riso; poi cominciai: «Belacqua, a me non dole 123 di te omai; ma dimmi: perché assiso quiritto se’? attendi tu iscorta, o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?». 126 Ed elli: «O frate, andar in sù che porta? ché non mi lascerebbe ire a’ martìri l’angel di Dio che siede in su la porta. 129 Prima convien che tanto il ciel m’aggiri di fuor da essa, quanto fece in vita, perch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri, 132 se orazione in prima non m’aita che surga sù di cuor che in grazia viva; l’altra che val, che ’n ciel non è udita?». 135 E già il poeta innanzi mi saliva, e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco meridian dal sole e a la riva 138 cuopre la notte già col piè Morrocco». Letteratura italiana Einaudi 162 Dante Alighieri - Commedia CANTO V Io era già da quell’ombre partito, e seguitava l’orme del mio duca, quando di retro a me, drizzando ’l dito, 3 una gridò: «Ve’ che non par che luca lo raggio da sinistra a quel di sotto, e come vivo par che si conduca!». 6 Li occhi rivolsi al suon di questo motto, e vidile guardar per maraviglia pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto. 9 «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia», disse ’l maestro, «che l’andare allenti? che ti fa ciò che quivi si pispiglia? 12 Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti; 15 ché sempre l’omo in cui pensier rampolla sovra pensier, da sé dilunga il segno, perché la foga l’un de l’altro insolla. 18 Che potea io ridir, se non «Io vegno»? Dissilo, alquanto del color consperso che fa l’uom di perdon talvolta degno. 21 E ’ntanto per la costa di traverso venivan genti innanzi a noi un poco, cantando ‘ Miserere’ a verso a verso. 24 Quando s’accorser ch’i’ non dava loco per lo mio corpo al trapassar d’i raggi, mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco; 27 e due di loro, in forma di messaggi, corsero incontr’a noi e dimandarne: «Di vostra condizion fatene saggi». 30 E ’l mio maestro: «Voi potete andarne e ritrarre a color che vi mandaro che ’l corpo di costui è vera carne. 33 Letteratura italiana Einaudi 163 Dante Alighieri - Commedia Se per veder la sua ombra restaro, com’io avviso, assai è lor risposto: fàccianli onore, ed essere può lor caro». 36 Vapori accesi non vid’io sì tosto di prima notte mai fender sereno, né, sol calando, nuvole d’agosto, 39 che color non tornasser suso in meno; e, giunti là, con li altri a noi dier volta come schiera che scorre sanza freno. 42 «Questa gente che preme a noi è molta, e vegnonti a pregar», disse ’l poeta: «però pur va, e in andando ascolta». 45 «O anima che vai per esser lieta con quelle membra con le quai nascesti», venian gridando, «un poco il passo queta. 48 Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, sì che di lui di là novella porti: deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? 51 Noi fummo tutti già per forza morti, e peccatori infino a l’ultima ora; quivi lume del ciel ne fece accorti, 54 sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del disio di sé veder n’accora». 57 E io: «Perché ne’ vostri visi guati, non riconosco alcun; ma s’a voi piace cosa ch’io possa, spiriti ben nati, 60 voi dite, e io farò per quella pace che, dietro a’ piedi di sì fatta guida di mondo in mondo cercar mi si face». 63 E uno incominciò: «Ciascun si fida del beneficio tuo sanza giurarlo, pur che ’l voler nonpossa non ricida. 66 Ond’io, che solo innanzi a li altri parlo, ti priego, se mai vedi quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo, 69 Letteratura italiana Einaudi 164 Dante Alighieri - Commedia che tu mi sie di tuoi prieghi cortese in Fano, sì che ben per me s’adori pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. 72 Quindi fu’ io; ma li profondi fóri ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea, fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, 75 là dov’io più sicuro esser credea: quel da Esti il fé far, che m’avea in ira assai più là che dritto non volea. 78 Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, quando fu’ sovragiunto ad Oriaco, ancor sarei di là dove si spira. 81 Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io de le mie vene farsi in terra laco». 84 Poi disse un altro: «Deh, se quel disio si compia che ti tragge a l’alto monte, con buona pietate aiuta il mio! 87 Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; Giovanna o altri non ha di me cura; per ch’io vo tra costor con bassa fronte». 90 E io a lui: «Qual forza o qual ventura ti traviò sì fuor di Campaldino, che non si seppe mai tua sepultura?». 93 «Oh!», rispuos’elli, «a piè del Casentino traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, che sovra l’Ermo nasce in Apennino. 96 Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano, arriva’ io forato ne la gola, fuggendo a piede e sanguinando il piano. 99 Quivi perdei la vista e la parola nel nome di Maria fini’, e quivi caddi, e rimase la mia carne sola. 102 Io dirò vero e tu ’l ridì tra ’ vivi: l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno gridava: “O tu del ciel, perché mi privi? 105 Letteratura italiana Einaudi 165 Dante Alighieri - Commedia Tu te ne porti di costui l’etterno per una lagrimetta che ’l mi toglie; ma io farò de l’altro altro governo!”. 108 Ben sai come ne l’aere si raccoglie quell’umido vapor che in acqua riede, tosto che sale dove ’l freddo il coglie. 111 Giunse quel mal voler che pur mal chiede con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento per la virtù che sua natura diede. 114 Indi la valle, come ’l dì fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento, 117 sì che ’l pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde e a’ fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse; 120 e come ai rivi grandi si convenne, ver’ lo fiume real tanto veloce si ruinò, che nulla la ritenne. 123 Lo corpo mio gelato in su la foce trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce 127 ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse; voltòmmi per le ripe e per lo fondo, poi di sua preda mi coperse e cinse». 130 «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via», seguitò ’l terzo spirito al secondo, 133 «ricorditi di me, che son la Pia: Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ’nnanellata pria 136 disposando m’avea con la sua gemma». Letteratura italiana Einaudi 166 Dante Alighieri - Commedia CANTO VI Quando si parte il gioco de la zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara; 3 con l’altro se ne va tutta la gente; qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, e qual dallato li si reca a mente; 6 el non s’arresta, e questo e quello intende; a cui porge la man, più non fa pressa; e così da la calca si difende. 9 Tal era io in quella turba spessa, volgendo a loro, e qua e là, la faccia, e promettendo mi sciogliea da essa. 12 Quiv’era l’Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, e l’altro ch’annegò correndo in caccia. 15 Quivi pregava con le mani sporte Federigo Novello, e quel da Pisa che fé parer lo buon Marzucco forte. 18 Vidi conte Orso e l’anima divisa dal corpo suo per astio e per inveggia, com’e’ dicea, non per colpa commisa; 21 Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, mentr’è di qua, la donna di Brabante, sì che però non sia di peggior greggia. 24 Come libero fui da tutte quante quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi, sì che s’avacci lor divenir sante, 27 io cominciai: «El par che tu mi nieghi, o luce mia, espresso in alcun testo che decreto del cielo orazion pieghi; 30 e questa gente prega pur di questo: sarebbe dunque loro speme vana, o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?». 33 Letteratura italiana Einaudi 167 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «La mia scrittura è piana; e la speranza di costor non falla, se ben si guarda con la mente sana; 36 ché cima di giudicio non s’avvalla perché foco d’amor compia in un punto ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla; 39 e là dov’io fermai cotesto punto, non s’ammendava, per pregar, difetto, perché ’l priego da Dio era disgiunto. 42 Veramente a così alto sospetto non ti fermar, se quella nol ti dice che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto. 45 Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice; tu la vedrai di sopra, in su la vetta di questo monte, ridere e felice». 48 E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta, ché già non m’affatico come dianzi, e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta». 51 «Noi anderem con questo giorno innanzi», rispuose, «quanto più potremo omai; ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi. 54 Prima che sie là sù, tornar vedrai colui che già si cuopre de la costa, sì che ’ suoi raggi tu romper non fai. 57 Ma vedi là un’anima che, posta sola soletta, inverso noi riguarda: quella ne ’nsegnerà la via più tosta». 60 Venimmo a lei: o anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa e nel mover de li occhi onesta e tarda! 63 Ella non ci dicea alcuna cosa, ma lasciavane gir, solo sguardando a guisa di leon quando si posa. 66 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando che ne mostrasse la miglior salita; e quella non rispuose al suo dimando, 69 Letteratura italiana Einaudi 168 Dante Alighieri - Commedia ma di nostro paese e de la vita ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava «Mantua...», e l’ombra, tutta in sé romita, 72 surse ver’ lui del loco ove pria stava, dicendo: «O Mantoano, io son Sordello de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava. 75 Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! 78 Quell’anima gentil fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, di fare al cittadin suo quivi festa; 81 e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode di quei ch’un muro e una fossa serra. 84 Cerca, misera, intorno da le prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, s’alcuna parte in te di pace gode. 87 Che val perché ti racconciasse il freno Iustiniano, se la sella è vota? Sanz’esso fora la vergogna meno. 90 Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota, 93 guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella. 96 O Alberto tedesco ch’abbandoni costei ch’è fatta indomita e selvaggia, e dovresti inforcar li suoi arcioni, 99 giusto giudicio da le stelle caggia sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto, tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! 102 Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto, per cupidigia di costà distretti, che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto. 105 Letteratura italiana Einaudi 169 Dante Alighieri - Commedia Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: color già tristi, e questi con sospetti! 108 Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura d’i tuoi gentili, e cura lor magagne; e vedrai Santafior com’è oscura! 111 Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola, e dì e notte chiama: «Cesare mio, perché non m’accompagne?». 114 Vieni a veder la gente quanto s’ama! e se nulla di noi pietà ti move, a vergognar ti vien de la tua fama. 117 E se licito m’è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 120 O è preparazion che ne l’abisso del tuo consiglio fai per alcun bene in tutto de l’accorger nostro scisso? 123 Ché le città d’Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene. 126 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta. 129 Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca per non venir sanza consiglio a l’arco; ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca. 132 Molti rifiutan lo comune incarco; ma il popol tuo solicito risponde sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!». 135 Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: tu ricca, tu con pace, e tu con senno! S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde. 138 Atene e Lacedemona, che fenno l’antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno 141 Letteratura italiana Einaudi 170 Dante Alighieri - Commedia verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili. 144 Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato e rinovate membre! 147 E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume, 150 ma con dar volta suo dolore scherma. Letteratura italiana Einaudi 171 Dante Alighieri - Commedia CANTO VII Poscia che l’accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte, Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». 3 «Anzi che a questo monte fosser volte l’anime degne di salire a Dio, fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. 6 Io son Virgilio; e per null’altro rio lo ciel perdei che per non aver fé». Così rispuose allora il duca mio. 9 Qual è colui che cosa innanzi sé sùbita vede ond’e’ si maraviglia, che crede e non, dicendo «Ella è... non è...», 12 tal parve quelli; e poi chinò le ciglia, e umilmente ritornò ver’ lui, e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia. 15 «O gloria di Latin», disse, «per cui mostrò ciò che potea la lingua nostra, o pregio etterno del loco ond’io fui, 18 qual merito o qual grazia mi ti mostra? S’io son d’udir le tue parole degno, dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». 21 «Per tutt’i cerchi del dolente regno», rispuose lui, «son io di qua venuto; virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 24 Non per far, ma per non fare ho perduto a veder l’alto Sol che tu disiri e che fu tardi per me conosciuto. 27 Luogo è là giù non tristo di martìri, ma di tenebre solo, ove i lamenti non suonan come guai, ma son sospiri. 30 Quivi sto io coi pargoli innocenti dai denti morsi de la morte avante che fosser da l’umana colpa essenti; 33 Letteratura italiana Einaudi 172 Dante Alighieri - Commedia quivi sto io con quei che le tre sante virtù non si vestiro, e sanza vizio conobber l’altre e seguir tutte quante. 36 Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio dà noi per che venir possiam più tosto là dove purgatorio ha dritto inizio». 39 Rispuose: «Loco certo non c’è posto; licito m’è andar suso e intorno; per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. 42 Ma vedi già come dichina il giorno, e andar sù di notte non si puote; però è buon pensar di bel soggiorno. 45 Anime sono a destra qua remote: se mi consenti, io ti merrò ad esse, e non sanza diletto ti fier note». 48 «Com’è ciò?», fu risposto. «Chi volesse salir di notte, fora elli impedito d’altrui, o non sarria ché non potesse?». 51 E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito, dicendo: «Vedi? sola questa riga non varcheresti dopo ’l sol partito: 54 non però ch’altra cosa desse briga, che la notturna tenebra, ad ir suso; quella col nonpoder la voglia intriga. 57 Ben si poria con lei tornare in giuso e passeggiar la costa intorno errando, mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». 60 Allora il mio segnor, quasi ammirando, «Menane», disse, «dunque là ’ve dici ch’aver si può diletto dimorando». 63 Poco allungati c’eravam di lici, quand’io m’accorsi che ’l monte era scemo, a guisa che i vallon li sceman quici. 66 «Colà», disse quell’ombra, «n’anderemo dove la costa face di sé grembo; e là il novo giorno attenderemo». 69 Letteratura italiana Einaudi 173 Dante Alighieri - Commedia Tra erto e piano era un sentiero schembo, che ne condusse in fianco de la lacca, là dove più ch’a mezzo muore il lembo. 72 Oro e argento fine, cocco e biacca, indaco, legno lucido e sereno, fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, 75 da l’erba e da li fior, dentr’a quel seno posti, ciascun saria di color vinto, come dal suo maggiore è vinto il meno. 78 Non avea pur natura ivi dipinto, ma di soavità di mille odori vi facea uno incognito e indistinto. 81 ‘ Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori quindi seder cantando anime vidi, che per la valle non parean di fuori. 84 «Prima che ’l poco sole omai s’annidi», cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti, «tra color non vogliate ch’io vi guidi. 87 Di questo balzo meglio li atti e ’ volti conoscerete voi di tutti quanti, che ne la lama giù tra essi accolti. 90 Colui che più siede alto e fa sembianti d’aver negletto ciò che far dovea, e che non move bocca a li altrui canti, 93 Rodolfo imperador fu, che potea sanar le piaghe c’hanno Italia morta, sì che tardi per altri si ricrea. 96 L’altro che ne la vista lui conforta, resse la terra dove l’acqua nasce che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: 99 Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce fu meglio assai che Vincislao suo figlio barbuto, cui lussuria e ozio pasce. 102 E quel nasetto che stretto a consiglio par con colui c’ha sì benigno aspetto, morì fuggendo e disfiorando il giglio: 105 Letteratura italiana Einaudi 174 Dante Alighieri - Commedia guardate là come si batte il petto! L’altro vedete c’ha fatto a la guancia de la sua palma, sospirando, letto. 108 Padre e suocero son del mal di Francia: sanno la vita sua viziata e lorda, e quindi viene il duol che sì li lancia. 111 Quel che par sì membruto e che s’accorda, cantando, con colui dal maschio naso, d’ogne valor portò cinta la corda; 114 e se re dopo lui fosse rimaso lo giovanetto che retro a lui siede, ben andava il valor di vaso in vaso, 117 che non si puote dir de l’altre rede; Iacomo e Federigo hanno i reami; del retaggio miglior nessun possiede. 120 Rade volte risurge per li rami l’umana probitate; e questo vole quei che la dà, perché da lui si chiami. 123 Anche al nasuto vanno mie parole non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta, onde Puglia e Proenza già si dole. 126 Tant’è del seme suo minor la pianta, quanto più che Beatrice e Margherita, Costanza di marito ancor si vanta. 129 Vedete il re de la semplice vita seder là solo, Arrigo d’Inghilterra: questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. 132 Quel che più basso tra costor s’atterra, guardando in suso, è Guiglielmo marchese, per cui e Alessandria e la sua guerra 135 fa pianger Monferrato e Canavese». Letteratura italiana Einaudi 175 Dante Alighieri - Commedia CANTO VIII Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ’ntenerisce il core lo dì c’han detto ai dolci amici addio; 3 e che lo novo peregrin d’amore punge, se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more; 6 quand’io incominciai a render vano l’udire e a mirare una de l’alme surta, che l’ascoltar chiedea con mano. 9 Ella giunse e levò ambo le palme, ficcando li occhi verso l’oriente, come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’. 12 ‘ Te lucis ante’ sì devotamente le uscìo di bocca e con sì dolci note, che fece me a me uscir di mente; 15 e l’altre poi dolcemente e devote seguitar lei per tutto l’inno intero, avendo li occhi a le superne rote. 18 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché ’l velo è ora ben tanto sottile, certo che ’l trapassar dentro è leggero. 21 Io vidi quello essercito gentile tacito poscia riguardare in sùe quasi aspettando, palido e umìle; 24 e vidi uscir de l’alto e scender giùe due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue. 27 Verdi come fogliette pur mo nate erano in veste, che da verdi penne percosse traean dietro e ventilate. 30 L’un poco sovra noi a star si venne, e l’altro scese in l’opposita sponda, sì che la gente in mezzo si contenne. 33 Letteratura italiana Einaudi 176 Dante Alighieri - Commedia Ben discernea in lor la testa bionda; ma ne la faccia l’occhio si smarria, come virtù ch’a troppo si confonda. 36 «Ambo vegnon del grembo di Maria», disse Sordello, «a guardia de la valle, per lo serpente che verrà vie via». 39 Ond’io, che non sapeva per qual calle, mi volsi intorno, e stretto m’accostai, tutto gelato, a le fidate spalle. 42 E Sordello anco: «Or avvalliamo omai tra le grandi ombre, e parleremo ad esse; grazioso fia lor vedervi assai». 45 Solo tre passi credo ch’i’ scendesse, e fui di sotto, e vidi un che mirava pur me, come conoscer mi volesse. 48 Temp’era già che l’aere s’annerava, ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei non dichiarisse ciò che pria serrava. 51 Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei: giudice Nin gentil, quanto mi piacque quando ti vidi non esser tra ’ rei! 54 Nullo bel salutar tra noi si tacque; poi dimandò: «Quant’è che tu venisti a piè del monte per le lontane acque?». 57 «Oh!», diss’io lui, «per entro i luoghi tristi venni stamane, e sono in prima vita, ancor che l’altra, sì andando, acquisti». 60 E come fu la mia risposta udita, Sordello ed elli in dietro si raccolse come gente di sùbito smarrita. 63 L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse che sedea lì, gridando:«Sù, Currado! vieni a veder che Dio per grazia volse». 66 Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado che tu dei a colui che sì nasconde lo suo primo perché, che non lì è guado, 69 Letteratura italiana Einaudi 177 Dante Alighieri - Commedia quando sarai di là da le larghe onde, dì a Giovanna mia che per me chiami là dove a li ’nnocenti si risponde. 72 Non credo che la sua madre più m’ami, poscia che trasmutò le bianche bende, le quai convien che, misera!, ancor brami. 75 Per lei assai di lieve si comprende quanto in femmina foco d’amor dura, se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende. 78 Non le farà sì bella sepultura la vipera che Melanesi accampa, com’avria fatto il gallo di Gallura». 81 Così dicea, segnato de la stampa, nel suo aspetto, di quel dritto zelo che misuratamente in core avvampa. 84 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, sì come rota più presso a lo stelo. 87 E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?». E io a lui: «A quelle tre facelle di che ’l polo di qua tutto quanto arde». 90 Ond’elli a me: «Le quattro chiare stelle che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov’eran quelle». 93 Com’ei parlava, e Sordello a sé il trasse dicendo:«Vedi là ’l nostro avversaro»; e drizzò il dito perché ’n là guardasse. 96 Da quella parte onde non ha riparo la picciola vallea, era una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 99 Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia, volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso leccando come bestia che si liscia. 102 Io non vidi, e però dicer non posso, come mosser li astor celestiali; ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. 105 Letteratura italiana Einaudi 178 Dante Alighieri - Commedia Sentendo fender l’aere a le verdi ali, fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta, suso a le poste rivolando iguali. 108 L’ombra che s’era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quello assalto punto non fu da me guardare sciolta. 111 «Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant’è mestiere infino al sommo smalto», 114 cominciò ella, «se novella vera di Val di Magra o di parte vicina sai, dillo a me, che già grande là era. 117 Fui chiamato Currado Malaspina; non son l’antico, ma di lui discesi; a’ miei portai l’amor che qui raffina». 120 «Oh!», diss’io lui, «per li vostri paesi già mai non fui; ma dove si dimora per tutta Europa ch’ei non sien palesi? 123 La fama che la vostra casa onora, grida i segnori e grida la contrada, sì che ne sa chi non vi fu ancora; 126 e io vi giuro, s’io di sopra vada, che vostra gente onrata non si sfregia del pregio de la borsa e de la spada. 129 Uso e natura sì la privilegia, che, perché il capo reo il mondo torca, sola va dritta e ’l mal cammin dispregia». 132 Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca sette volte nel letto che ’l Montone con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, 135 che cotesta cortese oppinione ti fia chiavata in mezzo de la testa con maggior chiovi che d’altrui sermone, 138 se corso di giudicio non s’arresta». Letteratura italiana Einaudi 179 Dante Alighieri - Commedia CANTO IX La concubina di Titone antico già s’imbiancava al balco d’oriente, fuor de le braccia del suo dolce amico; 3 di gemme la sua fronte era lucente, poste in figura del freddo animale che con la coda percuote la gente; 6 e la notte, de’ passi con che sale, fatti avea due nel loco ov’eravamo, e ’l terzo già chinava in giuso l’ale; 9 quand’io, che meco avea di quel d’Adamo, vinto dal sonno, in su l’erba inchinai là ’ve già tutti e cinque sedavamo. 12 Ne l’ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria de’ suo’ primi guai, 15 e che la mente nostra, peregrina più da la carne e men da’ pensier presa, a le sue vision quasi è divina, 18 in sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; 21 ed esser mi parea là dove fuoro abbandonati i suoi da Ganimede, quando fu ratto al sommo consistoro. 24 Fra me pensava: ‘Forse questa fiede pur qui per uso, e forse d’altro loco disdegna di portarne suso in piede’. 27 Poi mi parea che, poi rotata un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso infino al foco. 30 Ivi parea che ella e io ardesse; e sì lo ’ncendio imaginato cosse, che convenne che ’l sonno si rompesse. 33 Letteratura italiana Einaudi 180 Dante Alighieri - Commedia Non altrimenti Achille si riscosse, li occhi svegliati rivolgendo in giro e non sappiendo là dove si fosse, 36 quando la madre da Chirón a Schiro trafuggò lui dormendo in le sue braccia, là onde poi li Greci il dipartiro; 39 che mi scoss’io, sì come da la faccia mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto, come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia. 42 Dallato m’era solo il mio conforto, e ’l sole er’alto già più che due ore, e ’l viso m’era a la marina torto. 45 «Non aver tema», disse il mio segnore; «fatti sicur, ché noi semo a buon punto; non stringer, ma rallarga ogne vigore. 48 Tu se’ omai al purgatorio giunto: vedi là il balzo che ’l chiude dintorno; vedi l’entrata là ’ve par digiunto. 51 Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, quando l’anima tua dentro dormia, sovra li fiori ond’è là giù addorno 54 venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via”. 57 Sordel rimase e l’altre genti forme; ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro, sen venne suso; e io per le sue orme. 60 Qui ti posò, ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta; poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro». 63 A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta e che muta in conforto sua paura, poi che la verità li è discoperta, 66 mi cambia’ io; e come sanza cura vide me ’l duca mio, su per lo balzo si mosse, e io di rietro inver’ l’altura. 69 Letteratura italiana Einaudi 181 Dante Alighieri - Commedia Lettor, tu vedi ben com’io innalzo la mia matera, e però con più arte non ti maravigliar s’io la rincalzo. 72 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte, che là dove pareami prima rotto, pur come un fesso che muro diparte, 75 vidi una porta, e tre gradi di sotto per gire ad essa, di color diversi, e un portier ch’ancor non facea motto. 78 E come l’occhio più e più v’apersi, vidil seder sovra ’l grado sovrano, tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; 81 e una spada nuda avea in mano, che reflettea i raggi sì ver’ noi, ch’io drizzava spesso il viso in vano. 84 «Dite costinci: che volete voi?», cominciò elli a dire, «ov’è la scorta? Guardate che ’l venir sù non vi nòi». 87 «Donna del ciel, di queste cose accorta», rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi ne disse: “Andate là: quivi è la porta”». 90 «Ed ella i passi vostri in bene avanzi», ricominciò il cortese portinaio: «Venite dunque a’ nostri gradi innanzi». 93 Là ne venimmo; e lo scaglion primaio bianco marmo era sì pulito e terso, ch’io mi specchiai in esso qual io paio. 96 Era il secondo tinto più che perso, d’una petrina ruvida e arsiccia, crepata per lo lungo e per traverso. 99 Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, porfido mi parea, sì fiammeggiante, come sangue che fuor di vena spiccia. 102 Sovra questo tenea ambo le piante l’angel di Dio, sedendo in su la soglia, che mi sembiava pietra di diamante. 105 Letteratura italiana Einaudi 182 Dante Alighieri - Commedia Per li tre gradi sù di buona voglia mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi umilemente che ’l serrame scioglia». 108 Divoto mi gittai a’ santi piedi; misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, ma tre volte nel petto pria mi diedi. 111 Sette P ne la fronte mi descrisse col punton de la spada, e «Fa che lavi, quando se’ dentro, queste piaghe», disse. 114 Cenere, o terra che secca si cavi, d’un color fora col suo vestimento; e di sotto da quel trasse due chiavi. 117 L’una era d’oro e l’altra era d’argento; pria con la bianca e poscia con la gialla fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento. 120 «Quandunque l’una d’este chiavi falla, che non si volga dritta per la toppa», diss’elli a noi, «non s’apre questa calla. 123 Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa d’arte e d’ingegno avanti che diserri, perch’ella è quella che ’l nodo digroppa. 126 Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, pur che la gente a’ piedi mi s’atterri». 129 Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti che di fuor torna chi ’n dietro si guata». 132 E quando fuor ne’ cardini distorti li spigoli di quella regge sacra, che di metallo son sonanti e forti, 135 non rugghiò sì né si mostrò sì acra Tarpea, come tolto le fu il buono Metello, per che poi rimase macra. 138 Io mi rivolsi attento al primo tuono, e ‘ Te Deum laudamus’ mi parea udire in voce mista al dolce suono. 141 Letteratura italiana Einaudi 183 Dante Alighieri - Commedia Tale imagine a punto mi rendea ciò ch’io udiva, qual prender si suole quando a cantar con organi si stea; 144 ch’or sì or no s’intendon le parole. Letteratura italiana Einaudi 184 Dante Alighieri - Commedia CANTO X Poi fummo dentro al soglio de la porta che ’l mal amor de l’anime disusa, perché fa parer dritta la via torta, 3 sonando la senti’ esser richiusa; e s’io avesse li occhi vòlti ad essa, qual fora stata al fallo degna scusa? 6 Noi salavam per una pietra fessa, che si moveva e d’una e d’altra parte, sì come l’onda che fugge e s’appressa. 9 «Qui si conviene usare un poco d’arte», cominciò ’l duca mio, «in accostarsi or quinci, or quindi al lato che si parte». 12 E questo fece i nostri passi scarsi, tanto che pria lo scemo de la luna rigiunse al letto suo per ricorcarsi, 15 che noi fossimo fuor di quella cruna; ma quando fummo liberi e aperti sù dove il monte in dietro si rauna, 18 io stancato e amendue incerti di nostra via, restammo in su un piano solingo più che strade per diserti. 21 Da la sua sponda, ove confina il vano, al piè de l’alta ripa che pur sale, misurrebbe in tre volte un corpo umano; 24 e quanto l’occhio mio potea trar d’ale, or dal sinistro e or dal destro fianco, questa cornice mi parea cotale. 27 Là sù non eran mossi i piè nostri anco, quand’io conobbi quella ripa intorno che dritto di salita aveva manco, 30 esser di marmo candido e addorno d’intagli sì, che non pur Policleto, ma la natura lì avrebbe scorno. 33 Letteratura italiana Einaudi 185 Dante Alighieri - Commedia L’angel che venne in terra col decreto de la molt’anni lagrimata pace, ch’aperse il ciel del suo lungo divieto, 36 dinanzi a noi pareva sì verace quivi intagliato in un atto soave, che non sembiava imagine che tace. 39 Giurato si saria ch’el dicesse ‘ Ave! ’; perché iv’era imaginata quella ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; 42 e avea in atto impressa esta favella ‘ Ecce ancilla Dei’, propriamente come figura in cera si suggella. 45 «Non tener pur ad un loco la mente», disse ’l dolce maestro, che m’avea da quella parte onde ’l cuore ha la gente. 48 Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea di retro da Maria, da quella costa onde m’era colui che mi movea, 51 un’altra storia ne la roccia imposta; per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso, acciò che fosse a li occhi miei disposta. 54 Era intagliato lì nel marmo stesso lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa, per che si teme officio non commesso. 57 Dinanzi parea gente; e tutta quanta, partita in sette cori, a’ due mie’ sensi faceva dir l’un «No», l’altro «Sì, canta». 60 Similemente al fummo de li ’ncensi che v’era imaginato, li occhi e ’l naso e al sì e al no discordi fensi. 63 Lì precedeva al benedetto vaso, trescando alzato, l’umile salmista, e più e men che re era in quel caso. 66 Di contra, effigiata ad una vista d’un gran palazzo, Micòl ammirava sì come donna dispettosa e trista. 69 Letteratura italiana Einaudi 186 Dante Alighieri - Commedia I’ mossi i piè del loco dov’io stava, per avvisar da presso un’altra istoria, che di dietro a Micòl mi biancheggiava. 72 Quiv’era storiata l’alta gloria del roman principato, il cui valore mosse Gregorio a la sua gran vittoria; 75 i’ dico di Traiano imperadore; e una vedovella li era al freno, di lagrime atteggiata e di dolore. 78 Intorno a lui parea calcato e pieno di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro sovr’essi in vista al vento si movieno. 81 La miserella intra tutti costoro pareva dir: «Segnor, fammi vendetta di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro»; 84 ed elli a lei rispondere: «Or aspetta tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio», come persona in cui dolor s’affretta, 87 «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’io, la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»; 90 ond’elli: «Or ti conforta; ch’ei convene ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova: giustizia vuole e pietà mi ritene». 93 Colui che mai non vide cosa nova produsse esto visibile parlare, novello a noi perché qui non si trova. 96 Mentr’io mi dilettava di guardare l’imagini di tante umilitadi, e per lo fabbro loro a veder care, 99 «Ecco di qua, ma fanno i passi radi», mormorava il poeta, «molte genti: questi ne ’nvieranno a li alti gradi». 102 Li occhi miei ch’a mirare eran contenti per veder novitadi ond’e’ son vaghi, volgendosi ver’ lui non furon lenti. 105 Letteratura italiana Einaudi 187 Dante Alighieri - Commedia Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi di buon proponimento per udire come Dio vuol che ’l debito si paghi. 108 Non attender la forma del martìre: pensa la succession; pensa ch’al peggio, oltre la gran sentenza non può ire. 111 Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio muovere a noi, non mi sembian persone, e non so che, sì nel veder vaneggio». 114 Ed elli a me: «La grave condizione di lor tormento a terra li rannicchia, sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione. 117 Ma guarda fiso là, e disviticchia col viso quel che vien sotto a quei sassi: già scorger puoi come ciascun si picchia». 120 O superbi cristian, miseri lassi, che, de la vista de la mente infermi, fidanza avete ne’ retrosi passi, 123 non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla, che vola a la giustizia sanza schermi? 126 Di che l’animo vostro in alto galla, poi siete quasi antomata in difetto, sì come vermo in cui formazion falla? 129 Come per sostentar solaio o tetto, per mensola talvolta una figura si vede giugner le ginocchia al petto, 132 la qual fa del non ver vera rancura nascere ’n chi la vede; così fatti vid’io color, quando puosi ben cura. 135 Vero è che più e meno eran contratti secondo ch’avien più e meno a dosso; e qual più pazienza avea ne li atti, 138 piangendo parea dicer: ‘Più non posso’. Letteratura italiana Einaudi 188 Dante Alighieri - Commedia CANTO XI «O Padre nostro, che ne’ cieli stai, non circunscritto, ma per più amore ch’ai primi effetti di là sù tu hai, 3 laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore da ogni creatura, com’è degno di render grazie al tuo dolce vapore. 6 Vegna ver’ noi la pace del tuo regno, ché noi ad essa non potem da noi, s’ella non vien, con tutto nostro ingegno. 9 Come del suo voler li angeli tuoi fan sacrificio a te, cantando osanna, così facciano li uomini de’ suoi. 12 Dà oggi a noi la cotidiana manna, sanza la qual per questo aspro diserto a retro va chi più di gir s’affanna. 15 E come noi lo mal ch’avem sofferto perdoniamo a ciascuno, e tu perdona benigno, e non guardar lo nostro merto. 18 Nostra virtù che di legger s’adona, non spermentar con l’antico avversaro, ma libera da lui che sì la sprona. 21 Quest’ultima preghiera, segnor caro, già non si fa per noi, ché non bisogna, ma per color che dietro a noi restaro». 24 Così a sé e noi buona ramogna quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo, simile a quel che tal volta si sogna, 27 disparmente angosciate tutte a tondo e lasse su per la prima cornice, purgando la caligine del mondo. 30 Se di là sempre ben per noi si dice, di qua che dire e far per lor si puote da quei ch’hanno al voler buona radice? 33 Letteratura italiana Einaudi 189 Dante Alighieri - Commedia Ben si de’ loro atar lavar le note che portar quinci, sì che, mondi e lievi, possano uscire a le stellate ruote. 36 «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi tosto, sì che possiate muover l’ala, che secondo il disio vostro vi lievi, 39 mostrate da qual mano inver’ la scala si va più corto; e se c’è più d’un varco, quel ne ’nsegnate che men erto cala; 42 ché questi che vien meco, per lo ’ncarco de la carne d’Adamo onde si veste, al montar sù, contra sua voglia, è parco». 45 Le lor parole, che rendero a queste che dette avea colui cu’ io seguiva, non fur da cui venisser manifeste; 48 ma fu detto: «A man destra per la riva con noi venite, e troverete il passo possibile a salir persona viva. 51 E s’io non fossi impedito dal sasso che la cervice mia superba doma, onde portar convienmi il viso basso, 54 cotesti, ch’ancor vive e non si noma, guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco, e per farlo pietoso a questa soma. 57 Io fui latino e nato d’un gran Tosco: Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre; non so se ’l nome suo già mai fu vosco. 60 L’antico sangue e l’opere leggiadre d’i miei maggior mi fer sì arrogante, che, non pensando a la comune madre, 63 ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante, ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno e sallo in Campagnatico ogne fante. 66 Io sono Omberto; e non pur a me danno superbia fa, ché tutti miei consorti ha ella tratti seco nel malanno. 69 Letteratura italiana Einaudi 190 Dante Alighieri - Commedia E qui convien ch’io questo peso porti per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti». 72 Ascoltando chinai in giù la faccia; e un di lor, non questi che parlava, si torse sotto il peso che li ’mpaccia, 75 e videmi e conobbemi e chiamava, tenendo li occhi con fatica fisi a me che tutto chin con loro andava. 78 «Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi, l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi?». 81 «Frate», diss’elli, «più ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese; l’onore è tutto or suo, e mio in parte. 84 Ben non sare’ io stato sì cortese mentre ch’io vissi, per lo gran disio de l’eccellenza ove mio core intese. 87 Di tal superbia qui si paga il fio; e ancor non sarei qui, se non fosse che, possendo peccar, mi volsi a Dio. 90 Oh vana gloria de l’umane posse! com’poco verde in su la cima dura, se non è giunta da l’etati grosse! 93 Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura: 96 così ha tolto l’uno a l’altro Guido la gloria de la lingua; e forse è nato chi l’uno e l’altro caccerà del nido. 99 Non è il mondan romore altro ch’un fiato di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato. 102 Che voce avrai tu più, se vecchia scindi da te la carne, che se fossi morto anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’, 105 Letteratura italiana Einaudi 191 Dante Alighieri - Commedia pria che passin mill’anni? ch’è più corto spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia al cerchio che più tardi in cielo è torto. 108 Colui che del cammin sì poco piglia dinanzi a me, Toscana sonò tutta; e ora a pena in Siena sen pispiglia, 111 ond’era sire quando fu distrutta la rabbia fiorentina, che superba fu a quel tempo sì com’ora è putta. 114 La vostra nominanza è color d’erba, che viene e va, e quei la discolora per cui ella esce de la terra acerba». 117 E io a lui: «Tuo vero dir m’incora bona umiltà, e gran tumor m’appiani; ma chi è quei di cui tu parlavi ora?». 120 «Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani; ed è qui perché fu presuntuoso a recar Siena tutta a le sue mani. 123 Ito è così e va, sanza riposo, poi che morì; cotal moneta rende a sodisfar chi è di là troppo oso». 126 E io: «Se quello spirito ch’attende, pria che si penta, l’orlo de la vita, qua giù dimora e qua sù non ascende, 129 se buona orazion lui non aita, prima che passi tempo quanto visse, come fu la venuta lui largita?». 132 «Quando vivea più glorioso», disse, «liberamente nel Campo di Siena, ogne vergogna diposta, s’affisse; 135 e lì, per trar l’amico suo di pena ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo, si condusse a tremar per ogne vena. 138 Più non dirò, e scuro so che parlo; ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini faranno sì che tu potrai chiosarlo. 141 Quest’opera li tolse quei confini». Letteratura italiana Einaudi 192 Dante Alighieri - Commedia CANTO XII Di pari, come buoi che vanno a giogo, m’andava io con quell’anima carca, fin che ’l sofferse il dolce pedagogo. 3 Ma quando disse: «Lascia lui e varca; ché qui è buono con l’ali e coi remi, quantunque può, ciascun pinger sua barca»; 6 dritto sì come andar vuolsi rife’mi con la persona, avvegna che i pensieri mi rimanessero e chinati e scemi. 9 Io m’era mosso, e seguia volontieri del mio maestro i passi, e amendue già mostravam com’eravam leggeri; 12 ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe: buon ti sarà, per tranquillar la via, veder lo letto de le piante tue». 15 Come, perché di lor memoria sia, sovra i sepolti le tombe terragne portan segnato quel ch’elli eran pria, 18 onde lì molte volte si ripiagne per la puntura de la rimembranza, che solo a’ pii dà de le calcagne; 21 sì vid’io lì, ma di miglior sembianza secondo l’artificio, figurato quanto per via di fuor del monte avanza. 24 Vedea colui che fu nobil creato più ch’altra creatura, giù dal cielo folgoreggiando scender, da l’un lato. 27 Vedea Briareo, fitto dal telo celestial giacer, da l’altra parte, grave a la terra per lo mortal gelo. 30 Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, armati ancora, intorno al padre loro, mirar le membra d’i Giganti sparte. 33 Letteratura italiana Einaudi 193 Dante Alighieri - Commedia Vedea Nembròt a piè del gran lavoro quasi smarrito, e riguardar le genti che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro. 36 O Niobè, con che occhi dolenti vedea io te segnata in su la strada, tra sette e sette tuoi figliuoli spenti! 39 O Saùl, come in su la propria spada quivi parevi morto in Gelboè, che poi non sentì pioggia né rugiada! 42 O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fé. 45 O Roboàm, già non par che minacci quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci. 48 Mostrava ancor lo duro pavimento come Almeon a sua madre fé caro parer lo sventurato addornamento. 51 Mostrava come i figli si gittaro sovra Sennacherìb dentro dal tempio, e come, morto lui, quivi il lasciaro. 54 Mostrava la ruina e ’l crudo scempio che fé Tamiri, quando disse a Ciro: «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio». 57 Mostrava come in rotta si fuggiro li Assiri, poi che fu morto Oloferne, e anche le reliquie del martiro. 60 Vedeva Troia in cenere e in caverne; o Ilión, come te basso e vile mostrava il segno che lì si discerne! 63 Qual di pennel fu maestro o di stile che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi mirar farieno uno ingegno sottile? 66 Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant’io calcai, fin che chinato givi. 69 Letteratura italiana Einaudi 194 Dante Alighieri - Commedia Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d’Eva, e non chinate il voltosì che veggiate il vostro mal sentero! 72 Più era già per noi del monte vòlto e del cammin del sole assai più speso che non stimava l’animo non sciolto, 75 quando colui che sempre innanzi atteso andava, cominciò: «Drizza la testa; non è più tempo di gir sì sospeso. 78 Vedi colà un angel che s’appresta per venir verso noi; vedi che torna dal servigio del dì l’ancella sesta. 81 Di reverenza il viso e li atti addorna, sì che i diletti lo ’nviarci in suso; pensa che questo dì mai non raggiorna!». 84 Io era ben del suo ammonir uso pur di non perder tempo, sì che ’n quella materia non potea parlarmi chiuso. 87 A noi venìa la creatura bella, biancovestito e ne la faccia quale par tremolando mattutina stella. 90 Le braccia aperse, e indi aperse l’ale; disse: «Venite: qui son presso i gradi, e agevolemente omai si sale. 93 A questo invito vegnon molto radi: o gente umana, per volar sù nata, perché a poco vento così cadi?». 96 Menocci ove la roccia era tagliata; quivi mi batté l’ali per la fronte; poi mi promise sicura l’andata. 99 Come a man destra, per salire al monte dove siede la chiesa che soggioga la ben guidata sopra Rubaconte, 102 si rompe del montar l’ardita foga per le scalee che si fero ad etade ch’era sicuro il quaderno e la doga; 105 Letteratura italiana Einaudi 195 Dante Alighieri - Commedia così s’allenta la ripa che cade quivi ben ratta da l’altro girone; ma quinci e quindi l’alta pietra rade. 108 Noi volgendo ivi le nostre persone, ‘ Beati pauperes spiritu! ’ voci cantaron sì, che nol diria sermone. 111 Ahi quanto son diverse quelle foci da l’infernali! ché quivi per canti s’entra, e là giù per lamenti feroci. 115 Già montavam su per li scaglion santi, ed esser mi parea troppo più lieve che per lo pian non mi parea davanti. 118 Ond’io: «Maestro, dì, qual cosa greve levata s’è da me, che nulla quasi per me fatica, andando, si riceve?». 121 Rispuose: «Quando i P che son rimasi ancor nel volto tuo presso che stinti, saranno, com’è l’un, del tutto rasi, 124 fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, che non pur non fatica sentiranno, ma fia diletto loro esser sù pinti». 127 Allor fec’io come color che vanno con cosa in capo non da lor saputa, se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno; 130 per che la mano ad accertar s’aiuta, e cerca e truova e quello officio adempie che non si può fornir per la veduta; 133 e con le dita de la destra scempie trovai pur sei le lettere che ’ncise quel da le chiavi a me sovra le tempie: 136 a che guardando, il mio duca sorrise. Letteratura italiana Einaudi 196 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIII Noi eravamo al sommo de la scala, dove secondamente si risega lo monte che salendo altrui dismala. 3 Ivi così una cornice lega dintorno il poggio, come la primaia; se non che l’arco suo più tosto piega. 6 Ombra non lì è né segno che si paia: parsi la ripa e parsi la via schietta col livido color de la petraia. 9 «Se qui per dimandar gente s’aspetta», ragionava il poeta, «io temo forse che troppo avrà d’indugio nostra eletta». 12 Poi fisamente al sole li occhi porse; fece del destro lato a muover centro, e la sinistra parte di sé torse. 15 «O dolce lume a cui fidanza i’ entro per lo novo cammin, tu ne conduci», dicea, «come condur si vuol quinc’entro. 18 Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci; s’altra ragione in contrario non ponta, esser dien sempre li tuoi raggi duci». 21 Quanto di qua per un migliaio si conta, tanto di là eravam noi già iti, con poco tempo, per la voglia pronta; 24 e verso noi volar furon sentiti, non però visti, spiriti parlando a la mensa d’amor cortesi inviti. 27 La prima voce che passò volando ‘ Vinum non habent’ altamente disse, e dietro a noi l’andò reiterando. 30 E prima che del tutto non si udisse per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’ passò gridando, e anco non s’affisse. 33 Letteratura italiana Einaudi 197 Dante Alighieri - Commedia «Oh!», diss’io, «padre, che voci son queste?». E com’io domandai, ecco la terza dicendo: ‘Amate da cui male aveste’. 36 E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza la colpa de la invidia, e però sono tratte d’amor le corde de la ferza. 39 Lo fren vuol esser del contrario suono; credo che l’udirai, per mio avviso, prima che giunghi al passo del perdono. 42 Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso, e vedrai gente innanzi a noi sedersi, e ciascuno è lungo la grotta assiso». 45 Allora più che prima li occhi apersi; guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti al color de la pietra non diversi. 48 E poi che fummo un poco più avanti, udia gridar: ‘Maria, òra per noi’: gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’, e ‘Tutti santi’. 51 Non credo che per terra vada ancoi omo sì duro, che non fosse punto per compassion di quel ch’i’ vidi poi; 54 ché, quando fui sì presso di lor giunto, che li atti loro a me venivan certi, per li occhi fui di grave dolor munto. 57 Di vil ciliccio mi parean coperti, e l’un sofferia l’altro con la spalla, e tutti da la ripa eran sofferti. 60 Così li ciechi a cui la roba falla stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna, e l’uno il capo sopra l’altro avvalla, 63 perché ’n altrui pietà tosto si pogna, non pur per lo sonar de le parole, ma per la vista che non meno agogna. 66 E come a li orbi non approda il sole, così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora, luce del ciel di sé largir non vole; 69 Letteratura italiana Einaudi 198 Dante Alighieri - Commedia ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra e cusce sì, come a sparvier selvaggio si fa però che queto non dimora. 72 A me pareva, andando, fare oltraggio, veggendo altrui, non essendo veduto: per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio. 75 Ben sapev’ei che volea dir lo muto; e però non attese mia dimanda, ma disse: «Parla, e sie breve e arguto». 78 Virgilio mi venìa da quella banda de la cornice onde cader si puote, perché da nulla sponda s’inghirlanda; 81 da l’altra parte m’eran le divote ombre, che per l’orribile costura premevan sì, che bagnavan le gote. 84 Volsimi a loro e «O gente sicura», incominciai, «di veder l’alto lume che ’l disio vostro solo ha in sua cura, 87 se tosto grazia resolva le schiume di vostra coscienza sì che chiaro per essa scenda de la mente il fiume, 90 ditemi, ché mi fia grazioso e caro, s’anima è qui tra voi che sia latina; e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo». 93 «O frate mio, ciascuna è cittadina d’una vera città; ma tu vuo’ dire che vivesse in Italia peregrina». 96 Questo mi parve per risposta udire più innanzi alquanto che là dov’io stava, ond’io mi feci ancor più là sentire. 99 Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’, lo mento a guisa d’orbo in sù levava. 102 «Spirto», diss’io, «che per salir ti dome, se tu se’ quelli che mi rispondesti, fammiti conto o per luogo o per nome». 105 Letteratura italiana Einaudi 199 Dante Alighieri - Commedia «Io fui sanese», rispuose, «e con questi altri rimendo qui la vita ria, lagrimando a colui che sé ne presti. 108 Savia non fui, avvegna che Sapìa fossi chiamata, e fui de li altrui danni più lieta assai che di ventura mia. 111 E perché tu non creda ch’io t’inganni, odi s’i’ fui, com’io ti dico, folle, già discendendo l’arco d’i miei anni. 114 Eran li cittadin miei presso a Colle in campo giunti co’ loro avversari, e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle. 117 Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari passi di fuga; e veggendo la caccia, letizia presi a tutte altre dispari, 120 tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia, gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”, come fé ’l merlo per poca bonaccia. 123 Pace volli con Dio in su lo stremo de la mia vita; e ancor non sarebbe lo mio dover per penitenza scemo, 126 se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe Pier Pettinaio in sue sante orazioni, a cui di me per caritate increbbe. 129 Ma tu chi se’, che nostre condizioni vai dimandando, e porti li occhi sciolti, sì com’io credo, e spirando ragioni?». 132 «Li occhi», diss’io, «mi fieno ancor qui tolti, ma picciol tempo, ché poca è l’offesa fatta per esser con invidia vòlti. 135 Troppa è più la paura ond’è sospesa l’anima mia del tormento di sotto, che già lo ’ncarco di là giù mi pesa». 138 Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto qua sù tra noi, se giù ritornar credi?». E io: «Costui ch’è meco e non fa motto. 141 Letteratura italiana Einaudi 200 Dante Alighieri - Commedia E vivo sono; e però mi richiedi, spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova di là per te ancor li mortai piedi». 144 «Oh, questa è a udir sì cosa nuova», rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami; però col priego tuo talor mi giova. 147 E cheggioti, per quel che tu più brami, se mai calchi la terra di Toscana, che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami. 150 Tu li vedrai tra quella gente vana che spera in Talamone, e perderagli più di speranza ch’a trovar la Diana; 153 ma più vi perderanno li ammiragli». Letteratura italiana Einaudi 201 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIV «Chi è costui che ’l nostro monte cerchia prima che morte li abbia dato il volo, e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». 3 «Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo: domandal tu che più li t’avvicini, e dolcemente, sì che parli, acco’lo». 6 Così due spirti, l’uno a l’altro chini, ragionavan di me ivi a man dritta; poi fer li visi, per dirmi, supini; 9 e disse l’uno: «O anima che fitta nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai, per carità ne consola e ne ditta 12 onde vieni e chi se’; ché tu ne fai tanto maravigliar de la tua grazia, quanto vuol cosa che non fu più mai». 15 E io: «Per mezza Toscana si spazia un fiumicel che nasce in Falterona, e cento miglia di corso nol sazia. 18 Di sovr’esso rech’io questa persona: dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno, ché ’l nome mio ancor molto non suona». 21 «Se ben lo ’ntendimento tuo accarno con lo ’ntelletto», allora mi rispuose quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». 24 E l’altro disse lui: «Perché nascose questi il vocabol di quella riviera, pur com’om fa de l’orribili cose?». 27 E l’ombra che di ciò domandata era, si sdebitò così: «Non so; ma degno ben è che ’l nome di tal valle pèra; 30 ché dal principio suo, ov’è sì pregno l’alpestro monte ond’è tronco Peloro, che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno, 33 Letteratura italiana Einaudi 202 Dante Alighieri - Commedia infin là ’ve si rende per ristoro di quel che ’l ciel de la marina asciuga, ond’hanno i fiumi ciò che va con loro, 36 vertù così per nimica si fuga da tutti come biscia, o per sventura del luogo, o per mal uso che li fruga: 39 ond’hanno sì mutata lor natura li abitator de la misera valle, che par che Circe li avesse in pastura. 42 Tra brutti porci, più degni di galle che d’altro cibo fatto in uman uso, dirizza prima il suo povero calle. 45 Botoli trova poi, venendo giuso, ringhiosi più che non chiede lor possa, e da lor disdegnosa torce il muso. 48 Vassi caggendo; e quant’ella più ’ngrossa, tanto più trova di can farsi lupi la maladetta e sventurata fossa. 51 Discesa poi per più pelaghi cupi, trova le volpi sì piene di froda, che non temono ingegno che le occùpi. 54 Né lascerò di dir perch’altri m’oda; e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta di ciò che vero spirto mi disnoda. 57 Io veggio tuo nepote che diventa cacciator di quei lupi in su la riva del fiero fiume, e tutti li sgomenta. 60 Vende la carne loro essendo viva; poscia li ancide come antica belva; molti di vita e sé di pregio priva. 63 Sanguinoso esce de la trista selva; lasciala tal, che di qui a mille anni ne lo stato primaio non si rinselva». 66 Com’a l’annunzio di dogliosi danni si turba il viso di colui ch’ascolta, da qual che parte il periglio l’assanni, 69 Letteratura italiana Einaudi 203 Dante Alighieri - Commedia così vid’io l’altr’anima, che volta stava a udir, turbarsi e farsi trista, poi ch’ebbe la parola a sé raccolta. 72 Lo dir de l’una e de l’altra la vista mi fer voglioso di saper lor nomi, e dimanda ne fei con prieghi mista; 75 per che lo spirto che di pria parlòmi ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. 78 Ma da che Dio in te vuol che traluca tanto sua grazia, non ti sarò scarso; però sappi ch’io fui Guido del Duca. 81 Fu il sangue mio d’invidia sì riarso, che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore sparso. 84 Di mia semente cotal paglia mieto; o gente umana, perché poni ’l core là ’v’è mestier di consorte divieto? 87 Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore de la casa da Calboli, ove nullo fatto s’è reda poi del suo valore. 90 E non pur lo suo sangue è fatto brullo, tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno, del ben richesto al vero e al trastullo; 93 ché dentro a questi termini è ripieno di venenosi sterpi, sì che tardi per coltivare omai verrebber meno. 96 Ov’è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi? Pier Traversaro e Guido di Carpigna? Oh Romagnuoli tornati in bastardi! 99 Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? quando in Faenza un Bernardin di Fosco, verga gentil di picciola gramigna? 102 Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, quando rimembro con Guido da Prata, Ugolin d’Azzo che vivette nosco, 105 Letteratura italiana Einaudi 204 Dante Alighieri - Commedia Federigo Tignoso e sua brigata, la casa Traversara e li Anastagi (e l’una gente e l’altra è diretata), 108 le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi che ne ’nvogliava amore e cortesia là dove i cuor son fatti sì malvagi. 111 O Bretinoro, ché non fuggi via, poi che gita se n’è la tua famiglia e molta gente per non esser ria? 114 Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, che di figliar tai conti più s’impiglia. 117 Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio lor sen girà; ma non però che puro già mai rimagna d’essi testimonio. 120 O Ugolin de’ Fantolin, sicuro è il nome tuo, da che più non s’aspetta chi far lo possa, tralignando, scuro. 123 Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta troppo di pianger più che di parlare, sì m’ha nostra ragion la mente stretta». 126 Noi sapavam che quell’anime care ci sentivano andar; però, tacendo, facean noi del cammin confidare. 129 Poi fummo fatti soli procedendo, folgore parve quando l’aere fende, voce che giunse di contra dicendo: 132 ‘Anciderammi qualunque m’apprende’; e fuggì come tuon che si dilegua, se sùbito la nuvola scoscende. 135 Come da lei l’udir nostro ebbe triegua, ed ecco l’altra con sì gran fracasso, che somigliò tonar che tosto segua: 138 «Io sono Aglauro che divenni sasso»; e allor, per ristrignermi al poeta, in destro feci e non innanzi il passo. 141 Letteratura italiana Einaudi 205 Dante Alighieri - Commedia Già era l’aura d’ogne parte queta; ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo che dovria l’uom tener dentro a sua meta. 144 Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo de l’antico avversaro a sé vi tira; e però poco val freno o richiamo. 147 Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze etterne, e l’occhio vostro pur a terra mira; 150 onde vi batte chi tutto discerne». Letteratura italiana Einaudi 206 Dante Alighieri - Commedia CANTO XV Quanto tra l’ultimar de l’ora terza e ’l principio del dì par de la spera che sempre a guisa di fanciullo scherza, 3 tanto pareva già inver’ la sera essere al sol del suo corso rimaso; vespero là, e qui mezza notte era. 6 E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso, perché per noi girato era sì ’l monte, che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9 quand’io senti’ a me gravar la fronte a lo splendore assai più che di prima, e stupor m’eran le cose non conte; 12 ond’io levai le mani inver’ la cima de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio, che del soverchio visibile lima. 15 Come quando da l’acqua o da lo specchio salta lo raggio a l’opposita parte, salendo su per lo modo parecchio 18 a quel che scende, e tanto si diparte dal cader de la pietra in igual tratta, sì come mostra esperienza e arte; 21 così mi parve da luce rifratta quivi dinanzi a me esser percosso; per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24 «Che è quel, dolce padre, a che non posso schermar lo viso tanto che mi vaglia», diss’io, «e pare inver’ noi esser mosso?». 27 «Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia la famiglia del cielo», a me rispuose: «messo è che viene ad invitar ch’om saglia. 30 Tosto sarà ch’a veder queste cose non ti fia grave, ma fieti diletto quanto natura a sentir ti dispuose». 33 Letteratura italiana Einaudi 207 Dante Alighieri - Commedia Poi giunti fummo a l’angel benedetto, con lieta voce disse: «Intrate quinci ad un scaleo vie men che li altri eretto». 36 Noi montavam, già partiti di linci, e ‘ Beati misericordes! ’ fue cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’. 39 Lo mio maestro e io soli amendue suso andavamo; e io pensai, andando, prode acquistar ne le parole sue; 42 e dirizza’mi a lui sì dimandando: «Che volse dir lo spirto di Romagna, e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». 45 Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna conosce il danno; e però non s’ammiri se ne riprende perché men si piagna. 48 Perché s’appuntano i vostri disiri dove per compagnia parte si scema, invidia move il mantaco a’ sospiri. 51 Ma se l’amor de la spera supprema torcesse in suso il disiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema; 54 ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro». 57 «Io son d’esser contento più digiuno», diss’io, «che se mi fosse pria taciuto, e più di dubbio ne la mente aduno. 60 Com’esser puote ch’un ben, distributo in più posseditor, faccia più ricchi di sé, che se da pochi è posseduto?». 63 Ed elli a me: «Però che tu rificchi la mente pur a le cose terrene, di vera luce tenebre dispicchi. 66 Quello infinito e ineffabil bene che là sù è, così corre ad amore com’a lucido corpo raggio vene. 69 Letteratura italiana Einaudi 208 Dante Alighieri - Commedia Tanto si dà quanto trova d’ardore; sì che, quantunque carità si stende, cresce sovr’essa l’etterno valore. 72 E quanta gente più là sù s’intende, più v’è da bene amare, e più vi s’ama, e come specchio l’uno a l’altro rende. 75 E se la mia ragion non ti disfama, vedrai Beatrice, ed ella pienamente ti torrà questa e ciascun’altra brama. 78 Procaccia pur che tosto sieno spente, come son già le due, le cinque piaghe, che si richiudon per esser dolente». 81 Com’io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’, vidimi giunto in su l’altro girone, sì che tacer mi fer le luci vaghe. 84 Ivi mi parve in una visione estatica di sùbito esser tratto, e vedere in un tempio più persone; 87 e una donna, in su l’entrar, con atto dolce di madre dicer: «Figliuol mio perché hai tu così verso noi fatto? 90 Ecco, dolenti, lo tuo padre e io ti cercavamo». E come qui si tacque, ciò che pareva prima, dispario. 93 Indi m’apparve un’altra con quell’acque giù per le gote che ’l dolor distilla quando di gran dispetto in altrui nacque, 96 e dir: «Se tu se’ sire de la villa del cui nome ne’ dèi fu tanta lite, e onde ogni scienza disfavilla, 99 vendica te di quelle braccia ardite ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto». E ’l segnor mi parea, benigno e mite, 102 risponder lei con viso temperato: «Che farem noi a chi mal ne disira, se quei che ci ama è per noi condannato?», 105 Letteratura italiana Einaudi 209 Dante Alighieri - Commedia Poi vidi genti accese in foco d’ira con pietre un giovinetto ancider, forte gridando a sé pur: «Martira, martira!». 108 E lui vedea chinarsi, per la morte che l’aggravava già, inver’ la terra, ma de li occhi facea sempre al ciel porte, 111 orando a l’alto Sire, in tanta guerra, che perdonasse a’ suoi persecutori, con quello aspetto che pietà diserra. 114 Quando l’anima mia tornò di fori a le cose che son fuor di lei vere, io riconobbi i miei non falsi errori. 117 Lo duca mio, che mi potea vedere far sì com’om che dal sonno si slega, disse: «Che hai che non ti puoi tenere, 120 ma se’ venuto più che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?». 123 «O dolce padre mio, se tu m’ascolte, io ti dirò», diss’io, «ciò che m’apparve quando le gambe mi furon sì tolte». 126 Ed ei: «Se tu avessi cento larve sovra la faccia, non mi sarian chiuse le tue cogitazion, quantunque parve. 129 Ciò che vedesti fu perché non scuse d’aprir lo core a l’acque de la pace che da l’etterno fonte son diffuse. 132 Non dimandai “Che hai?” per quel che face chi guarda pur con l’occhio che non vede, quando disanimato il corpo giace; 135 ma dimandai per darti forza al piede: così frugar conviensi i pigri, lenti ad usar lor vigilia quando riede». 138 Noi andavam per lo vespero, attenti oltre quanto potean li occhi allungarsi contra i raggi serotini e lucenti. 141 Letteratura italiana Einaudi 210 Dante Alighieri - Commedia Ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi come la notte oscuro; né da quello era loco da cansarsi. 144 Questo ne tolse li occhi e l’aere puro. Letteratura italiana Einaudi 211 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVI Buio d’inferno e di notte privata d’ogne pianeto, sotto pover cielo, quant’esser può di nuvol tenebrata, 3 non fece al viso mio sì grosso velo come quel fummo ch’ivi ci coperse, né a sentir di così aspro pelo, 6 che l’occhio stare aperto non sofferse; onde la scorta mia saputa e fida mi s’accostò e l’omero m’offerse. 9 Sì come cieco va dietro a sua guida per non smarrirsi e per non dar di cozzo in cosa che ’l molesti, o forse ancida, 12 m’andava io per l’aere amaro e sozzo, ascoltando il mio duca che diceva pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». 15 Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia l’Agnel di Dio che le peccata leva. 18 Pur ‘ Agnus Dei’ eran le loro essordia; una parola in tutte era e un modo, sì che parea tra esse ogne concordia. 21 «Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?», diss’io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, e d’iracundia van solvendo il nodo». 24 «Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue partissi ancor lo tempo per calendi?». 27 Così per una voce detto fue; onde ’l maestro mio disse: «Rispondi, e domanda se quinci si va sùe». 30 E io: «O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai, se mi secondi». 33 Letteratura italiana Einaudi 212 Dante Alighieri - Commedia «Io ti seguiterò quanto mi lece», rispuose; «e se veder fummo non lascia, l’udir ci terrà giunti in quella vece». 36 Allora incominciai: «Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, e venni qui per l’infernale ambascia. 39 E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso, tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte per modo tutto fuor del moderno uso, 42 non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco; e tue parole fier le nostre scorte». 45 «Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore amai al quale ha or ciascun disteso l’arco. 48 Per montar sù dirittamente vai». Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego che per me prieghi quando sù sarai». 51 E io a lui: «Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. 54 Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa certo qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio. 57 Lo mondo è ben così tutto diserto d’ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto; 60 ma priego che m’addite la cagione, sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». 63 Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. 66 Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto movesse seco di necessitate. 69 Letteratura italiana Einaudi 213 Dante Alighieri - Commedia Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per male aver lutto. 72 Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica, lume v’è dato a bene e a malizia, 75 e libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica. 78 A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura. 81 Però, se ’l mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia; e io te ne sarò or vera spia. 84 Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, 87 l’anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volontier torna a ciò che la trastulla. 90 Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, se guida o fren non torce suo amore. 93 Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver che discernesse de la vera cittade almen la torre. 96 Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che ’l pastor che procede, rugumar può, ma non ha l’unghie fesse; 99 per che la gente, che sua guida vede pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta, di quel si pasce, e più oltre non chiede. 102 Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che ’l mondo ha fatto reo, e non natura che ’n voi sia corrotta. 105 Letteratura italiana Einaudi 214 Dante Alighieri - Commedia Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo. 108 L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada; 111 però che, giunti, l’un l’altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, ch’ogn’erba si conosce per lo seme. 114 In sul paese ch’Adice e Po riga, solea valore e cortesia trovarsi, prima che Federigo avesse briga; 117 or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse, per vergogna di ragionar coi buoni o d’appressarsi. 120 Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna l’antica età la nova, e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna: 123 Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo e Guido da Castel, che mei si noma francescamente, il semplice Lombardo. 126 Dì oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, cade nel fango e sé brutta e la soma». 129 «O Marco mio», diss’io, «bene argomenti; e or discerno perché dal retaggio li figli di Levì furono essenti. 132 Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di’ ch’è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio?». 135 «O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta», rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta. 138 Per altro sopranome io nol conosco, s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. 141 Letteratura italiana Einaudi 215 Dante Alighieri - Commedia Vedi l’albor che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi (l’angelo è ivi) prima ch’io li paia». 144 Così tornò, e più non volle udirmi. Letteratura italiana Einaudi 216 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVII Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe ti colse nebbia per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe, 3 come, quando i vapori umidi e spessi a diradar cominciansi, la spera del sol debilemente entra per essi; 6 e fia la tua imagine leggera in giugnere a veder com’io rividi lo sole in pria, che già nel corcar era. 9 Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi del mio maestro, usci’ fuor di tal nube ai raggi morti già ne’ bassi lidi. 12 O imaginativa che ne rube talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge perché dintorno suonin mille tube, 15 chi move te, se ’l senso non ti porge? Moveti lume che nel ciel s’informa, per sé o per voler che giù lo scorge. 18 De l’empiezza di lei che mutò forma ne l’uccel ch’a cantar più si diletta, ne l’imagine mia apparve l’orma; 21 e qui fu la mia mente sì ristretta dentro da sé, che di fuor non venìa cosa che fosse allor da lei ricetta. 24 Poi piovve dentro a l’alta fantasia un crucifisso dispettoso e fero ne la sua vista, e cotal si morìa; 27 intorno ad esso era il grande Assuero, Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far così intero. 30 E come questa imagine rompeo sé per sé stessa, a guisa d’una bulla cui manca l’acqua sotto qual si feo, 33 Letteratura italiana Einaudi 217 Dante Alighieri - Commedia surse in mia visione una fanciulla piangendo forte, e dicea: «O regina, perché per ira hai voluto esser nulla? 36 Ancisa t’hai per non perder Lavina; or m’hai perduta! Io son essa che lutto, madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina». 39 Come si frange il sonno ove di butto nova luce percuote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto; 42 così l’imaginar mio cadde giuso tosto che lume il volto mi percosse, maggior assai che quel ch’è in nostro uso. 45 I’ mi volgea per veder ov’io fosse, quando una voce disse «Qui si monta», che da ogne altro intento mi rimosse; 48 e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta. 51 Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela, così la mia virtù quivi mancava. 54 «Questo è divino spirito, che ne la via da ir sù ne drizza sanza prego, e col suo lume sé medesmo cela. 57 Sì fa con noi, come l’uom si fa sego; ché quale aspetta prego e l’uopo vede, malignamente già si mette al nego. 60 Or accordiamo a tanto invito il piede; procacciam di salir pria che s’abbui, ché poi non si poria, se ’l dì non riede». 63 Così disse il mio duca, e io con lui volgemmo i nostri passi ad una scala; e tosto ch’io al primo grado fui, 66 senti’mi presso quasi un muover d’ala e ventarmi nel viso e dir: ‘ Beati pacifici, che son sanz’ira mala!’. 69 Letteratura italiana Einaudi 218 Dante Alighieri - Commedia Già eran sovra noi tanto levati li ultimi raggi che la notte segue, che le stelle apparivan da più lati. 72 ‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’, fra me stesso dicea, ché mi sentiva la possa de le gambe posta in triegue. 75 Noi eravam dove più non saliva la scala sù, ed eravamo affissi, pur come nave ch’a la piaggia arriva. 78 E io attesi un poco, s’io udissi alcuna cosa nel novo girone; poi mi volsi al maestro mio, e dissi: 81 «Dolce mio padre, dì , quale offensione si purga qui nel giro dove semo? Se i piè si stanno, non stea tuo sermone». 84 Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo del suo dover, quiritta si ristora; qui si ribatte il mal tardato remo. 87 Ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai alcun buon frutto di nostra dimora». 90 «Né creator né creatura mai», cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, o naturale o d’animo; e tu ’l sai. 93 Lo naturale è sempre sanza errore, ma l’altro puote errar per malo obietto o per troppo o per poco di vigore. 96 Mentre ch’elli è nel primo ben diretto, e ne’ secondi sé stesso misura, esser non può cagion di mal diletto; 99 ma quando al mal si torce, o con più cura o con men che non dee corre nel bene, contra ’l fattore adovra sua fattura. 102 Quinci comprender puoi ch’esser convene amor sementa in voi d’ogne virtute e d’ogne operazion che merta pene. 105 Letteratura italiana Einaudi 219 Dante Alighieri - Commedia Or, perché mai non può da la salute amor del suo subietto volger viso, da l’odio proprio son le cose tute; 108 e perché intender non si può diviso, e per sé stante, alcuno esser dal primo, da quello odiare ogne effetto è deciso. 111 Resta, se dividendo bene stimo, che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso amor nasce in tre modi in vostro limo. 114 E’ chi, per esser suo vicin soppresso, spera eccellenza, e sol per questo brama ch’el sia di sua grandezza in basso messo; 117 è chi podere, grazia, onore e fama teme di perder perch’altri sormonti, onde s’attrista sì che ’l contrario ama; 120 ed è chi per ingiuria par ch’aonti, sì che si fa de la vendetta ghiotto, e tal convien che ’l male altrui impronti. 123 Questo triforme amor qua giù di sotto si piange; or vo’ che tu de l’altro intende, che corre al ben con ordine corrotto. 120 Ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l’animo, e disira; per che di giugner lui ciascun contende. 123 Se lento amore a lui veder vi tira o a lui acquistar, questa cornice, dopo giusto penter, ve ne martira. 126 Altro ben è che non fa l’uom felice; non è felicità, non è la buona essenza, d’ogne ben frutto e radice. 129 L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona, di sovr’a noi si piange per tre cerchi; ma come tripartito si ragiona, 132 tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». Letteratura italiana Einaudi 220 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVIII Posto avea fine al suo ragionamento l’alto dottore, e attento guardava ne la mia vista s’io parea contento; 3 e io, cui nova sete ancor frugava, di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse lo troppo dimandar ch’io fo li grava’. 6 Ma quel padre verace, che s’accorse del timido voler che non s’apriva, parlando, di parlare ardir mi porse. 9 Ond’io: «Maestro, il mio veder s’avviva sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro quanto la tua ragion parta o descriva. 12 Però ti prego, dolce padre caro, che mi dimostri amore, a cui reduci ogne buono operare e ’l suo contraro». 15 «Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci de lo ’ntelletto, e fieti manifesto l’error de’ ciechi che si fanno duci. 18 L’animo, ch’è creato ad amar presto, ad ogne cosa è mobile che piace, tosto che dal piacere in atto è desto. 21 Vostra apprensiva da esser verace tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, sì che l’animo ad essa volger face; 24 e se, rivolto, inver’ di lei si piega, quel piegare è amor, quell’è natura che per piacer di novo in voi si lega. 27 Poi, come ’l foco movesi in altura per la sua forma ch’è nata a salire là dove più in sua matera dura, 30 così l’animo preso entra in disire, ch’è moto spiritale, e mai non posa fin che la cosa amata il fa gioire. 33 Letteratura italiana Einaudi 221 Dante Alighieri - Commedia Or ti puote apparer quant’è nascosa la veritate a la gente ch’avvera ciascun amore in sé laudabil cosa; 36 però che forse appar la sua matera sempre esser buona, ma non ciascun segno è buono, ancor che buona sia la cera». 39 «Le tue parole e ’l mio seguace ingegno», rispuos’io lui, «m’hanno amor discoverto, ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno; 42 ché, s’amore è di fuori a noi offerto, e l’anima non va con altro piede, se dritta o torta va, non è suo merto». 45 Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede, dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta pur a Beatrice, ch’è opra di fede. 48 Ogne forma sustanzial, che setta è da matera ed è con lei unita, specifica vertute ha in sé colletta, 51 la qual sanza operar non è sentita, né si dimostra mai che per effetto, come per verdi fronde in pianta vita. 54 Però, là onde vegna lo ’ntelletto de le prime notizie, omo non sape, e de’ primi appetibili l’affetto, 57 che sono in voi sì come studio in ape di far lo mele; e questa prima voglia merto di lode o di biasmo non cape. 60 Or perché a questa ogn’altra si raccoglia, innata v’è la virtù che consiglia, e de l’assenso de’ tener la soglia. 63 Quest’è ’l principio là onde si piglia ragion di meritare in voi, secondo che buoni e rei amori accoglie e viglia. 66 Color che ragionando andaro al fondo, s’accorser d’esta innata libertate; però moralità lasciaro al mondo. 69 Letteratura italiana Einaudi 222 Dante Alighieri - Commedia Onde, poniam che di necessitate surga ogne amor che dentro a voi s’accende, di ritenerlo è in voi la podestate. 72 La nobile virtù Beatrice intende per lo libero arbitrio, e però guarda che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende». 75 La luna, quasi a mezza notte tarda, facea le stelle a noi parer più rade, fatta com’un secchion che tuttor arda; 78 e correa contro ’l ciel per quelle strade che ’l sole infiamma allor che quel da Roma tra Sardi e ’ Corsi il vede quando cade. 81 E quell’ombra gentil per cui si noma Pietola più che villa mantoana, del mio carcar diposta avea la soma; 84 per ch’io, che la ragione aperta e piana sovra le mie quistioni avea ricolta, stava com’om che sonnolento vana. 87 Ma questa sonnolenza mi fu tolta subitamente da gente che dopo le nostre spalle a noi era già volta. 90 E quale Ismeno già vide e Asopo lungo di sè di notte furia e calca, pur che i Teban di Bacco avesser uopo, 93 cotal per quel giron suo passo falca, per quel ch’io vidi di color, venendo, cui buon volere e giusto amor cavalca. 96 Tosto fur sovr’a noi, perché correndo si movea tutta quella turba magna; e due dinanzi gridavan piangendo: 99 «Maria corse con fretta a la montagna; e Cesare, per soggiogare Ilerda, punse Marsilia e poi corse in Ispagna». 102 «Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda per poco amor», gridavan li altri appresso, «che studio di ben far grazia rinverda». 105 Letteratura italiana Einaudi 223 Dante Alighieri - Commedia «O gente in cui fervore aguto adesso ricompie forse negligenza e indugio da voi per tepidezza in ben far messo, 108 questi che vive, e certo i’ non vi bugio, vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca; però ne dite ond’è presso il pertugio». 111 Parole furon queste del mio duca; e un di quelli spirti disse: «Vieni di retro a noi, e troverai la buca. 114 Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, che restar non potem; però perdona, se villania nostra giustizia tieni. 117 Io fui abate in San Zeno a Verona sotto lo ’mperio del buon Barbarossa, di cui dolente ancor Milan ragiona. 120 E tale ha già l’un piè dentro la fossa, che tosto piangerà quel monastero, e tristo fia d’avere avuta possa; 123 perché suo figlio, mal del corpo intero, e de la mente peggio, e che mal nacque, ha posto in loco di suo pastor vero». 126 Io non so se più disse o s’ei si tacque, tant’era già di là da noi trascorso; ma questo intesi, e ritener mi piacque. 129 E quei che m’era ad ogne uopo soccorso disse: «Volgiti qua: vedine due venir dando a l’accidia di morso». 132 Di retro a tutti dicean: «Prima fue morta la gente a cui il mar s’aperse, che vedesse Iordan le rede sue. 135 E quella che l’affanno non sofferse fino a la fine col figlio d’Anchise, sé stessa a vita sanza gloria offerse». 138 Poi quando fuor da noi tanto divise quell’ombre, che veder più non potiersi, novo pensiero dentro a me si mise, 141 Letteratura italiana Einaudi 224 Dante Alighieri - Commedia del qual più altri nacquero e diversi; e tanto d’uno in altro vaneggiai, che li occhi per vaghezza ricopersi, 144 e ’l pensamento in sogno trasmutai. Letteratura italiana Einaudi 225 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIX Ne l’ora che non può ’l calor diurno intepidar più ’l freddo de la luna, vinto da terra, e talor da Saturno 3 – quando i geomanti lor Maggior Fortuna veggiono in orïente, innanzi a l’alba, surger per via che poco le sta bruna –, 6 mi venne in sogno una femmina balba, ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, con le man monche, e di colore scialba. 9 Io la mirava; e come ’l sol conforta le fredde membra che la notte aggrava, così lo sguardo mio le facea scorta 12 la lingua, e poscia tutta la drizzava in poco d’ora, e lo smarrito volto, com’ amor vuol, così le colorava. 15 Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto, cominciava a cantar sì, che con pena da lei avrei mio intento rivolto. 18 «Io son», cantava, «io son dolce serena, che’ marinari in mezzo mar dismago; tanto son di piacere a sentir piena! 21 Io volsi Ulisse del suo cammin vago al canto mio; e qual meco s’ausa, rado sen parte; sì tutto l’appago!». 24 Ancor non era sua bocca richiusa, quand’ una donna apparve santa e presta lunghesso me per far colei confusa. 27 «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?», fieramente dicea; ed el venìa con li occhi fitti pur in quella onesta. 30 L’altra prendea, e dinanzi l’apria fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre; quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. 33 Letteratura italiana Einaudi 226 Dante Alighieri - Commedia Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni; troviam l’aperta per la qual tu entre». 36 Sù mi levai, e tutti eran già pieni de l’alto dì i giron del sacro monte, e andavam col sol novo a le reni. 39 Seguendo lui, portava la mia fronte come colui che l’ha di pensier carca, che fa di sé un mezzo arco di ponte; 41 quand’ io udi’ «Venite; qui si varca» parlare in modo soave e benigno, qual non si sente in questa mortal marca. 44 Con l’ali aperte, che parean di cigno, volseci in sù colui che sì parlonne tra due pareti del duro macigno. 47 Mosse le penne poi e ventilonne, ‘ Qui lugent’ affermando esser beati, ch’avran di consolar l’anime donne. 50 «Che hai che pur inver’ la terra guati?», la guida mia incominciò a dirmi, poco amendue da l’angel sormontati. 53 E io: «Con tanta sospeccion fa irmi novella visïon ch’a sé mi piega, sì ch’io non posso dal pensar partirmi». 56 «Vedesti», disse, «quell’antica strega che sola sovr’ a noi omai si piagne; vedesti come l’uom da lei si slega. 59 Bastiti, e batti a terra le calcagne; li occhi rivolgi al logoro che gira lo rege etterno con le rote magne». 62 Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira, indi si volge al grido e si protende per lo disio del pasto che là il tira, 65 tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende la roccia per dar via a chi va suso, n’andai infin dove ’l cerchiar si prende. 68 Letteratura italiana Einaudi 227 Dante Alighieri - Commedia Com’io nel quinto giro fui dischiuso, vidi gente per esso che piangea, giacendo a terra tutta volta in giuso. 72 ‘ Adhaesit pavimento anima mea’ sentia dir lor con sì alti sospiri, che la parola a pena s’intendea. 75 «O eletti di Dio, li cui soffriri e giustizia e speranza fa men duri, drizzate noi verso li alti saliri». 78 «Se voi venite dal giacer sicuri, e volete trovar la via più tosto, le vostre destre sien sempre di fori». 81 Così pregò ’l poeta, e sì risposto poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io nel parlare avvisai l’altro nascosto, 84 e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: ond’ elli m’assentì con lieto cenno ciò che chiedea la vista del disio. 87 Poi ch’io potei di me fare a mio senno, trassimi sovra quella creatura le cui parole pria notar mi fenno, 90 dicendo: «Spirto in cui pianger matura quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi, sosta un poco per me tua maggior cura. 93 Chi fosti e perché vòlti avete i dossi al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri cosa di là ond’ io vivendo mossi». 96 Ed elli a me: «Perché i nostri diretri rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima scias quod ego fui successor Petri. 99 Intra Sïestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima. 102 Un mese è poco più prova’ io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, che piuma sembran tutte l’altre some. 105 Letteratura italiana Einaudi 228 Dante Alighieri - Commedia La mia conversïone, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda. 108 Vidi che lì non s’acquetava il core, né più salir potiesi in quella vita; er che di questa in me s’accese amore. 111 Fino a quel punto misera e partita da Dio anima fui, del tutto avara; or, come vedi, qui ne son punita. 114 Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara in purgazion de l’anime converse; e nulla pena il monte ha più amara. 117 Sì come l’occhio nostro non s’aderse in alto, fisso a le cose terrene, così giustizia qui a terra il merse. 120 Come avarizia spense a ciascun bene lo nostro amore, onde operar perdési, così giustizia qui stretti ne tene, 123 ne’ piedi e ne le man legati e presi; e quanto fia piacer del giusto Sire, tanto staremo immobili e distesi». 126 Io m’era inginocchiato e volea dire; ma com’ io cominciai ed el s’accorse, solo ascoltando, del mio reverire, 129 «Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?». E io a lui: «Per vostra dignitate mia coscïenza dritto mi rimorse». 132 «Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», rispuose; «non errar: conservo sono teco e con li altri ad una podestate. 135 Se mai quel santo evangelico suono che dice ‘ Neque nubent’ intendesti, ben puoi veder perch’io così ragiono. 138 Vattene omai: non vo’ che più t’arresti; ché la tua stanza mio pianger disagia, col qual maturo ciò che tu dicesti. 141 Letteratura italiana Einaudi 229 Dante Alighieri - Commedia Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, buona da sé, pur che la nostra casa non faccia lei per essempro malvagia; 144 e questa sola di là m’è rimasa». Letteratura italiana Einaudi 230 Dante Alighieri - Commedia CANTO XX Contra miglior voler voler mal pugna; onde contra ’l piacer mio, per piacerli, trassi de l’acqua non sazia la spugna. 3 Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li luoghi spediti pur lungo la roccia, come si va per muro stretto a’ merli; 6 ché la gente che fonde a goccia a goccia per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa, da l’altra parte in fuor troppo s’approccia. 9 Maladetta sie tu, antica lupa, che più che tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa! 12 O ciel, nel cui girar par che si creda le condizion di qua giù trasmutarsi, quando verrà per cui questa disceda? 15 Noi andavam con passi lenti e scarsi, e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia pietosamente piangere e lagnarsi; 18 e per ventura udi’ «Dolce Maria!» dinanzi a noi chiamar così nel pianto come fa donna che in parturir sia; 21 e seguitar: «Povera fosti tanto, quanto veder si può per quello ospizio dove sponesti il tuo portato santo». 24 Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, con povertà volesti anzi virtute che gran ricchezza posseder con vizio». 27 Queste parole m’eran sì piaciute, ch’io mi trassi oltre per aver contezza di quello spirto onde parean venute. 30 Esso parlava ancor de la larghezza che fece Niccolò a le pulcelle, per condurre ad onor lor giovinezza. 33 Letteratura italiana Einaudi 231 Dante Alighieri - Commedia «O anima che tanto ben favelle, dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola tu queste degne lode rinovelle. 36 Non fia sanza mercé la tua parola, s’io ritorno a compiér lo cammin corto di quella vita ch’al termine vola». 39 Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto ch’io attenda di là, ma perché tanta grazia in te luce prima che sie morto. 42 Io fui radice de la mala pianta che la terra cristiana tutta aduggia, sì che buon frutto rado se ne schianta. 45 Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia potesser, tosto ne saria vendetta; e io la cheggio a lui che tutto giuggia. 48 Chiamato fui di là Ugo Ciappetta; di me son nati i Filippi e i Luigi per cui novellamente è Francia retta. 51 Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: quando li regi antichi venner meno tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 54 trova’mi stretto ne le mani il freno del governo del regno, e tanta possa di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 57 ch’a la corona vedova promossa la testa di mio figlio fu, dal quale cominciar di costor le sacrate ossa. 60 Mentre che la gran dota provenzale al sangue mio non tolse la vergogna, poco valea, ma pur non facea male. 63 Lì cominciò con forza e con menzogna la sua rapina; e poscia, per ammenda, Pontì e Normandia prese e Guascogna. 66 Carlo venne in Italia e, per ammenda, vittima fé di Curradino; e poi ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69 Letteratura italiana Einaudi 232 Dante Alighieri - Commedia Tempo vegg’io, non molto dopo ancoi, che tragge un altro Carlo fuor di Francia, per far conoscer meglio e sé e ’ suoi. 72 Sanz’arme n’esce e solo con la lancia con la qual giostrò Giuda, e quella ponta sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75 Quindi non terra, ma peccato e onta guadagnerà, per sé tanto più grave, quanto più lieve simil danno conta. 78 L’altro, che già uscì preso di nave, veggio vender sua figlia e patteggiarne come fanno i corsar de l’altre schiave. 81 O avarizia, che puoi tu più farne, poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto, che non si cura de la propria carne? 84 Perché men paia il mal futuro e ’l fatto, veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, e nel vicario suo Cristo esser catto. 87 Veggiolo un’altra volta esser deriso; veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso. 90 Veggio il novo Pilato sì crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto portar nel Tempio le cupide vele. 93 O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? 96 Ciò ch’io dicea di quell’unica sposa de lo Spirito Santo e che ti fece verso me volger per alcuna chiosa, 99 tanto è risposto a tutte nostre prece quanto ’l dì dura; ma com’el s’annotta, contrario suon prendemo in quella vece. 102 Noi repetiam Pigmalion allotta, cui traditore e ladro e paricida fece la voglia sua de l’oro ghiotta; 105 Letteratura italiana Einaudi 233 Dante Alighieri - Commedia e la miseria de l’avaro Mida, che seguì a la sua dimanda gorda, per la qual sempre convien che si rida. 108 Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, come furò le spoglie, sì che l’ira di Iosuè qui par ch’ancor lo morda. 111 Indi accusiam col marito Saffira; lodiam i calci ch’ebbe Eliodoro; e in infamia tutto ’l monte gira 114 Polinestòr ch’ancise Polidoro; ultimamente ci si grida: “Crasso, dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”. 117 Talor parla l’uno alto e l’altro basso, secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona ora a maggiore e ora a minor passo: 120 però al ben che ’l dì ci si ragiona, dianzi non era io sol; ma qui da presso non alzava la voce altra persona». 123 Noi eravam partiti già da esso, e brigavam di soverchiar la strada tanto quanto al poder n’era permesso, 126 quand’io senti’, come cosa che cada, tremar lo monte; onde mi prese un gelo qual prender suol colui ch’a morte vada. 129 Certo non si scoteo sì forte Delo, pria che Latona in lei facesse ’l nido a parturir li due occhi del cielo. 132 Poi cominciò da tutte parti un grido tal, che ’l maestro inverso me si feo, dicendo: «Non dubbiar, mentr’io ti guido». 135 ‘ Gloria in excelsis’ tutti ‘ Deo’ dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi, onde intender lo grido si poteo. 138 No’ istavamo immobili e sospesi come i pastor che prima udir quel canto, fin che ’l tremar cessò ed el compiési. 141 Letteratura italiana Einaudi 234 Dante Alighieri - Commedia Poi ripigliammo nostro cammin santo, guardando l’ombre che giacean per terra, tornate già in su l’usato pianto. 144 Nulla ignoranza mai con tanta guerra mi fé desideroso di sapere, se la memoria mia in ciò non erra, 147 quanta pareami allor, pensando, avere; né per la fretta dimandare er’oso, né per me lì potea cosa vedere: 150 così m’andava timido e pensoso. Letteratura italiana Einaudi 235 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXI La sete natural che mai non sazia se non con l’acqua onde la femminetta samaritana domandò la grazia, 3 mi travagliava, e pungeami la fretta per la ’mpacciata via dietro al mio duca, e condoleami a la giusta vendetta. 6 Ed ecco, sì come ne scrive Luca che Cristo apparve a’ due ch’erano in via, già surto fuor de la sepulcral buca, 9 ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa, dal piè guardando la turba che giace; né ci addemmo di lei, sì parlò pria, 12 dicendo; «O frati miei, Dio vi dea pace». Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface. 15 Poi cominciò: «Nel beato concilio ti ponga in pace la verace corte che me rilega ne l’etterno essilio». 18 «Come!», diss’elli, e parte andavam forte: «se voi siete ombre che Dio sù non degni, chi v’ha per la sua scala tanto scorte?». 21 E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni che questi porta e che l’angel profila, ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni. 24 Ma perché lei che dì e notte fila non li avea tratta ancora la conocchia che Cloto impone a ciascuno e compila, 27 l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia, venendo sù, non potea venir sola, però ch’al nostro modo non adocchia. 30 Ond’io fui tratto fuor de l’ampia gola d’inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto ’l potrà menar mia scola. 33 Letteratura italiana Einaudi 236 Dante Alighieri - Commedia Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una parve gridare infino a’ suoi piè molli». 36 Sì mi diè, dimandando, per la cruna del mio disio, che pur con la speranza si fece la mia sete men digiuna. 39 Quei cominciò: «Cosa non è che sanza ordine senta la religione de la montagna, o che sia fuor d’usanza. 42 Libero è qui da ogne alterazione: di quel che ’l ciel da sé in sé riceve esser ci puote, e non d’altro, cagione. 45 Per che non pioggia, non grando, non neve, non rugiada, non brina più sù cade che la scaletta di tre gradi breve; 48 nuvole spesse non paion né rade, né coruscar, né figlia di Taumante, che di là cangia sovente contrade; 51 secco vapor non surge più avante ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai, dov’ha ’l vicario di Pietro le piante. 54 Trema forse più giù poco o assai; ma per vento che ’n terra si nasconda, non so come, qua sù non tremò mai. 57 Tremaci quando alcuna anima monda sentesi, sì che surga o che si mova per salir sù; e tal grido seconda. 60 De la mondizia sol voler fa prova, che, tutto libero a mutar convento, l’alma sorprende, e di voler le giova. 63 Prima vuol ben, ma non lascia il talento che divina giustizia, contra voglia, come fu al peccar, pone al tormento. 66 E io, che son giaciuto a questa doglia cinquecent’anni e più, pur mo sentii libera volontà di miglior soglia: 69 Letteratura italiana Einaudi 237 Dante Alighieri - Commedia però sentisti il tremoto e li pii spiriti per lo monte render lode a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii». 72 Così ne disse; e però ch’el si gode tanto del ber quant’è grande la sete. non saprei dir quant’el mi fece prode. 75 E ’l savio duca: «Omai veggio la rete che qui v’impiglia e come si scalappia, perché ci trema e di che congaudete. 78 Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia, e perché tanti secoli giaciuto qui se’, ne le parole tue mi cappia». 81 «Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto del sommo rege, vendicò le fóra ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto, 84 col nome che più dura e più onora era io di là», rispuose quello spirto, «famoso assai, ma non con fede ancora. 87 Tanto fu dolce mio vocale spirto, che, tolosano, a sé mi trasse Roma, dove mertai le tempie ornar di mirto. 90 Stazio la gente ancor di là mi noma: cantai di Tebe, e poi del grande Achille; ma caddi in via con la seconda soma. 93 Al mio ardor fuor seme le faville, che mi scaldar, de la divina fiamma onde sono allumati più di mille; 96 de l’Eneida dico, la qual mamma fummi e fummi nutrice poetando: sanz’essa non fermai peso di dramma. 99 E per esser vivuto di là quando visse Virgilio, assentirei un sole più che non deggio al mio uscir di bando». 102 Volser Virgilio a me queste parole con viso che, tacendo, disse ‘Taci’; ma non può tutto la virtù che vuole; 105 Letteratura italiana Einaudi 238 Dante Alighieri - Commedia ché riso e pianto son tanto seguaci a la passion di che ciascun si spicca, che men seguon voler ne’ più veraci. 108 Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca; per che l’ombra si tacque, e riguardommi ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca; 111 e «Se tanto labore in bene assommi», disse, «perché la tua faccia testeso un lampeggiar di riso dimostrommi?». 114 Or son io d’una parte e d’altra preso: l’una mi fa tacer, l’altra scongiura ch’io dica; ond’io sospiro, e sono inteso 117 dal mio maestro, e «Non aver paura», mi dice, «di parlar; ma parla e digli quel ch’e’ dimanda con cotanta cura». 120 Ond’io: «Forse che tu ti maravigli, antico spirto, del rider ch’io fei; ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli. 123 Questi che guida in alto li occhi miei, è quel Virgilio dal qual tu togliesti forza a cantar de li uomini e d’i dèi. 126 Se cagion altra al mio rider credesti, lasciala per non vera, ed esser credi quelle parole che di lui dicesti». 129 Già s’inchinava ad abbracciar li piedi al mio dottor, ma el li disse: «Frate, non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi». 132 Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate comprender de l’amor ch’a te mi scalda, quand’io dismento nostra vanitate, 135 trattando l’ombre come cosa salda». Letteratura italiana Einaudi 239 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXII Già era l’angel dietro a noi rimaso, l’angel che n’avea vòlti al sesto giro, avendomi dal viso un colpo raso; 3 e quei c’hanno a giustizia lor disiro detto n’avea beati, e le sue voci con ‘ sitiunt’, sanz’altro, ciò forniro. 6 E io più lieve che per l’altre foci m’andava, sì che sanz’alcun labore seguiva in sù li spiriti veloci; 9 quando Virgilio incominciò: «Amore, acceso di virtù, sempre altro accese, pur che la fiamma sua paresse fore; 12 onde da l’ora che tra noi discese nel limbo de lo ’nferno Giovenale, che la tua affezion mi fé palese, 15 mia benvoglienza inverso te fu quale più strinse mai di non vista persona, sì ch’or mi parran corte queste scale. 18 Ma dimmi, e come amico mi perdona se troppa sicurtà m’allarga il freno, e come amico omai meco ragiona: 21 come poté trovar dentro al tuo seno loco avarizia, tra cotanto senno di quanto per tua cura fosti pieno?». 24 Queste parole Stazio mover fenno un poco a riso pria; poscia rispuose: «Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno. 27 Veramente più volte appaion cose che danno a dubitar falsa matera per le vere ragion che son nascose. 30 La tua dimanda tuo creder m’avvera esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita, forse per quella cerchia dov’io era. 33 Letteratura italiana Einaudi 240 Dante Alighieri - Commedia Or sappi ch’avarizia fu partita troppo da me, e questa dismisura migliaia di lunari hanno punita. 36 E se non fosse ch’io drizzai mia cura, quand’io intesi là dove tu chiame, crucciato quasi a l’umana natura: 39 ‘Per che non reggi tu, o sacra fame de l’oro, l’appetito de’ mortali?’, voltando sentirei le giostre grame. 42 Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali potean le mani a spendere, e pente’mi così di quel come de li altri mali. 45 Quanti risurgeran coi crini scemi per ignoranza, che di questa pecca toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! 48 E sappie che la colpa che rimbecca per dritta opposizione alcun peccato, con esso insieme qui suo verde secca; 51 però, s’io son tra quella gente stato che piange l’avarizia, per purgarmi, per lo contrario suo m’è incontrato». 54 «Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta», disse ’l cantor de’ buccolici carmi, 57 «per quello che Cliò teco lì tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. 60 Se così è, qual sole o quai candele ti stenebraron sì, che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?». 63 Ed elli a lui: «Tu prima m’inviasti verso Parnaso a ber ne le sue grotte, e prima appresso Dio m’alluminasti. 66 Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte, 69 Letteratura italiana Einaudi 241 Dante Alighieri - Commedia quando dicesti: ‘Secol si rinova; torna giustizia e primo tempo umano, e progenie scende da ciel nova’. 72 Per te poeta fui, per te cristiano: ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, a colorare stenderò la mano: 75 Già era ’l mondo tutto quanto pregno de la vera credenza, seminata per li messaggi de l’etterno regno; 78 e la parola tua sopra toccata si consonava a’ nuovi predicanti; ond’io a visitarli presi usata. 81 Vennermi poi parendo tanto santi, che, quando Domizian li perseguette, sanza mio lagrimar non fur lor pianti; 84 e mentre che di là per me si stette, io li sovvenni, e i lor dritti costumi fer dispregiare a me tutte altre sette. 87 E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi di Tebe poetando, ebb’io battesmo; ma per paura chiuso cristian fu’mi, 90 lungamente mostrando paganesmo; e questa tepidezza il quarto cerchio cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo. 93 Tu dunque, che levato hai il coperchio che m’ascondeva quanto bene io dico, mentre che del salire avem soverchio, 96 dimmi dov’è Terrenzio nostro antico, Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai: dimmi se son dannati, e in qual vico». 99 «Costoro e Persio e io e altri assai», rispuose il duca mio, «siam con quel Greco che le Muse lattar più ch’altri mai, 102 nel primo cinghio del carcere cieco: spesse fiate ragioniam del monte che sempre ha le nutrice nostre seco. 105 Letteratura italiana Einaudi 242 Dante Alighieri - Commedia Euripide v’è nosco e Antifonte, Simonide, Agatone e altri piùe Greci che già di lauro ornar la fronte. 108 Quivi si veggion de le genti tue Antigone, Deifile e Argia, e Ismene sì trista come fue. 111 Védeisi quella che mostrò Langia; èvvi la figlia di Tiresia, e Teti e con le suore sue Deidamia». 114 Tacevansi ambedue già li poeti, di novo attenti a riguardar dintorno, liberi da saliri e da pareti; 117 e già le quattro ancelle eran del giorno rimase a dietro, e la quinta era al temo, drizzando pur in sù l’ardente corno, 120 quando il mio duca: «Io credo ch’a lo stremo le destre spalle volger ne convegna, girando il monte come far solemo». 123 Così l’usanza fu lì nostra insegna, e prendemmo la via con men sospetto per l’assentir di quell’anima degna. 126 Elli givan dinanzi, e io soletto di retro, e ascoltava i lor sermoni, ch’a poetar mi davano intelletto. 129 Ma tosto ruppe le dolci ragioni un alber che trovammo in mezza strada, con pomi a odorar soavi e buoni; 132 e come abete in alto si digrada di ramo in ramo, così quello in giuso, cred’io, perché persona sù non vada. 135 Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso, cadea de l’alta roccia un liquor chiaro e si spandeva per le foglie suso. 138 Li due poeti a l’alber s’appressaro; e una voce per entro le fronde gridò: «Di questo cibo avrete caro». 141 Letteratura italiana Einaudi 243 Dante Alighieri - Commedia Poi disse: «Più pensava Maria onde fosser le nozze orrevoli e intere, ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde. 144 E le Romane antiche, per lor bere, contente furon d’acqua; e Daniello dispregiò cibo e acquistò savere. 147 Lo secol primo, quant’oro fu bello, fé savorose con fame le ghiande, e nettare con sete ogne ruscello. 150 Mele e locuste furon le vivande che nodriro il Batista nel diserto; per ch’elli è glorioso e tanto grande 153 quanto per lo Vangelio v’è aperto». Letteratura italiana Einaudi 244 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIII Mentre che li occhi per la fronda verde ficcava io sì come far suole chi dietro a li uccellin sua vita perde, 3 lo più che padre mi dicea: «Figliuole, vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto più utilmente compartir si vuole». 6 Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto, appresso i savi, che parlavan sìe, che l’andar mi facean di nullo costo. 9 Ed ecco piangere e cantar s’udìe ‘ Labia mea, Domine’ per modo tal, che diletto e doglia parturìe. 12 «O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?», comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno forse di lor dover solvendo il nodo». 15 Sì come i peregrin pensosi fanno, giugnendo per cammin gente non nota, che si volgono ad essa e non restanno, 18 così di retro a noi, più tosto mota, venendo e trapassando ci ammirava d’anime turba tacita e devota. 21 Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, palida ne la faccia, e tanto scema, che da l’ossa la pelle s’informava. 24 Non credo che così a buccia strema Erisittone fosse fatto secco, per digiunar, quando più n’ebbe tema. 27 Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco la gente che perdé Ierusalemme, quando Maria nel figlio diè di becco!’ 30 Parean l’occhiaie anella sanza gemme: chi nel viso de li uomini legge ‘omo’ ben avria quivi conosciuta l’emme. 33 Letteratura italiana Einaudi 245 Dante Alighieri - Commedia Chi crederebbe che l’odor d’un pomo sì governasse, generando brama, e quel d’un’acqua, non sappiendo como? 36 Già era in ammirar che sì li affama, per la cagione ancor non manifesta di lor magrezza e di lor trista squama, 39 ed ecco del profondo de la testa volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso; poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?». 42 Mai non l’avrei riconosciuto al viso; ma ne la voce sua mi fu palese ciò che l’aspetto in sé avea conquiso. 45 Questa favilla tutta mi raccese mia conoscenza a la cangiata labbia, e ravvisai la faccia di Forese. 48 «Deh, non contendere a l’asciutta scabbia che mi scolora», pregava, «la pelle, né a difetto di carne ch’io abbia; 51 ma dimmi il ver di te, di’ chi son quelle due anime che là ti fanno scorta; non rimaner che tu non mi favelle!». 54 «La faccia tua, ch’io lagrimai già morta, mi dà di pianger mo non minor doglia», rispuos’io lui, «veggendola sì torta. 57 Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia; non mi far dir mentr’io mi maraviglio, ché mal può dir chi è pien d’altra voglia». 60 Ed elli a me: «De l’etterno consiglio cade vertù ne l’acqua e ne la pianta rimasa dietro ond’io sì m’assottiglio. 63 Tutta esta gente che piangendo canta per seguitar la gola oltra misura, in fame e ’n sete qui si rifà santa. 66 Di bere e di mangiar n’accende cura l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo che si distende su per sua verdura. 69 Letteratura italiana Einaudi 246 Dante Alighieri - Commedia E non pur una volta, questo spazzo girando, si rinfresca nostra pena: io dico pena, e dovrìa dir sollazzo, 72 ché quella voglia a li alberi ci mena che menò Cristo lieto a dire ‘ Elì’, quando ne liberò con la sua vena». 75 E io a lui: «Forese, da quel dì nel qual mutasti mondo a miglior vita, cinq’anni non son vòlti infino a qui. 78 Se prima fu la possa in te finita di peccar più, che sovvenisse l’ora del buon dolor ch’a Dio ne rimarita, 81 come se’ tu qua sù venuto ancora? Io ti credea trovar là giù di sotto dove tempo per tempo si ristora». 84 Ond’elli a me: «Sì tosto m’ha condotto a ber lo dolce assenzo d’i martìri la Nella mia con suo pianger dirotto. 87 Con suoi prieghi devoti e con sospiri tratto m’ha de la costa ove s’aspetta, e liberato m’ha de li altri giri. 90 Tanto è a Dio più cara e più diletta la vedovella mia, che molto amai, quanto in bene operare è più soletta; 93 ché la Barbagia di Sardigna assai ne le femmine sue più è pudica che la Barbagia dov’io la lasciai. 96 O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica? Tempo futuro m’è già nel cospetto, cui non sarà quest’ora molto antica, 99 nel qual sarà in pergamo interdetto a le sfacciate donne fiorentine l’andar mostrando con le poppe il petto. 102 Quai barbare fuor mai, quai saracine, cui bisognasse, per farle ir coperte, o spiritali o altre discipline? 105 Letteratura italiana Einaudi 247 Dante Alighieri - Commedia Ma se le svergognate fosser certe di quel che ’l ciel veloce loro ammanna, già per urlare avrian le bocche aperte; 108 ché se l’antiveder qui non m’inganna, prima fien triste che le guance impeli colui che mo si consola con nanna. 111 Deh, frate, or fa che più non mi ti celi! vedi che non pur io, ma questa gente tutta rimira là dove ’l sol veli». 114 Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente qual fosti meco, e qual io teco fui, ancor fia grave il memorar presente. 117 Di quella vita mi volse costui che mi va innanzi, l’altr’ier, quando tonda vi si mostrò la suora di colui», 120 e ’l sol mostrai; «costui per la profonda notte menato m’ha d’i veri morti con questa vera carne che ’l seconda. 123 Indi m’han tratto sù li suoi conforti, salendo e rigirando la montagna che drizza voi che ’l mondo fece torti. 126 Tanto dice di farmi sua compagna, che io sarò là dove fia Beatrice; quivi convien che sanza lui rimagna. 129 Virgilio è questi che così mi dice», e addita’lo; «e quest’altro è quell’ombra per cui scosse dianzi ogne pendice 132 lo vostro regno, che da sé lo sgombra». Letteratura italiana Einaudi 248 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIV Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento facea, ma ragionando andavam forte, sì come nave pinta da buon vento; 3 e l’ombre, che parean cose rimorte, per le fosse de li occhi ammirazione traean di me, di mio vivere accorte. 6 E io, continuando al mio sermone, dissi: «Ella sen va sù forse più tarda che non farebbe, per altrui cagione. 9 Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda; dimmi s’io veggio da notar persona tra questa gente che sì mi riguarda». 12 «La mia sorella, che tra bella e buona non so qual fosse più, triunfa lieta ne l’alto Olimpo già di sua corona». 15 Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta di nominar ciascun, da ch’è sì munta nostra sembianza via per la dieta. 18 Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta, Bonagiunta da Lucca; e quella faccia di là da lui più che l’altre trapunta 21 ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia». 24 Molti altri mi nomò ad uno ad uno; e del nomar parean tutti contenti, sì ch’io però non vidi un atto bruno. 27 Vidi per fame a vòto usar li denti Ubaldin da la Pila e Bonifazio che pasturò col rocco molte genti. 30 Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio già di bere a Forlì con men secchezza, e sì fu tal, che non si sentì sazio. 33 Letteratura italiana Einaudi 249 Dante Alighieri - Commedia Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca, che più parea di me aver contezza. 36 El mormorava; e non so che «Gentucca» sentiv’io là, ov’el sentia la piaga de la giustizia che sì li pilucca. 39 «O anima», diss’io, «che par sì vaga di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda, e te e me col tuo parlare appaga». 42 «Femmina è nata, e non porta ancor benda», cominciò el, «che ti farà piacere la mia città, come ch’om la riprenda. 45 Tu te n’andrai con questo antivedere: se nel mio mormorar prendesti errore, dichiareranti ancor le cose vere. 48 Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘ Donne ch’avete intelletto d’amore’». 51 E io a lui: «I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando». 54 «O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo che ’l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57 Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che de le nostre certo non avvenne; 60 e qual più a gradire oltre si mette, non vede più da l’uno a l’altro stilo»; e, quasi contentato, si tacette. 63 Come li augei che vernan lungo ’l Nilo, alcuna volta in aere fanno schiera, poi volan più a fretta e vanno in filo, 66 così tutta la gente che lì era, volgendo ’l viso, raffrettò suo passo, e per magrezza e per voler leggera. 69 Letteratura italiana Einaudi 250 Dante Alighieri - Commedia E come l’uom che di trottare è lasso, lascia andar li compagni, e sì passeggia fin che si sfoghi l’affollar del casso, 72 sì lasciò trapassar la santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva, dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?». 75 «Non so», rispuos’io lui, «quant’io mi viva; ma già non fia il tornar mio tantosto, ch’io non sia col voler prima a la riva; 78 però che ’l loco u’ fui a viver posto, di giorno in giorno più di ben si spolpa, e a trista ruina par disposto». 81 «Or va», diss’el; «che quei che più n’ha colpa, vegg’io a coda d’una bestia tratto inver’ la valle ove mai non si scolpa. 84 La bestia ad ogne passo va più ratto, crescendo sempre, fin ch’ella il percuote, e lascia il corpo vilmente disfatto. 87 Non hanno molto a volger quelle ruote», e drizzò li ochi al ciel, «che ti fia chiaro ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote. 90 Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro in questo regno, sì ch’io perdo troppo venendo teco sì a paro a paro». 93 Qual esce alcuna volta di gualoppo lo cavalier di schiera che cavalchi, e va per farsi onor del primo intoppo, 96 tal si partì da noi con maggior valchi; e io rimasi in via con esso i due che fuor del mondo sì gran marescalchi. 99 E quando innanzi a noi intrato fue, che li occhi miei si fero a lui seguaci, come la mente a le parole sue, 102 parvermi i rami gravidi e vivaci d’un altro pomo, e non molto lontani per esser pur allora vòlto in laci. 105 Letteratura italiana Einaudi 251 Dante Alighieri - Commedia Vidi gente sott’esso alzar le mani e gridar non so che verso le fronde, quasi bramosi fantolini e vani, 108 che pregano, e ’l pregato non risponde, ma, per fare esser ben la voglia acuta, tien alto lor disio e nol nasconde. 111 Poi si partì sì come ricreduta; e noi venimmo al grande arbore adesso, che tanti prieghi e lagrime rifiuta. 114 «Trapassate oltre sanza farvi presso: legno è più sù che fu morso da Eva, e questa pianta si levò da esso». 117 Sì tra le frasche non so chi diceva; per che Virgilio e Stazio e io, ristretti, oltre andavam dal lato che si leva. 120 «Ricordivi», dicea, «d’i maladetti nei nuvoli formati, che, satolli, Teseo combatter co’ doppi petti; 123 e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli, per che no i volle Gedeon compagni, quando inver’ Madian discese i colli». 126 Sì accostati a l’un d’i due vivagni passammo, udendo colpe de la gola seguite già da miseri guadagni. 129 Poi, rallargati per la strada sola, ben mille passi e più ci portar oltre, contemplando ciascun sanza parola. 132 «Che andate pensando sì voi sol tre?». sùbita voce disse; ond’io mi scossi come fan bestie spaventate e poltre. 135 Drizzai la testa per veder chi fossi; e già mai non si videro in fornace vetri o metalli sì lucenti e rossi, 138 com’io vidi un che dicea: «S’a voi piace montare in sù, qui si convien dar volta; quinci si va chi vuole andar per pace». 141 Letteratura italiana Einaudi 252 Dante Alighieri - Commedia L’aspetto suo m’avea la vista tolta; per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori, com’om che va secondo ch’elli ascolta. 144 E quale, annunziatrice de li albori, l’aura di maggio movesi e olezza, tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; 147 tal mi senti’ un vento dar per mezza la fronte, e ben senti’ mover la piuma, che fé sentir d’ambrosia l’orezza. 150 E senti’ dir: «Beati cui alluma tanto di grazia, che l’amor del gusto nel petto lor troppo disir non fuma, 153 esuriendo sempre quanto è giusto!». Letteratura italiana Einaudi 253 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXV Ora era onde ’l salir non volea storpio; ché ’l sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: 3 per che, come fa l’uom che non s’affigge ma vassi a la via sua, che che li appaia, se di bisogno stimolo il trafigge, 6 così intrammo noi per la callaia, uno innanzi altro prendendo la scala che per artezza i salitor dispaia. 9 E quale il cicognin che leva l’ala per voglia di volare, e non s’attenta d’abbandonar lo nido, e giù la cala; 12 tal era io con voglia accesa e spenta di dimandar, venendo infino a l’atto che fa colui ch’a dicer s’argomenta. 15 Non lasciò, per l’andar che fosse ratto, lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto». 18 Allor sicuramente apri’ la bocca e cominciai: «Come si può far magro là dove l’uopo di nodrir non tocca?». 21 «Se t’ammentassi come Meleagro si consumò al consumar d’un stizzo, non fora», disse, «a te questo sì agro; 24 e se pensassi come, al vostro guizzo, guizza dentro a lo specchio vostra image, ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 27 Ma perché dentro a tuo voler t’adage, ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego che sia or sanator de le tue piage». 30 «Se la veduta etterna li dislego», rispuose Stazio, «là dove tu sie, discolpi me non potert’io far nego». 33 Letteratura italiana Einaudi 254 Dante Alighieri - Commedia Poi cominciò: «Se le parole mie, figlio, la mente tua guarda e riceve, lume ti fiero al come che tu die. 36 Sangue perfetto, che poi non si beve da l’assetate vene, e si rimane quasi alimento che di mensa leve, 39 prende nel core a tutte membra umane virtute informativa, come quello ch’a farsi quelle per le vene vane. 42 Ancor digesto, scende ov’è più bello tacer che dire; e quindi poscia geme sovr’altrui sangue in natural vasello. 45 Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme, l’un disposto a patire, e l’altro a fare per lo perfetto loco onde si preme; 48 e, giunto lui, comincia ad operare coagulando prima, e poi avviva ciò che per sua matera fé constare. 51 Anima fatta la virtute attiva qual d’una pianta, in tanto differente, che questa è in via e quella è già a riva, 54 tanto ovra poi, che già si move e sente, come spungo marino; e indi imprende ad organar le posse ond’è semente. 57 Or si spiega, figliuolo, or si distende la virtù ch’è dal cor del generante, dove natura a tutte membra intende. 60 Ma come d’animal divegna fante, non vedi tu ancor: quest’è tal punto, che più savio di te fé già errante, 63 sì che per sua dottrina fé disgiunto da l’anima il possibile intelletto, perché da lui non vide organo assunto. 66 Apri a la verità che viene il petto; e sappi che, sì tosto come al feto l’articular del cerebro è perfetto, 69 Letteratura italiana Einaudi 255 Dante Alighieri - Commedia lo motor primo a lui si volge lieto sovra tant’arte di natura, e spira spirito novo, di vertù repleto, 72 che ciò che trova attivo quivi, tira in sua sustanzia, e fassi un’alma sola, che vive e sente e sé in sé rigira. 75 E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sole che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola. 78 Quando Lachesìs non ha più del lino, solvesi da la carne, e in virtute ne porta seco e l’umano e ’l divino: 81 l’altre potenze tutte quante mute; memoria, intelligenza e volontade in atto molto più che prima agute. 84 Sanza restarsi per sé stessa cade mirabilmente a l’una de le rive; quivi conosce prima le sue strade. 87 Tosto che loco lì la circunscrive, la virtù formativa raggia intorno così e quanto ne le membra vive. 90 E come l’aere, quand’è ben piorno, per l’altrui raggio che ’n sé si reflette, di diversi color diventa addorno; 93 così l’aere vicin quivi si mette in quella forma ch’è in lui suggella virtualmente l’alma che ristette; 96 e simigliante poi a la fiammella che segue il foco là ’vunque si muta, segue lo spirto sua forma novella. 99 Però che quindi ha poscia sua paruta, è chiamata ombra; e quindi organa poi ciascun sentire infino a la veduta. 102 Quindi parliamo e quindi ridiam noi; quindi facciam le lagrime e ’ sospiri che per lo monte aver sentiti puoi. 105 Letteratura italiana Einaudi 256 Dante Alighieri - Commedia Secondo che ci affiggono i disiri e li altri affetti, l’ombra si figura; e quest’è la cagion di che tu miri». 108 E già venuto a l’ultima tortura s’era per noi, e vòlto a la man destra, ed eravamo attenti ad altra cura. 111 Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, e la cornice spira fiato in suso che la reflette e via da lei sequestra; 114 ond’ir ne convenia dal lato schiuso ad uno ad uno; e io temea ’l foco quinci, e quindi temeva cader giuso. 117 Lo duca mio dicea: «Per questo loco si vuol tenere a li occhi stretto il freno, però ch’errar potrebbesi per poco». 120 ‘ Summae Deus clementiae’ nel seno al grande ardore allora udi’ cantando, che di volger mi fé caler non meno; 123 e vidi spirti per la fiamma andando; per ch’io guardava a loro e a’ miei passi compartendo la vista a quando a quando. 126 Appresso il fine ch’a quell’inno fassi, gridavano alto: ‘ Virum non cognosco’; indi ricominciavan l’inno bassi. 129 Finitolo, anco gridavano: «Al bosco si tenne Diana, ed Elice caccionne che di Venere avea sentito il tòsco». 132 Indi al cantar tornavano; indi donne gridavano e mariti che fuor casti come virtute e matrimonio imponne. 135 E questo modo credo che lor basti per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia: con tal cura conviene e con tai pasti 138 che la piaga da sezzo si ricuscia. Letteratura italiana Einaudi 257 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVI Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, ce n’andavamo, e spesso il buon maestro diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»; 3 feriami il sole in su l’omero destro, che già, raggiando, tutto l’occidente mutava in bianco aspetto di cilestro; 6 e io facea con l’ombra più rovente parer la fiamma; e pur a tanto indizio vidi molt’ombre, andando, poner mente. 9 Questa fu la cagion che diede inizio loro a parlar di me; e cominciarsi a dir: «Colui non par corpo fittizio»; 12 poi verso me, quanto potean farsi, certi si fero, sempre con riguardo di non uscir dove non fosser arsi. 15 «O tu che vai, non per esser più tardo, ma forse reverente, a li altri dopo, rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo. 18 Né solo a me la tua risposta è uopo; ché tutti questi n’hanno maggior sete che d’acqua fredda Indo o Etiopo. 21 Dinne com’è che fai di te parete al sol, pur come tu non fossi ancora di morte intrato dentro da la rete». 24 Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora già manifesto, s’io non fossi atteso ad altra novità ch’apparve allora; 27 ché per lo mezzo del cammino acceso venne gente col viso incontro a questa, la qual mi fece a rimirar sospeso. 30 Lì veggio d’ogne parte farsi presta ciascun’ombra e basciarsi una con una sanza restar, contente a brieve festa; 33 Letteratura italiana Einaudi 258 Dante Alighieri - Commedia così per entro loro schiera bruna s’ammusa l’una con l’altra formica, forse a spiar lor via e lor fortuna. 36 Tosto che parton l’accoglienza amica, prima che ’l primo passo lì trascorra, sopragridar ciascuna s’affatica: 39 la nova gente: «Soddoma e Gomorra»; e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife, perché ’l torello a sua lussuria corra». 42 Poi, come grue ch’a le montagne Rife volasser parte, e parte inver’ l’arene, queste del gel, quelle del sole schife, 45 l’una gente sen va, l’altra sen vene; e tornan, lagrimando, a’ primi canti e al gridar che più lor si convene; 48 e raccostansi a me, come davanti, essi medesmi che m’avean pregato, attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti. 51 Io, che due volte avea visto lor grato, incominciai: «O anime sicure d’aver, quando che sia, di pace stato, 54 non son rimase acerbe né mature le membra mie di là, ma son qui meco col sangue suo e con le sue giunture. 57 Quinci sù vo per non esser più cieco; donna è di sopra che m’acquista grazia, per che ’l mortal per vostro mondo reco. 60 Ma se la vostra maggior voglia sazia tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi ch’è pien d’amore e più ampio si spazia, 63 ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, chi siete voi, e chi è quella turba che se ne va di retro a’ vostri terghi». 66 Non altrimenti stupido si turba lo montanaro, e rimirando ammuta, quando rozzo e salvatico s’inurba, 69 Letteratura italiana Einaudi 259 Dante Alighieri - Commedia che ciascun’ombra fece in sua paruta; ma poi che furon di stupore scarche, lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, 72 «Beato te, che de le nostre marche», ricominciò colei che pria m’inchiese, «per morir meglio, esperienza imbarche! 75 La gente che non vien con noi, offese di ciò per che già Cesar, triunfando, “Regina” contra sé chiamar s’intese: 78 però si parton “Soddoma” gridando, rimproverando a sé, com’hai udito, e aiutan l’arsura vergognando. 81 Nostro peccato fu ermafrodito; ma perché non servammo umana legge, seguendo come bestie l’appetito, 84 in obbrobrio di noi, per noi si legge, quando partinci, il nome di colei che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge. 87 Or sai nostri atti e di che fummo rei: se forse a nome vuo’ saper chi semo, tempo non è di dire, e non saprei. 90 Farotti ben di me volere scemo: son Guido Guinizzelli; e già mi purgo per ben dolermi prima ch’a lo stremo». 93 Quali ne la tristizia di Ligurgo si fer due figli a riveder la madre, tal mi fec’io, ma non a tanto insurgo, 96 quand’io odo nomar sé stesso il padre mio e de li altri miei miglior che mai rime d’amore usar dolci e leggiadre; 99 e sanza udire e dir pensoso andai lunga fiata rimirando lui, né, per lo foco, in là più m’appressai. 102 Poi che di riguardar pasciuto fui, tutto m’offersi pronto al suo servigio con l’affermar che fa credere altrui. 105 Letteratura italiana Einaudi 260 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio, per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, che Leté nol può tòrre né far bigio. 108 Ma se le tue parole or ver giuraro, dimmi che è cagion per che dimostri nel dire e nel guardar d’avermi caro». 111 E io a lui: «Li dolci detti vostri, che, quanto durerà l’uso moderno, faranno cari ancora i loro incostri». 114 «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno col dito», e additò un spirto innanzi, «fu miglior fabbro del parlar materno. 117 Versi d’amore e prose di romanzi soverchiò tutti; e lascia dir li stolti che quel di Lemosì credon ch’avanzi. 120 A voce più ch’al ver drizzan li volti, e così ferman sua oppinione prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. 123 Così fer molti antichi di Guittone, di grido in grido pur lui dando pregio, fin che l’ha vinto il ver con più persone. 126 Or se tu hai sì ampio privilegio, che licito ti sia l’andare al chiostro nel quale è Cristo abate del collegio, 129 falli per me un dir d’un paternostro, quanto bisogna a noi di questo mondo, dove poter peccar non è più nostro». 132 Poi, forse per dar luogo altrui secondo che presso avea, disparve per lo foco, come per l’acqua il pesce andando al fondo. 135 Io mi fei al mostrato innanzi un poco, e dissi ch’al suo nome il mio disire apparecchiava grazioso loco. 138 El cominciò liberamente a dire: « Tan m’abellis vostre cortes deman, qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. 141 Letteratura italiana Einaudi 261 Dante Alighieri - Commedia Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; consiros vei la passada folor, e vei jausen lo joi qu’esper, denan. 144 Ara vos prec, per aquella valor que vos guida al som de l’escalina, sovenha vos a temps de ma dolor! ». 147 Poi s’ascose nel foco che li affina. Letteratura italiana Einaudi 262 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVII Sì come quando i primi raggi vibra là dove il suo fattor lo sangue sparse, cadendo Ibero sotto l’alta Libra, 3 e l’onde in Gange da nona riarse, sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva, come l’angel di Dio lieto ci apparse. 6 Fuor de la fiamma stava in su la riva, e cantava ‘ Beati mundo corde! ’. in voce assai più che la nostra viva. 9 Poscia «Più non si va, se pria non morde, anime sante, il foco: intrate in esso, e al cantar di là non siate sorde», 12 ci disse come noi li fummo presso; per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi, qual è colui che ne la fossa è messo. 15 In su le man commesse mi protesi, guardando il foco e imaginando forte umani corpi già veduti accesi. 18 Volsersi verso me le buone scorte; e Virgilio mi disse: «Figliuol mio, qui può esser tormento, ma non morte. 21 Ricorditi, ricorditi! E se io sovresso Gerion ti guidai salvo, che farò ora presso più a Dio? 24 Credi per certo che se dentro a l’alvo di questa fiamma stessi ben mille anni, non ti potrebbe far d’un capel calvo. 27 E se tu forse credi ch’io t’inganni, fatti ver lei, e fatti far credenza con le tue mani al lembo d’i tuoi panni. 30 Pon giù omai, pon giù ogni temenza; volgiti in qua e vieni: entra sicuro!». E io pur fermo e contra coscienza. 33 Letteratura italiana Einaudi 263 Dante Alighieri - Commedia Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse: «Or vedi, figlio: tra Beatrice e te è questo muro». 36 Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che ’l gelso diventò vermiglio; 39 così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla. 42 Ond’ei crollò la fronte e disse: «Come! volenci star di qua?»; indi sorrise come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. 45 Poi dentro al foco innanzi mi si mise, pregando Stazio che venisse retro, che pria per lunga strada ci divise. 48 Sì com’fui dentro, in un bogliente vetro gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant’era ivi lo ’ncendio sanza metro. 51 Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava, dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi». 54 Guidavaci una voce che cantava di là; e noi, attenti pur a lei, venimmo fuor là ove si montava. 57 ‘ Venite, benedicti Patris mei’, sonò dentro a un lume che lì era, tal che mi vinse e guardar nol potei. 60 «Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera; non v’arrestate, ma studiate il passo, mentre che l’occidente non si annera». 63 Dritta salia la via per entro ’l sasso verso tal parte ch’io toglieva i raggi dinanzi a me del sol ch’era già basso. 66 E di pochi scaglion levammo i saggi, che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense, sentimmo dietro e io e li miei saggi. 72 Letteratura italiana Einaudi 264 Dante Alighieri - Commedia E pria che ’n tutte le sue parti immense fosse orizzonte fatto d’uno aspetto, e notte avesse tutte sue dispense, 75 ciascun di noi d’un grado fece letto; ché la natura del monte ci affranse la possa del salir più e ’l diletto. 78 Quali si stanno ruminando manse le capre, state rapide e proterve sovra le cime avante che sien pranse, 81 tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve, guardate dal pastor, che ’n su la verga poggiato s’è e lor di posa serve; 84 e quale il mandrian che fori alberga, lungo il pecuglio suo queto pernotta, guardando perché fiera non lo sperga; 87 tali eravamo tutti e tre allotta, io come capra, ed ei come pastori, fasciati quinci e quindi d’alta grotta. 90 Poco parer potea lì del di fori; ma, per quel poco, vedea io le stelle di lor solere e più chiare e maggiori. 93 Sì ruminando e sì mirando in quelle, mi prese il sonno; il sonno che sovente, anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. 96 Ne l’ora, credo, che de l’oriente, prima raggiò nel monte Citerea, che di foco d’amor par sempre ardente, 99 giovane e bella in sogno mi parea donna vedere andar per una landa cogliendo fiori; e cantando dicea: 102 «Sappia qualunque il mio nome dimanda ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno le belle mani a farmi una ghirlanda. 105 Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno; ma mia suora Rachel mai non si smaga dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 108 Letteratura italiana Einaudi 265 Dante Alighieri - Commedia Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga com’io de l’addornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l’ovrare appaga». 111 E già per li splendori antelucani, che tanto a’ pellegrin surgon più grati, quanto, tornando, albergan men lontani, 114 le tenebre fuggian da tutti lati, e ’l sonno mio con esse; ond’io leva’mi, veggendo i gran maestri già levati. 117 «Quel dolce pome che per tanti rami cercando va la cura de’ mortali, oggi porrà in pace le tue fami». 120 Virgilio inverso me queste cotali parole usò; e mai non furo strenne che fosser di piacere a queste iguali. 123 Tanto voler sopra voler mi venne de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi al volo mi sentia crescer le penne. 126 Come la scala tutta sotto noi fu corsa e fummo in su ’l grado superno, in me ficcò Virgilio li occhi suoi, 129 e disse: «Il temporal foco e l’etterno veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte dov’io per me più oltre non discerno. 132 Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; lo tuo piacere omai prendi per duce; fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. 135 Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce; vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli che qui la terra sol da sé produce. 138 Mentre che vegnan lieti li occhi belli che, lagrimando, a te venir mi fenno, seder ti puoi e puoi andar tra elli. 141 Non aspettar mio dir più né mio cenno; libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fora non fare a suo senno: 144 per ch’io te sovra te corono e mitrio». Letteratura italiana Einaudi 266 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVIII Vago già di cercar dentro e dintorno la divina foresta spessa e viva, ch’a li occhi temperava il novo giorno, 3 sanza più aspettar, lasciai la riva, prendendo la campagna lento lento su per lo suol che d’ogne parte auliva. 6 Un’aura dolce, sanza mutamento avere in sé, mi feria per la fronte non di più colpo che soave vento; 9 per cui le fronde, tremolando, pronte tutte quante piegavano a la parte u’ la prim’ombra gitta il santo monte; 12 non però dal loro esser dritto sparte tanto, che li augelletti per le cime lasciasser d’operare ogne lor arte; 15 ma con piena letizia l’ore prime, cantando, ricevieno intra le foglie, che tenevan bordone a le sue rime, 18 tal qual di ramo in ramo si raccoglie per la pineta in su ’l lito di Chiassi, quand’Eolo scilocco fuor discioglie. 21 Già m’avean trasportato i lenti passi dentro a la selva antica tanto, ch’io non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi; 24 ed ecco più andar mi tolse un rio, che ’nver’ sinistra con sue picciole onde piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. 27 Tutte l’acque che son di qua più monde, parrieno avere in sé mistura alcuna, verso di quella, che nulla nasconde, 30 avvegna che si mova bruna bruna sotto l’ombra perpetua, che mai raggiar non lascia sole ivi né luna. 33 Letteratura italiana Einaudi 267 Dante Alighieri - Commedia Coi piè ristretti e con li occhi passai di là dal fiumicello, per mirare la gran variazion d’i freschi mai; 36 e là m’apparve, sì com’elli appare subitamente cosa che disvia per maraviglia tutto altro pensare, 39 una donna soletta che si gia e cantando e scegliendo fior da fiore ond’era pinta tutta la sua via. 42 «Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti che soglion esser testimon del core, 45 vegnati in voglia di trarreti avanti», diss’io a lei, «verso questa rivera, tanto ch’io possa intender che tu canti. 48 Tu mi fai rimembrar dove e qual era Proserpina nel tempo che perdette la madre lei, ed ella primavera». 51 Come si volge, con le piante strette a terra e intra sé, donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, 54 volsesi in su i vermigli e in su i gialli fioretti verso me, non altrimenti che vergine che li occhi onesti avvalli; 57 e fece i prieghi miei esser contenti, sì appressando sé, che ’l dolce suono veniva a me co’ suoi intendimenti. 60 Tosto che fu là dove l’erbe sono bagnate già da l’onde del bel fiume, di levar li occhi suoi mi fece dono. 63 Non credo che splendesse tanto lume sotto le ciglia a Venere, trafitta dal figlio fuor di tutto suo costume. 66 Ella ridea da l’altra riva dritta, trattando più color con le sue mani, che l’alta terra sanza seme gitta. 69 Letteratura italiana Einaudi 268 Dante Alighieri - Commedia Tre passi ci facea il fiume lontani; ma Elesponto, là ’ve passò Serse, ancora freno a tutti orgogli umani, 72 più odio da Leandro non sofferse per mareggiare intra Sesto e Abido, che quel da me perch’allor non s’aperse. 75 «Voi siete nuovi, e forse perch’io rido», cominciò ella, «in questo luogo eletto a l’umana natura per suo nido, 78 maravigliando tienvi alcun sospetto; ma luce rende il salmo Delectasti, che puote disnebbiar vostro intelletto. 81 E tu che se’ dinanzi e mi pregasti, dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta ad ogne tua question tanto che basti». 84 «L’acqua», diss’io, «e ’l suon de la foresta impugnan dentro a me novella fede di cosa ch’io udi’ contraria a questa». 87 Ond’ella: «Io dicerò come procede per sua cagion ciò ch’ammirar ti face, e purgherò la nebbia che ti fiede. 90 Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, fé l’uom buono e a bene, e questo loco diede per arr’a lui d’etterna pace. 93 Per sua difalta qui dimorò poco; per sua difalta in pianto e in affanno cambiò onesto riso e dolce gioco. 96 Perché ’l turbar che sotto da sé fanno l’essalazion de l’acqua e de la terra, che quanto posson dietro al calor vanno, 99 a l’uomo non facesse alcuna guerra, questo monte salìo verso ’l ciel tanto, e libero n’è d’indi ove si serra. 102 Or perché in circuito tutto quanto l’aere si volge con la prima volta, se non li è rotto il cerchio d’alcun canto, 105 Letteratura italiana Einaudi 269 Dante Alighieri - Commedia in questa altezza ch’è tutta disciolta ne l’aere vivo, tal moto percuote, e fa sonar la selva perch’è folta; 108 e la percossa pianta tanto puote, che de la sua virtute l’aura impregna, e quella poi, girando, intorno scuote; 111 e l’altra terra, secondo ch’è degna per sé e per suo ciel, concepe e figlia di diverse virtù diverse legna. 114 Non parrebbe di là poi maraviglia, udito questo, quando alcuna pianta sanza seme palese vi s’appiglia. 117 E saper dei che la campagna santa dove tu se’, d’ogne semenza è piena, e frutto ha in sé che di là non si schianta. 120 L’acqua che vedi non surge di vena che ristori vapor che gel converta, come fiume ch’acquista e perde lena; 123 ma esce di fontana salda e certa, che tanto dal voler di Dio riprende, quant’ella versa da due parti aperta. 126 Da questa parte con virtù discende che toglie altrui memoria del peccato; da l’altra d’ogne ben fatto la rende. 129 Quinci Letè; così da l’altro lato Eunoè si chiama, e non adopra se quinci e quindi pria non è gustato: 132 a tutti altri sapori esto è di sopra. E avvegna ch’assai possa esser sazia la sete tua perch’io più non ti scuopra, 135 darotti un corollario ancor per grazia; né credo che ’l mio dir ti sia men caro, se oltre promession teco si spazia. 138 Quelli ch’anticamente poetaro l’età de l’oro e suo stato felice, forse in Parnaso esto loco sognaro. 141 Letteratura italiana Einaudi 270 Dante Alighieri - Commedia Qui fu innocente l’umana radice; qui primavera sempre e ogne frutto; nettare è questo di che ciascun dice». 144 Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto a’ miei poeti, e vidi che con riso udito avean l’ultimo costrutto; 147 poi a la bella donna torna’ il viso. Letteratura italiana Einaudi 271 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIX Cantando come donna innamorata, continuò col fin di sue parole: ‘ Beati quorum tecta sunt peccata! ’. 3 E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disiando qual di veder, qual di fuggir lo sole, 6 allor si mosse contra ’l fiume, andando su per la riva; e io pari di lei, picciol passo con picciol seguitando. 9 Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei, quando le ripe igualmente dier volta, per modo ch’a levante mi rendei. 12 Né ancor fu così nostra via molta, quando la donna tutta a me si torse, dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». 15 Ed ecco un lustro sùbito trascorse da tutte parti per la gran foresta, tal che di balenar mi mise in forse. 18 Ma perché ’l balenar, come vien, resta, e quel, durando, più e più splendeva, nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’. 21 E una melodia dolce correva per l’aere luminoso; onde buon zelo mi fé riprender l’ardimento d’Eva, 24 che là dove ubidia la terra e ’l cielo, femmina, sola e pur testé formata, non sofferse di star sotto alcun velo; 27 sotto ’l qual se divota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima e più lunga fiata. 30 Mentr’io m’andava tra tante primizie de l’etterno piacer tutto sospeso, e disioso ancora a più letizie, 33 Letteratura italiana Einaudi 272 Dante Alighieri - Commedia dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, ci si fé l’aere sotto i verdi rami; e ’l dolce suon per canti era già inteso. 36 O sacrosante Vergini, se fami, freddi o vigilie mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami. 39 Or convien che Elicona per me versi, e Uranìe m’aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. 42 Poco più oltre, sette alberi d’oro falsava nel parere il lungo tratto del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; 45 ma quand’i’ fui sì presso di lor fatto, che l’obietto comun, che ’l senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, 48 la virtù ch’a ragion discorso ammanna, sì com’elli eran candelabri apprese, e ne le voci del cantare ‘ Osanna’. 51 Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. 54 Io mi rivolsi d’ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispuose con vista carca di stupor non meno. 57 Indi rendei l’aspetto a l’alte cose che si movieno incontr’a noi sì tardi, che foran vinte da novelle spose. 60 La donna mi sgridò: «Perché pur ardi sì ne l’affetto de le vive luci, e ciò che vien di retro a lor non guardi?». 63 Genti vid’io allor, come a lor duci, venire appresso, vestite di bianco; e tal candor di qua già mai non fuci. 66 L’acqua imprendea dal sinistro fianco, e rendea me la mia sinistra costa, s’io riguardava in lei, come specchio anco. 69 Letteratura italiana Einaudi 273 Dante Alighieri - Commedia Quand’io da la mia riva ebbi tal posta, che solo il fiume mi facea distante, per veder meglio ai passi diedi sosta, 72 e vidi le fiammelle andar davante, lasciando dietro a sé l’aere dipinto, e di tratti pennelli avean sembiante; 75 sì che lì sopra rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto. 78 Questi ostendali in dietro eran maggiori che la mia vista; e, quanto a mio avviso, diece passi distavan quei di fori. 81 Sotto così bel ciel com’io diviso, ventiquattro seniori, a due a due, coronati venien di fiordaliso. 84 Tutti cantavan: « Benedicta tue ne le figlie d’Adamo, e benedette sieno in etterno le bellezze tue!». 87 Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette a rimpetto di me da l’altra sponda libere fuor da quelle genti elette, 90 sì come luce luce in ciel seconda, vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda. 93 Ognuno era pennuto di sei ali; le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, se fosser vivi, sarebber cotali. 96 A descriver lor forme più non spargo rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, tanto ch’a questa non posso esser largo; 99 ma leggi Ezechiel, che li dipigne come li vide da la fredda parte venir con vento e con nube e con igne; 102 e quali i troverai ne le sue carte, tali eran quivi, salvo ch’a le penne Giovanni è meco e da lui si diparte. 105 Letteratura italiana Einaudi 274 Dante Alighieri - Commedia Lo spazio dentro a lor quattro contenne un carro, in su due rote, triunfale, ch’al collo d’un grifon tirato venne. 108 Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale tra la mezzana e le tre e tre liste, sì ch’a nulla, fendendo, facea male. 111 Tanto salivan che non eran viste; le membra d’oro avea quant’era uccello, e bianche l’altre, di vermiglio miste. 114 Non che Roma di carro così bello rallegrasse Affricano, o vero Augusto, ma quel del Sol saria pover con ello; 117 quel del Sol che, sviando, fu combusto per l’orazion de la Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto. 120 Tre donne in giro da la destra rota venian danzando; l’una tanto rossa ch’a pena fora dentro al foco nota; 123 l’altr’era come se le carni e l’ossa fossero state di smeraldo fatte; la terza parea neve testé mossa; 126 e or parean da la bianca tratte, or da la rossa; e dal canto di questa l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. 129 Da la sinistra quattro facean festa, in porpore vestite, dietro al modo d’una di lor ch’avea tre occhi in testa. 132 Appresso tutto il pertrattato nodo vidi due vecchi in abito dispari, ma pari in atto e onesto e sodo. 135 L’un si mostrava alcun de’ famigliari di quel sommo Ipocràte che natura a li animali fé ch’ell’ha più cari; 138 mostrava l’altro la contraria cura con una spada lucida e aguta, tal che di qua dal rio mi fé paura. 141 Letteratura italiana Einaudi 275 Dante Alighieri - Commedia Poi vidi quattro in umile paruta; e di retro da tutti un vecchio solo venir, dormendo, con la faccia arguta. 144 E questi sette col primaio stuolo erano abituati, ma di gigli dintorno al capo non facean brolo, 147 anzi di rose e d’altri fior vermigli; giurato avria poco lontano aspetto che tutti ardesser di sopra da’ cigli. 150 E quando il carro a me fu a rimpetto, un tuon s’udì, e quelle genti degne parvero aver l’andar più interdetto, 153 fermandosi ivi con le prime insegne. Letteratura italiana Einaudi 276 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXX Quando il settentrion del primo cielo, che né occaso mai seppe né orto né d’altra nebbia che di colpa velo, 3 e che faceva lì ciascun accorto di suo dover, come ’l più basso face qual temon gira per venire a porto, 6 fermo s’affisse: la gente verace, venuta prima tra ’l grifone ed esso, al carro volse sé come a sua pace; 9 e un di loro, quasi da ciel messo, ‘ Veni, sponsa, de Libano’ cantando gridò tre volte, e tutti li altri appresso. 12 Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando, 15 cotali in su la divina basterna si levar cento, ad vocem tanti senis, ministri e messaggier di vita etterna. 18 Tutti dicean: ‘ Benedictus qui venis! ’, e fior gittando e di sopra e dintorno, ‘ Manibus, oh, date lilia plenis! ’. 21 Io vidi già nel cominciar del giorno la parte oriental tutta rosata, e l’altro ciel di bel sereno addorno; 24 e la faccia del sol nascere ombrata, sì che per temperanza di vapori l’occhio la sostenea lunga fiata: 27 così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fori, 30 sovra candido vel cinta d’uliva donna m’apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva. 33 Letteratura italiana Einaudi 277 Dante Alighieri - Commedia E lo spirito mio, che già cotanto tempo era stato ch’a la sua presenza non era di stupor, tremando, affranto, 36 sanza de li occhi aver più conoscenza, per occulta virtù che da lei mosse, d’antico amor sentì la gran potenza. 39 Tosto che ne la vista mi percosse l’alta virtù che già m’avea trafitto prima ch’io fuor di puerizia fosse, 42 volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto, 45 per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma di sangue m’è rimaso che non tremi: conosco i segni de l’antica fiamma’. 48 Ma Virgilio n’avea lasciati scemi di sé, Virgilio dolcissimo patre, Virgilio a cui per mia salute die’mi; 51 né quantunque perdeo l’antica matre, valse a le guance nette di rugiada, che, lagrimando, non tornasser atre. 54 «Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non pianger ancora; ché pianger ti conven per altra spada». 57 Quasi ammiraglio che in poppa e in prora viene a veder la gente che ministra per li altri legni, e a ben far l’incora; 60 in su la sponda del carro sinistra, quando mi volsi al suon del nome mio, che di necessità qui si registra, 63 vidi la donna che pria m’appario velata sotto l’angelica festa, drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. 66 Tutto che ’l vel che le scendea di testa, cerchiato de le fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta, 69 Letteratura italiana Einaudi 278 Dante Alighieri - Commedia regalmente ne l’atto ancor proterva continuò come colui che dice e ’l più caldo parlar dietro reserva: 72 «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. Come degnasti d’accedere al monte? non sapei tu che qui è l’uom felice?». 75 Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba, tanta vergogna mi gravò la fronte. 78 Così la madre al figlio par superba, com’ella parve a me; perché d’amaro sente il sapor de la pietade acerba. 81 Ella si tacque; e li angeli cantaro di subito ‘ In te, Domine, speravi’; ma oltre ‘ pedes meos’ non passaro. 84 Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d’Italia si congela, soffiata e stretta da li venti schiavi, 87 poi, liquefatta, in sé stessa trapela, pur che la terra che perde ombra spiri, sì che par foco fonder la candela; 90 così fui sanza lagrime e sospiri anzi ’l cantar di quei che notan sempre dietro a le note de li etterni giri; 93 ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre lor compatire a me, par che se detto avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’, 96 lo gel che m’era intorno al cor ristretto, spirito e acqua fessi, e con angoscia de la bocca e de li occhi uscì del petto. 99 Ella, pur ferma in su la detta coscia del carro stando, a le sustanze pie volse le sue parole così poscia: 102 «Voi vigilate ne l’etterno die, sì che notte né sonno a voi non fura passo che faccia il secol per sue vie; 105 Letteratura italiana Einaudi 279 Dante Alighieri - Commedia onde la mia risposta è con più cura che m’intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d’una misura. 108 Non pur per ovra de le rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine secondo che le stelle son compagne, 111 ma per larghezza di grazie divine, che sì alti vapori hanno a lor piova, che nostre viste là non van vicine, 114 questi fu tal ne la sua vita nova virtualmente, ch’ogne abito destro fatto averebbe in lui mirabil prova. 117 Ma tanto più maligno e più silvestro si fa ’l terren col mal seme e non cólto, quant’elli ha più di buon vigor terrestro. 120 Alcun tempo il sostenni col mio volto: mostrando li occhi giovanetti a lui, meco il menava in dritta parte vòlto. 123 Sì tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita, questi si tolse a me, e diessi altrui. 126 Quando di carne a spirto era salita e bellezza e virtù cresciuta m’era, fu’ io a lui men cara e men gradita; 129 e volse i passi suoi per via non vera, imagini di ben seguendo false, che nulla promession rendono intera. 132 Né l’impetrare ispirazion mi valse, con le quali e in sogno e altrimenti lo rivocai; sì poco a lui ne calse! 135 Tanto giù cadde, che tutti argomenti a la salute sua eran già corti, fuor che mostrarli le perdute genti. 138 Per questo visitai l’uscio d’i morti e a colui che l’ha qua sù condotto, li prieghi miei, piangendo, furon porti. 141 Letteratura italiana Einaudi 280 Dante Alighieri - Commedia Alto fato di Dio sarebbe rotto, se Leté si passasse e tal vivanda fosse gustata sanza alcuno scotto 144 di pentimento che lagrime spanda». Letteratura italiana Einaudi 281 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXI «O tu che se’ di là dal fiume sacro», volgendo suo parlare a me per punta, che pur per taglio m’era paruto acro, 3 ricominciò, seguendo sanza cunta, «dì, dì se questo è vero: a tanta accusa tua confession conviene esser congiunta». 6 Era la mia virtù tanto confusa, che la voce si mosse, e pria si spense che da li organi suoi fosse dischiusa. 9 Poco sofferse; poi disse: «Che pense? Rispondi a me; ché le memorie triste in te non sono ancor da l’acqua offense». 12 Confusione e paura insieme miste mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca, al quale intender fuor mestier le viste. 15 Come balestro frange, quando scocca da troppa tesa la sua corda e l’arco, e con men foga l’asta il segno tocca, 18 sì scoppia’ io sottesso grave carco, fuori sgorgando lagrime e sospiri, e la voce allentò per lo suo varco. 21 Ond’ella a me: «Per entro i mie’ disiri, che ti menavano ad amar lo bene di là dal qual non è a che s’aspiri, 24 quai fossi attraversati o quai catene trovasti, per che del passare innanzi dovessiti così spogliar la spene? 27 E quali agevolezze o quali avanzi ne la fronte de li altri si mostraro, per che dovessi lor passeggiare anzi?». 30 Dopo la tratta d’un sospiro amaro, a pena ebbi la voce che rispuose, e le labbra a fatica la formaro. 33 Letteratura italiana Einaudi 282 Dante Alighieri - Commedia Piangendo dissi: «Le presenti cose col falso lor piacer volser miei passi, tosto che ’l vostro viso si nascose». 36 Ed ella: «Se tacessi o se negassi ciò che confessi, non fora men nota la colpa tua: da tal giudice sassi! 39 Ma quando scoppia de la propria gota l’accusa del peccato, in nostra corte rivolge sé contra ’l taglio la rota. 42 Tuttavia, perché mo vergogna porte del tuo errore, e perché altra volta, udendo le serene, sie più forte, 45 pon giù il seme del piangere e ascolta: sì udirai come in contraria parte mover dovieti mia carne sepolta. 48 Mai non t’appresentò natura o arte piacer, quanto le belle membra in ch’io rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte; 51 e se ’l sommo piacer sì ti fallio per la mia morte, qual cosa mortale dovea poi trarre te nel suo disio? 54 Ben ti dovevi, per lo primo strale de le cose fallaci, levar suso di retro a me che non era più tale. 57 Non ti dovea gravar le penne in giuso, ad aspettar più colpo, o pargoletta o altra vanità con sì breve uso. 60 Novo augelletto due o tre aspetta; ma dinanzi da li occhi d’i pennuti rete si spiega indarno o si saetta». 63 Quali fanciulli, vergognando, muti con li occhi a terra stannosi, ascoltando e sé riconoscendo e ripentuti, 66 tal mi stav’io; ed ella disse: «Quando per udir se’ dolente, alza la barba, e prenderai più doglia riguardando». 69 Letteratura italiana Einaudi 283 Dante Alighieri - Commedia Con men di resistenza si dibarba robusto cerro, o vero al nostral vento o vero a quel de la terra di Iarba, 72 ch’io non levai al suo comando il mento; e quando per la barba il viso chiese, ben conobbi il velen de l’argomento. 75 E come la mia faccia si distese, posarsi quelle prime creature da loro aspersion l’occhio comprese; 78 e le mie luci, ancor poco sicure, vider Beatrice volta in su la fiera ch’è sola una persona in due nature. 81 Sotto ’l suo velo e oltre la rivera vincer pariemi più sé stessa antica, vincer che l’altre qui, quand’ella c’era. 84 Di penter sì mi punse ivi l’ortica che di tutte altre cose qual mi torse più nel suo amor, più mi si fé nemica. 87 Tanta riconoscenza il cor mi morse, ch’io caddi vinto; e quale allora femmi, salsi colei che la cagion mi porse. 90 Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, la donna ch’io avea trovata sola sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!». 93 Tratto m’avea nel fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva sovresso l’acqua lieve come scola. 96 Quando fui presso a la beata riva, ‘ Asperges me’ sì dolcemente udissi, che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva. 99 La bella donna ne le braccia aprissi; abbracciommi la testa e mi sommerse ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi. 102 Indi mi tolse, e bagnato m’offerse dentro a la danza de le quattro belle; e ciascuna del braccio mi coperse. 105 Letteratura italiana Einaudi 284 Dante Alighieri - Commedia «Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle: pria che Beatrice discendesse al mondo, fummo ordinate a lei per sue ancelle. 108 Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi le tre di là, che miran più profondo». 111 Così cantando cominciaro; e poi al petto del grifon seco menarmi, ove Beatrice stava volta a noi. 114 Disser: «Fa che le viste non risparmi; posto t’avem dinanzi a li smeraldi ond’Amor già ti trasse le sue armi». 117 Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, che pur sopra ’l grifone stavan saldi. 120 Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava, or con altri, or con altri reggimenti. 123 Pensa, lettor, s’io mi maravigliava, quando vedea la cosa in sé star queta, e ne l’idolo suo si trasmutava. 126 Mentre che piena di stupore e lieta l’anima mia gustava di quel cibo che, saziando di sé, di sé asseta, 129 sé dimostrando di più alto tribo ne li atti, l’altre tre si fero avanti, danzando al loro angelico caribo. 132 «Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi», era la sua canzone, «al tuo fedele che, per vederti, ha mossi passi tanti! 135 Per grazia fa noi grazia che disvele a lui la bocca tua, sì che discerna la seconda bellezza che tu cele». 138 O isplendor di viva luce etterna, chi palido si fece sotto l’ombra sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, 141 Letteratura italiana Einaudi 285 Dante Alighieri - Commedia che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te qual tu paresti là dove armonizzando il ciel t’adombra, 144 quando ne l’aere aperto ti solvesti? Letteratura italiana Einaudi 286 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXII Tant’eran li occhi miei fissi e attenti a disbramarsi la decenne sete, che li altri sensi m’eran tutti spenti. 3 Ed essi quinci e quindi avien parete di non caler – così lo santo riso a sé traéli con l’antica rete! –; 6 quando per forza mi fu vòlto il viso ver’ la sinistra mia da quelle dee, perch’io udi’ da loro un «Troppo fiso!»; 9 e la disposizion ch’a veder èe ne li occhi pur testé dal sol percossi, sanza la vista alquanto esser mi fée. 12 Ma poi ch’al poco il viso riformossi (e dico ‘al poco’ per rispetto al molto sensibile onde a forza mi rimossi), 15 vidi ’n sul braccio destro esser rivolto lo glorioso essercito, e tornarsi col sole e con le sette fiamme al volto. 18 Come sotto li scudi per salvarsi volgesi schiera, e sé gira col segno, prima che possa tutta in sé mutarsi; 21 quella milizia del celeste regno che procedeva, tutta trapassonne pria che piegasse il carro il primo legno. 24 Indi a le rote si tornar le donne, e ’l grifon mosse il benedetto carco sì, che però nulla penna crollonne. 27 La bella donna che mi trasse al varco e Stazio e io seguitavam la rota che fé l’orbita sua con minore arco. 30 Sì passeggiando l’alta selva vòta, colpa di quella ch’al serpente crese, temprava i passi un’angelica nota. 33 Letteratura italiana Einaudi 287 Dante Alighieri - Commedia Forse in tre voli tanto spazio prese disfrenata saetta, quanto eramo rimossi, quando Beatrice scese. 36 Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»; poi cerchiaro una pianta dispogliata di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo. 39 La coma sua, che tanto si dilata più quanto più è sù, fora da l’Indi ne’ boschi lor per altezza ammirata. 42 «Beato se’, grifon, che non discindi col becco d’esto legno dolce al gusto, poscia che mal si torce il ventre quindi». 45 Così dintorno a l’albero robusto gridaron li altri; e l’animal binato: «Sì si conserva il seme d’ogne giusto». 48 E vòlto al temo ch’elli avea tirato, trasselo al piè de la vedova frasca, e quel di lei a lei lasciò legato. 51 Come le nostre piante, quando casca giù la gran luce mischiata con quella che raggia dietro a la celeste lasca, 54 turgide fansi, e poi si rinovella di suo color ciascuna, pria che ’l sole giunga li suoi corsier sotto altra stella; 57 men che di rose e più che di viole colore aprendo, s’innovò la pianta, che prima avea le ramora sì sole. 60 Io non lo ’ntesi, né qui non si canta l’inno che quella gente allor cantaro, né la nota soffersi tutta quanta. 63 S’io potessi ritrar come assonnaro li occhi spietati udendo di Siringa, li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; 66 come pintor che con essempro pinga, disegnerei com’io m’addormentai; ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. 69 Letteratura italiana Einaudi 288 Dante Alighieri - Commedia Però trascorro a quando mi svegliai, e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo del sonno e un chiamar: «Surgi: che fai?». 72 Quali a veder de’ fioretti del melo che del suo pome li angeli fa ghiotti e perpetue nozze fa nel cielo, 75 Pietro e Giovanni e Iacopo condotti e vinti, ritornaro a la parola da la qual furon maggior sonni rotti, 78 e videro scemata loro scuola così di Moisè come d’Elia, e al maestro suo cangiata stola; 81 tal torna’ io, e vidi quella pia sovra me starsi che conducitrice fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria. 84 E tutto in dubbio dissi: «Ov’è Beatrice?». Ond’ella: «Vedi lei sotto la fronda nova sedere in su la sua radice. 87 Vedi la compagnia che la circonda: li altri dopo ’l grifon sen vanno suso con più dolce canzone e più profonda». 90 E se più fu lo suo parlar diffuso, non so, però che già ne li occhi m’era quella ch’ad altro intender m’avea chiuso. 93 Sola sedeasi in su la terra vera, come guardia lasciata lì del plaustro che legar vidi a la biforme fera. 96 In cerchio le facean di sé claustro le sette ninfe, con quei lumi in mano che son sicuri d’Aquilone e d’Austro. 99 «Qui sarai tu poco tempo silvano; e sarai meco sanza fine cive di quella Roma onde Cristo è romano. 102 Però, in pro del mondo che mal vive, al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, ritornato di là, fa che tu scrive». 105 Letteratura italiana Einaudi 289 Dante Alighieri - Commedia Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi d’i suoi comandamenti era divoto, la mente e li occhi ov’ella volle diedi. 108 Non scese mai con sì veloce moto foco di spessa nube, quando piove da quel confine che più va remoto, 111 com’io vidi calar l’uccel di Giove per l’alber giù, rompendo de la scorza, non che d’i fiori e de le foglie nove; 114 e ferì ’l carro di tutta sua forza; ond’el piegò come nave in fortuna, vinta da l’onda, or da poggia, or da orza. 117 Poscia vidi avventarsi ne la cuna del triunfal veiculo una volpe che d’ogne pasto buon parea digiuna; 120 ma, riprendendo lei di laide colpe, la donna mia la volse in tanta futa quanto sofferser l’ossa sanza polpe. 123 Poscia per indi ond’era pria venuta, l’aguglia vidi scender giù ne l’arca del carro e lasciar lei di sé pennuta; 126 e qual esce di cuor che si rammarca, tal voce uscì del cielo e cotal disse: «O navicella mia, com’mal se’ carca!». 129 Poi parve a me che la terra s’aprisse tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago che per lo carro sù la coda fisse; 132 e come vespa che ritragge l’ago, a sé traendo la coda maligna, trasse del fondo, e gissen vago vago. 135 Quel che rimase, come da gramigna vivace terra, da la piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna, 138 si ricoperse, e funne ricoperta e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto che più tiene un sospir la bocca aperta. 141 Letteratura italiana Einaudi 290 Dante Alighieri - Commedia Trasformato così ’l dificio santo mise fuor teste per le parti sue, tre sovra ’l temo e una in ciascun canto. 144 Le prime eran cornute come bue, ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue. 147 Sicura, quasi rocca in alto monte, seder sovresso una puttana sciolta m’apparve con le ciglia intorno pronte; 150 e come perché non li fosse tolta, vidi di costa a lei dritto un gigante; e baciavansi insieme alcuna volta. 153 Ma perché l’occhio cupido e vagante a me rivolse, quel feroce drudo la flagellò dal capo infin le piante; 156 poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, disciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo 159 a la puttana e a la nova belva. Letteratura italiana Einaudi 291 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXIII ‘ Deus, venerunt gentes’, alternando or tre or quattro dolce salmodia, le donne incominciaro, e lagrimando; 3 e Beatrice sospirosa e pia, quelle ascoltava sì fatta, che poco più a la croce si cambiò Maria. 6 Ma poi che l’altre vergini dier loco a lei di dir, levata dritta in pè, rispuose, colorata come foco: 9 ‘ Modicum, et non videbitis me; et iterum, sorelle mie dilette, modicum, et vos videbitis me’. 12 Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo sé, solo accennando, mosse me e la donna e ’l savio che ristette. 15 Così sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto, quando con li occhi li occhi mi percosse; 18 e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», mi disse, «tanto che, s’io parlo teco, ad ascoltarmi tu sie ben disposto». 21 Sì com’io fui, com’io dovea, seco, dissemi: «Frate, perché non t’attenti a domandarmi omai venendo meco?». 24 Come a color che troppo reverenti dinanzi a suo maggior parlando sono, che non traggon la voce viva ai denti. 27 avvenne a me, che sanza intero suono incominciai: «Madonna, mia bisogna voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono». 30 Ed ella a me: «Da tema e da vergogna voglio che tu omai ti disviluppe, sì che non parli più com’om che sogna. 33 Letteratura italiana Einaudi 292 Dante Alighieri - Commedia Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda che vendetta di Dio non teme suppe. 36 Non sarà tutto tempo sanza reda l’aguglia che lasciò le penne al carro, per che divenne mostro e poscia preda; 39 ch’io veggio certamente, e però il narro, a darne tempo già stelle propinque, secure d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro, 42 nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderà la fuia con quel gigante che con lei delinque. 45 E forse che la mia narrazion buia, qual Temi e Sfinge, men ti persuade, perch’a lor modo lo ’ntelletto attuia; 48 ma tosto fier li fatti le Naiade, che solveranno questo enigma forte sanza danno di pecore o di biade. 51 Tu nota; e sì come da me son porte, così queste parole segna a’ vivi del viver ch’è un correre a la morte. 54 E aggi a mente, quando tu le scrivi, di non celar qual hai vista la pianta ch’è or due volte dirubata quivi. 57 Qualunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende a Dio, che solo a l’uso suo la creò santa. 60 Per morder quella, in pena e in disio cinquemilia anni e più l’anima prima bramò colui che ’l morso in sé punio. 63 Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima per singular cagione esser eccelsa lei tanto e sì travolta ne la cima. 66 E se stati non fossero acqua d’Elsa li pensier vani intorno a la tua mente, e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa, 69 Letteratura italiana Einaudi 293 Dante Alighieri - Commedia per tante circostanze solamente la giustizia di Dio, ne l’interdetto, conosceresti a l’arbor moralmente. 72 Ma perch’io veggio te ne lo ’ntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto, sì che t’abbaglia il lume del mio detto, 75 voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che ’l te ne porti dentro a te per quello che si reca il bordon di palma cinto». 78 E io: «Sì come cera da suggello, che la figura impressa non trasmuta, segnato è or da voi lo mio cervello. 81 Ma perché tanto sovra mia veduta vostra parola disiata vola, che più la perde quanto più s’aiuta?». 84 «Perché conoschi», disse, «quella scuola c’hai seguitata, e veggi sua dottrina come può seguitar la mia parola; 87 e veggi vostra via da la divina distar cotanto, quanto si discorda da terra il ciel che più alto festina». 90 Ond’io rispuosi lei: «Non mi ricorda ch’i’ straniasse me già mai da voi, né honne coscienza che rimorda». 93 «E se tu ricordar non te ne puoi», sorridendo rispuose, «or ti rammenta come bevesti di Letè ancoi; 96 e se dal fummo foco s’argomenta, cotesta oblivion chiaro conchiude colpa ne la tua voglia altrove attenta. 99 Veramente oramai saranno nude le mie parole, quanto converrassi quelle scovrire a la tua vista rude». 102 E più corusco e con più lenti passi teneva il sole il cerchio di merigge, che qua e là, come li aspetti, fassi 105 Letteratura italiana Einaudi 294 Dante Alighieri - Commedia quando s’affisser, sì come s’affigge chi va dinanzi a gente per iscorta se trova novitate o sue vestigge, 108 le sette donne al fin d’un’ombra smorta, qual sotto foglie verdi e rami nigri sovra suoi freddi rivi l’Alpe porta. 111 Dinanzi ad esse Eufratès e Tigri veder mi parve uscir d’una fontana, e, quasi amici, dipartirsi pigri. 114 «O luce, o gloria de la gente umana, che acqua è questa che qui si dispiega da un principio e sé da sé lontana?». 117 Per cotal priego detto mi fu: «Priega Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose, come fa chi da colpa si dislega, 120 la bella donna: «Questo e altre cose dette li son per me; e son sicura che l’acqua di Letè non gliel nascose». 123 E Beatrice: «Forse maggior cura, che spesse volte la memoria priva, fatt’ha la mente sua ne li occhi oscura. 126 Ma vedi Eunoè che là diriva: menalo ad esso, e come tu se’ usa, la tramortita sua virtù ravviva». 129 Come anima gentil, che non fa scusa, ma fa sua voglia de la voglia altrui tosto che è per segno fuor dischiusa; 132 così, poi che da essa preso fui, la bella donna mossesi, e a Stazio donnescamente disse: «Vien con lui». 135 S’io avessi, lettor, più lungo spazio da scrivere, i’ pur cantere’ in parte lo dolce ber che mai non m’avrìa sazio; 138 ma perché piene son tutte le carte ordite a questa cantica seconda, non mi lascia più ir lo fren de l’arte. 141 Letteratura italiana Einaudi 295 Dante Alighieri - Commedia Io ritornai da la santissima onda rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda, 144 puro e disposto a salire alle stelle. Letteratura italiana Einaudi 296 Dante Alighieri - Commedia PARADISO CANTO I La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. 3 Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; 6 perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. 9 Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. 12 O buono Appollo, a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l’amato alloro. 15 Infino a qui l’un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. 18 Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsia traesti de la vagina de le membra sue. 21 O divina virtù, se mi ti presti tanto che l’ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, 24 vedra’mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. 27 Sì rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l’umane voglie, 30 Letteratura italiana Einaudi 297 Dante Alighieri - Commedia che parturir letizia in su la lieta delfica deità dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. 33 Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. 36 Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, 39 con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella. 42 Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era là bianco quello emisperio, e l’altra parte nera, 45 quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aquila sì non li s’affisse unquanco. 48 E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, 51 così de l’atto suo, per li occhi infuso ne l’imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. 54 Molto è licito là, che qui non lece a le nostre virtù, mercé del loco fatto per proprio de l’umana spece. 57 Io nol soffersi molto, né sì poco, ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, com’ferro che bogliente esce del foco; 60 e di sùbito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d’un altro sole addorno. 63 Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. 66 Letteratura italiana Einaudi 298 Dante Alighieri - Commedia Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l’erba che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. 69 Trasumanar significar per verba non si poria; però l’essemplo basti a cui esperienza grazia serba. 72 S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ’l ciel governi, tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. 75 Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l’armonia che temperi e discerni, 78 parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. 81 La novità del suono e ’l grande lume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. 84 Ond’ella, che vedea me sì com’io, a quietarmi l’animo commosso, pria ch’io a dimandar, la bocca aprio, 87 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso. 90 Tu non se’ in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito, non corse come tu ch’ad esso riedi». 93 S’io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo più fu’ inretito, 96 e dissi: «Già contento requievi di grande ammirazion; ma ora ammiro com’io trascenda questi corpi levi». 99 Ond’ella, appresso d’un pio sospiro, li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, 102 Letteratura italiana Einaudi 299 Dante Alighieri - Commedia e cominciò: «Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante. 105 Qui veggion l’alte creature l’orma de l’etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma. 108 Ne l’ordine ch’io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; 111 onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l’essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. 114 Questi ne porta il foco inver’ la luna; questi ne’ cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna; 117 né pur le creature che son fore d’intelligenza quest’arco saetta ma quelle c’hanno intelletto e amore. 120 La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa ’l ciel sempre quieto nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; 123 e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda che ciò che scocca drizza in segno lieto. 126 Vero è che, come forma non s’accorda molte fiate a l’intenzion de l’arte, perch’a risponder la materia è sorda, 129 così da questo corso si diparte talor la creatura, c’ha podere di piegar, così pinta, in altra parte; 132 e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo l’atterra torto da falso piacere. 135 Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d’un rivo se d’alto monte scende giuso ad imo. 138 Letteratura italiana Einaudi 300 Dante Alighieri - Commedia Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso, com’a terra quiete in foco vivo». 141 Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. Letteratura italiana Einaudi 301 Dante Alighieri - Commedia CANTO II O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d’ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, 3 tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, ché forse, perdendo me, rimarreste smarriti. 6 L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dimostran l’Orse. 9 Voialtri pochi che drizzaste il collo per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo, 12 metter potete ben per l’alto sale vostro navigio, servando mio solco dinanzi a l’acqua che ritorna equale. 15 Que’ gloriosi che passaro al Colco non s’ammiraron come voi farete, quando Iasón vider fatto bifolco. 18 La concreata e perpetua sete del deiforme regno cen portava veloci quasi come ’l ciel vedete. 21 Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, 24 giunto mi vidi ove mirabil cosa mi torse il viso a sé; e però quella cui non potea mia cura essere ascosa, 27 volta ver’ me, sì lieta come bella, «Drizza la mente in Dio grata», mi disse, «che n’ha congiunti con la prima stella». 30 Parev’a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. 33 Letteratura italiana Einaudi 302 Dante Alighieri - Commedia Per entro sé l’etterna margarita ne ricevette, com’acqua recepe raggio di luce permanendo unita. 36 S’io era corpo, e qui non si concepe com’una dimensione altra patio, ch’esser convien se corpo in corpo repe, 39 accender ne dovrìa più il disio di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s’unio. 42 Lì si vedrà ciò che tenem per fede, non dimostrato, ma fia per sé noto a guisa del ver primo che l’uom crede. 45 Io rispuosi: «Madonna, sì devoto com’esser posso più, ringrazio lui lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. 48 Ma ditemi: che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?». 51 Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra l’oppinion», mi disse, «d’i mortali dove chiave di senso non diserra, 54 certo non ti dovrien punger li strali d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi vedi che la ragione ha corte l’ali. 57 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso credo che fanno i corpi rari e densi». 60 Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolti l’argomentar ch’io li farò avverso. 63 La spera ottava vi dimostra molti lumi, li quali e nel quale e nel quanto notar si posson di diversi volti. 66 Se raro e denso ciò facesser tanto, una sola virtù sarebbe in tutti, più e men distributa e altrettanto. 69 Letteratura italiana Einaudi 303 Dante Alighieri - Commedia Virtù diverse esser convegnon frutti di princìpi formali, e quei, for ch’uno, seguiterìeno a tua ragion distrutti. 72 Ancor, se raro fosse di quel bruno cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte fora di sua materia sì digiuno 75 esto pianeto, o, sì come comparte lo grasso e ’l magro un corpo, così questo nel suo volume cangerebbe carte. 78 Se ’l primo fosse, fora manifesto ne l’eclissi del sol per trasparere lo lume come in altro raro ingesto. 81 Questo non è: però è da vedere de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, falsificato fia lo tuo parere. 84 S’elli è che questo raro non trapassi, esser conviene un termine da onde lo suo contrario più passar non lassi; 87 e indi l’altrui raggio si rifonde così come color torna per vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde. 90 Or dirai tu ch’el si dimostra tetro ivi lo raggio più che in altre parti, per esser lì refratto più a retro. 93 Da questa instanza può deliberarti esperienza, se già mai la provi, ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti. 96 Tre specchi prenderai; e i due rimovi da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. 99 Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso ti stea un lume che i tre specchi accenda e torni a te da tutti ripercosso. 102 Ben che nel quanto tanto non si stenda la vista più lontana, lì vedrai come convien ch’igualmente risplenda. 105 Letteratura italiana Einaudi 304 Dante Alighieri - Commedia Or, come ai colpi de li caldi rai de la neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai, 108 così rimaso te ne l’intelletto voglio informar di luce sì vivace, che ti tremolerà nel suo aspetto. 111 Dentro dal ciel de la divina pace si gira un corpo ne la cui virtute l’esser di tutto suo contento giace. 114 Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, quell’esser parte per diverse essenze, da lui distratte e da lui contenute. 117 Li altri giron per varie differenze le distinzion che dentro da sé hanno dispongono a lor fini e lor semenze. 120 Questi organi del mondo così vanno, come tu vedi omai, di grado in grado, che di sù prendono e di sotto fanno. 123 Riguarda bene omai sì com’io vado per questo loco al vero che disiri, sì che poi sappi sol tener lo guado. 126 Lo moto e la virtù d’i santi giri, come dal fabbro l’arte del martello, da’ beati motor convien che spiri; 129 e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, de la mente profonda che lui volve prende l’image e fassene suggello. 132 E come l’alma dentro a vostra polve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve, 135 così l’intelligenza sua bontate multiplicata per le stelle spiega, girando sé sovra sua unitate. 138 Virtù diversa fa diversa lega col prezioso corpo ch’ella avviva, nel qual, sì come vita in voi, si lega. 141 Letteratura italiana Einaudi 305 Dante Alighieri - Commedia Per la natura lieta onde deriva, la virtù mista per lo corpo luce come letizia per pupilla viva. 144 Da essa vien ciò che da luce a luce par differente, non da denso e raro; essa è formal principio che produce, 147 conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». Letteratura italiana Einaudi 306 Dante Alighieri - Commedia CANTO III Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, di bella verità m’avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto; 3 e io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne leva’ il capo a proferer più erto; 6 ma visione apparve che ritenne a sé me tanto stretto, per vedersi, che di mia confession non mi sovvenne. 9 Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non sì profonde che i fondi sien persi, 12 tornan d’i nostri visi le postille debili sì, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; 15 tali vid’io più facce a parlar pronte; per ch’io dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. 18 Sùbito sì com’io di lor m’accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi; 21 e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 24 «Non ti maravigliar perch’io sorrida», mi disse, «appresso il tuo pueril coto, poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, 27 ma te rivolve, come suole, a vòto: vere sustanze son ciò che tu vedi, qui rilegate per manco di voto. 30 Però parla con esse e odi e credi; ché la verace luce che li appaga da sé non lascia lor torcer li piedi». 33 Letteratura italiana Einaudi 307 Dante Alighieri - Commedia E io a l’ombra che parea più vaga di ragionar, drizza’mi, e cominciai, quasi com’uom cui troppa voglia smaga: 36 «O ben creato spirito, che a’ rai di vita etterna la dolcezza senti che, non gustata, non s’intende mai, 39 grazioso mi fia se mi contenti del nome tuo e de la vostra sorte». Ond’ella, pronta e con occhi ridenti: 42 «La nostra carità non serra porte a giusta voglia, se non come quella che vuol simile a sé tutta sua corte. 45 I’ fui nel mondo vergine sorella; e se la mente tua ben sé riguarda, non mi ti celerà l’esser più bella, 48 ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, che, posta qui con questi altri beati, beata sono in la spera più tarda. 51 Li nostri affetti, che solo infiammati son nel piacer de lo Spirito Santo, letizian del suo ordine formati. 54 E questa sorte che par giù cotanto, però n’è data, perché fuor negletti li nostri voti, e vòti in alcun canto». 57 Ond’io a lei: «Ne’ mirabili aspetti vostri risplende non so che divino che vi trasmuta da’ primi concetti: 60 però non fui a rimembrar festino; ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, sì che raffigurar m’è più latino. 63 Ma dimmi: voi che siete qui felici, disiderate voi più alto loco per più vedere e per più farvi amici?». 66 Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco; da indi mi rispuose tanto lieta, ch’arder parea d’amor nel primo foco: 69 Letteratura italiana Einaudi 308 Dante Alighieri - Commedia «Frate, la nostra volontà quieta virtù di carità, che fa volerne sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. 72 Se disiassimo esser più superne, foran discordi li nostri disiri dal voler di colui che qui ne cerne; 75 che vedrai non capere in questi giri, s’essere in carità è qui necesse, e se la sua natura ben rimiri. 78 Anzi è formale ad esto beato esse tenersi dentro a la divina voglia, per ch’una fansi nostre voglie stesse; 81 sì che, come noi sem di soglia in soglia per questo regno, a tutto il regno piace com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. 84 E ’n la sua volontade è nostra pace: ell’è quel mare al qual tutto si move ciò ch’ella cria o che natura face». 87 Chiaro mi fu allor come ogne dove in cielo è paradiso, etsi la grazia del sommo ben d’un modo non vi piove. 90 Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia e d’un altro rimane ancor la gola, che quel si chere e di quel si ringrazia, 93 così fec’io con atto e con parola, per apprender da lei qual fu la tela onde non trasse infino a co la spuola. 96 «Perfetta vita e alto merto inciela donna più sù», mi disse, «a la cui norma nel vostro mondo giù si veste e vela, 99 perché fino al morir si vegghi e dorma con quello sposo ch’ogne voto accetta che caritate a suo piacer conforma. 102 Dal mondo, per seguirla, giovinetta fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi e promisi la via de la sua setta. 104 Letteratura italiana Einaudi 309 Dante Alighieri - Commedia Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, fuor mi rapiron de la dolce chiostra: Iddio si sa qual poi mia vita fusi. 108 E quest’altro splendor che ti si mostra da la mia destra parte e che s’accende di tutto il lume de la spera nostra, 111 ciò ch’io dico di me, di sé intende; sorella fu, e così le fu tolta di capo l’ombra de le sacre bende. 114 Ma poi che pur al mondo fu rivolta contra suo grado e contra buona usanza, non fu dal vel del cor già mai disciolta. 117 Quest’è la luce de la gran Costanza che del secondo vento di Soave generò ’l terzo e l’ultima possanza». 120 Così parlommi, e poi cominciò ‘ Ave, Maria’ cantando, e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave. 123 La vista mia, che tanto lei seguio quanto possibil fu, poi che la perse, volsesi al segno di maggior disio, 126 e a Beatrice tutta si converse; ma quella folgorò nel mio sguardo sì che da prima il viso non sofferse; 129 e ciò mi fece a dimandar più tardo. Letteratura italiana Einaudi 310 Dante Alighieri - Commedia CANTO IV Intra due cibi, distanti e moventi d’un modo, prima si morria di fame, che liber’omo l’un recasse ai denti; 3 sì si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; sì si starebbe un cane intra due dame: 6 per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d’un modo sospinto, poi ch’era necessario, né commendo. 9 Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto m’era nel viso, e ’l dimandar con ello, più caldo assai che per parlar distinto. 12 Fé sì Beatrice qual fé Daniello, Nabuccodonosor levando d’ira, che l’avea fatto ingiustamente fello; 15 e disse: «Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, sì che tua cura sé stessa lega sì che fuor non spira. 18 Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura, la violenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura?”. 21 Ancor di dubitar ti dà cagione parer tornarsi l’anime a le stelle, secondo la sentenza di Platone. 24 Queste son le question che nel tuo velle pontano igualmente; e però pria tratterò quella che più ha di felle. 27 D’i Serafin colui che più s’india, Moisè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, 30 non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t’appariro, né hanno a l’esser lor più o meno anni; 33 Letteratura italiana Einaudi 311 Dante Alighieri - Commedia ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro. 36 Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestial c’ha men salita. 39 Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno. 42 Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio, e altro intende; 45 e Santa Chiesa con aspetto umano Gabriel e Michel vi rappresenta, e l’altro che Tobia rifece sano. 48 Quel che Timeo de l’anime argomenta non è simile a ciò che qui si vede, però che, come dice, par che senta. 51 Dice che l’alma a la sua stella riede, credendo quella quindi esser decisa quando natura per forma la diede; 54 e forse sua sentenza è d’altra guisa che la voce non suona, ed esser puote con intenzion da non esser derisa. 57 S’elli intende tornare a queste ruote l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote. 60 Questo principio, male inteso, torse già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63 L’altra dubitazion che ti commove ha men velen, però che sua malizia non ti poria menar da me altrove. 66 Parere ingiusta la nostra giustizia ne li occhi d’i mortali, è argomento di fede e non d’eretica nequizia. 69 Letteratura italiana Einaudi 312 Dante Alighieri - Commedia Ma perché puote vostro accorgimento ben penetrare a questa veritate, come disiri, ti farò contento. 72 Se violenza è quando quel che pate niente conferisce a quel che sforza, non fuor quest’alme per essa scusate; 75 ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, ma fa come natura face in foco, se mille volte violenza il torza. 78 Per che, s’ella si piega assai o poco, segue la forza; e così queste fero possendo rifuggir nel santo loco. 81 Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada, e fece Muzio a la sua man severo, 84 così l’avria ripinte per la strada ond’eran tratte, come fuoro sciolte; ma così salda voglia è troppo rada. 87 E per queste parole, se ricolte l’hai come dei, è l’argomento casso che t’avria fatto noia ancor più volte. 90 Ma or ti s’attraversa un altro passo dinanzi a li occhi, tal che per te stesso non usciresti: pria saresti lasso. 93 Io t’ho per certo ne la mente messo ch’alma beata non poria mentire, però ch’è sempre al primo vero appresso; 96 e poi potesti da Piccarda udire che l’affezion del vel Costanza tenne; sì ch’ella par qui meco contradire. 99 Molte fiate già, frate, addivenne che, per fuggir periglio, contra grato si fé di quel che far non si convenne; 102 come Almeone, che, di ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà, si fé spietato. 105 Letteratura italiana Einaudi 313 Dante Alighieri - Commedia A questo punto voglio che tu pense che la forza al voler si mischia, e fanno sì che scusar non si posson l’offense. 108 Voglia assoluta non consente al danno; ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in più affanno. 111 Però, quando Piccarda quello spreme, de la voglia assoluta intende, e io de l’altra; sì che ver diciamo insieme». 114 Cotal fu l’ondeggiar del santo rio ch’uscì del fonte ond’ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio. 117 «O amanza del primo amante, o diva», diss’io appresso, «il cui parlar m’inonda e scalda sì, che più e più m’avviva, 120 non è l’affezion mia tanto profonda, che basti a render voi grazia per grazia; ma quei che vede e puote a ciò risponda. 123 Io veggio ben che già mai non si sazia nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126 Posasi in esso, come fera in lustra, tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129 Nasce per quello, a guisa di rampollo, a piè del vero il dubbio; ed è natura ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 132 Questo m’invita, questo m’assicura con reverenza, donna, a dimandarvi d’un’altra verità che m’è oscura. 135 Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi ai voti manchi sì con altri beni, ch’a la vostra statera non sien parvi». 138 Beatrice mi guardò con li occhi pieni di faville d’amor così divini, che, vinta, mia virtute diè le reni, 141 e quasi mi perdei con li occhi chini. Letteratura italiana Einaudi 314 Dante Alighieri - Commedia CANTO V «S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore di là dal modo che ’n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, 3 non ti maravigliar; ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. 6 Io veggio ben sì come già resplende ne l’intelletto tuo l’etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; 9 e s’altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. 12 Tu vuo’ saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l’anima sicuri di letigio». 15 Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com’uom che suo parlar non spezza, continuò così ’l processo santo: 18 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, 21 fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. 24 Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l’alto valor del voto, s’è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; 27 ché, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal quale io dico; e fassi col suo atto. 30 Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c’hai offerto, di maltolletto vuo’ far buon lavoro. 33 Letteratura italiana Einaudi 315 Dante Alighieri - Commedia Tu se’ omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, 36 convienti ancor sedere un poco a mensa, però che ’l cibo rigido c’hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. 39 Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso. 42 Due cose si convegnono a l’essenza di questo sacrificio: l’una è quella di che si fa; l’altr’è la convenenza. 45 Quest’ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: 48 però necessitato fu a li Ebrei pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta sì permutasse, come saver dei. 51 L’altra, che per materia t’è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. 54 Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; 57 e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come ’l quattro nel sei non è raccolta. 60 Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. 63 Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; 66 cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, 69 Letteratura italiana Einaudi 316 Dante Alighieri - Commedia onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch’udir parlar di così fatto cólto. 72 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. 75 Avete il novo e ’l vecchio Testamento, e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. 78 Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! 81 Non fate com’agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!». 84 Così Beatrice a me com’io scrivo; poi si rivolse tutta disiante a quella parte ove ’l mondo è più vivo. 87 Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; 90 e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. 93 Quivi la donna mia vid’io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé ’l pianeta. 96 E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec’io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! 99 Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, 102 sì vid’io ben più di mille splendori trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udìa: «Ecco chi crescerà li nostri amori». 105 Letteratura italiana Einaudi 317 Dante Alighieri - Commedia E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l’ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. 108 Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; 111 e per te vederai come da questi m’era in disio d’udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. 114 «O bene nato a cui veder li troni del triunfo etternal concede grazia prima che la milizia s’abbandoni, 117 del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». 120 Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii». 123 «Io veggio ben sì come tu t’annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch’e’ corusca sì come tu ridi; 126 ma non so chi tu se’, né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a’ mortai con altrui raggi». 129 Questo diss’io diritto alla lumera che pria m’avea parlato; ond’ella fessi lucente più assai di quel ch’ell’era. 132 Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come ’l caldo ha róse le temperanze d’i vapori spessi, 135 per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose 138 nel modo che ’l seguente canto canta. Letteratura italiana Einaudi 318 Dante Alighieri - Commedia CANTO VI «Poscia che Costantin l’aquila volse contr’al corso del ciel, ch’ella seguio dietro a l’antico che Lavina tolse, 3 cento e cent’anni e più l’uccel di Dio ne lo stremo d’Europa si ritenne, vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; 6 e sotto l’ombra de le sacre penne governò ’l mondo lì di mano in mano, e, sì cangiando, in su la mia pervenne. 9 Cesare fui e son Iustiniano, che, per voler del primo amor ch’i’ sento, d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. 12 E prima ch’io a l’ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credea, e di tal fede era contento; 15 ma ’l benedetto Agapito, che fue sommo pastore, a la fede sincera mi dirizzò con le parole sue. 18 Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, vegg’io or chiaro sì, come tu vedi ogni contradizione e falsa e vera. 21 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, a Dio per grazia piacque di spirarmi l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; 24 e al mio Belisar commendai l’armi, cui la destra del ciel fu sì congiunta, che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. 27 Or qui a la question prima s’appunta la mia risposta; ma sua condizione mi stringe a seguitare alcuna giunta, 30 perché tu veggi con quanta ragione si move contr’al sacrosanto segno e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. 33 Letteratura italiana Einaudi 319 Dante Alighieri - Commedia Vedi quanta virtù l’ha fatto degno di reverenza; e cominciò da l’ora che Pallante morì per darli regno. 36 Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. 39 E sai ch’el fé dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine. 42 Sai quel ch’el fé portato da li egregi Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, incontro a li altri principi e collegi; 45 onde Torquato e Quinzio, che dal cirro negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi ebber la fama che volontier mirro. 48 Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi che di retro ad Annibale passaro l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. 51 Sott’esso giovanetti triunfaro Scipione e Pompeo; e a quel colle sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. 54 Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle redur lo mondo a suo modo sereno, Cesare per voler di Roma il tolle. 57 E quel che fé da Varo infino a Reno, Isara vide ed Era e vide Senna e ogne valle onde Rodano è pieno. 60 Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna e saltò Rubicon, fu di tal volo, che nol seguiteria lingua né penna. 63 Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. 66 Antandro e Simeonta, onde si mosse, rivide e là dov’Ettore si cuba; e mal per Tolomeo poscia si scosse. 69 Letteratura italiana Einaudi 320 Dante Alighieri - Commedia Da indi scese folgorando a Iuba; onde si volse nel vostro occidente, ove sentia la pompeana tuba. 72 Di quel che fé col baiulo seguente, Bruto con Cassio ne l’inferno latra, e Modena e Perugia fu dolente. 75 Piangene ancor la trista Cleopatra, che, fuggendoli innanzi, dal colubro la morte prese subitana e atra. 78 Con costui corse infino al lito rubro; con costui puose il mondo in tanta pace, che fu serrato a Giano il suo delubro. 81 Ma ciò che ’l segno che parlar mi face fatto avea prima e poi era fatturo per lo regno mortal ch’a lui soggiace, 84 diventa in apparenza poco e scuro, se in mano al terzo Cesare si mira con occhio chiaro e con affetto puro; 87 ché la viva giustizia che mi spira, li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, gloria di far vendetta a la sua ira. 90 Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: poscia con Tito a far vendetta corse de la vendetta del peccato antico. 93 E quando il dente longobardo morse la Santa Chiesa, sotto le sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse. 96 Omai puoi giudicar di quei cotali ch’io accusai di sopra e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali. 99 L’uno al pubblico segno i gigli gialli oppone, e l’altro appropria quello a parte, sì ch’è forte a veder chi più si falli. 102 Faccian li Ghibellin, faccian lor arte sott’altro segno; ché mal segue quello sempre chi la giustizia e lui diparte; 104 Letteratura italiana Einaudi 321 Dante Alighieri - Commedia e non l’abbatta esto Carlo novello coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli ch’a più alto leon trasser lo vello. 108 Molte fiate già pianser li figli per la colpa del padre, e non si creda che Dio trasmuti l’arme per suoi gigli! 111 Questa picciola stella si correda di buoni spirti che son stati attivi perché onore e fama li succeda: 114 e quando li disiri poggian quivi, sì disviando, pur convien che i raggi del vero amore in sù poggin men vivi. 117 Ma nel commensurar d’i nostri gaggi col merto è parte di nostra letizia, perché non li vedem minor né maggi. 120 Quindi addolcisce la viva giustizia in noi l’affetto sì, che non si puote torcer già mai ad alcuna nequizia. 123 Diverse voci fanno dolci note; così diversi scanni in nostra vita rendon dolce armonia tra queste rote. 126 E dentro a la presente margarita luce la luce di Romeo, di cui fu l’ovra grande e bella mal gradita. 129 Ma i Provenzai che fecer contra lui non hanno riso; e però mal cammina qual si fa danno del ben fare altrui. 132 Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, Ramondo Beringhiere, e ciò li fece Romeo, persona umìle e peregrina. 135 E poi il mosser le parole biece a dimandar ragione a questo giusto, che li assegnò sette e cinque per diece, 138 indi partissi povero e vetusto; e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto, 141 assai lo loda, e più lo loderebbe». Letteratura italiana Einaudi 322 Dante Alighieri - Commedia CANTO VII « Osanna, sanctus Deus sabaòth, superillustrans claritate tua felices ignes horum malacòth! ». 3 Così, volgendosi a la nota sua, fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume s’addua: 6 ed essa e l’altre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville, mi si velar di sùbita distanza. 9 Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ fra me, ‘dille’, dicea, ‘a la mia donna che mi diseta con le dolci stille’. 12 Ma quella reverenza che s’indonna di tutto me, pur per Be e per ice, mi richinava come l’uom ch’assonna. 15 Poco sofferse me cotal Beatrice e cominciò, raggiandomi d’un riso tal, che nel foco faria l’uom felice: 18 «Secondo mio infallibile avviso, come giusta vendetta giustamente punita fosse, t’ha in pensier miso; 21 ma io ti solverò tosto la mente; e tu ascolta, ché le mie parole di gran sentenza ti faran presente. 24 Per non soffrire a la virtù che vole freno a suo prode, quell’uom che non nacque, dannando sé, dannò tutta sua prole; 27 onde l’umana specie inferma giacque giù per secoli molti in grande errore, fin ch’al Verbo di Dio discender piacque 30 u’ la natura, che dal suo fattore s’era allungata, unì a sé in persona con l’atto sol del suo etterno amore. 33 Letteratura italiana Einaudi 323 Dante Alighieri - Commedia Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: questa natura al suo fattore unita, qual fu creata, fu sincera e buona; 36 ma per sé stessa pur fu ella sbandita di paradiso, però che si torse da via di verità e da sua vita. 39 La pena dunque che la croce porse s’a la natura assunta si misura, nulla già mai sì giustamente morse; 42 e così nulla fu di tanta ingiura, guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura. 45 Però d’un atto uscir cose diverse: ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. 48 Non ti dee oramai parer più forte, quando si dice che giusta vendetta poscia vengiata fu da giusta corte. 51 Ma io veggi’ or la tua mente ristretta di pensiero in pensier dentro ad un nodo, del qual con gran disio solver s’aspetta. 54 Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo; ma perché Dio volesse, m’è occulto, a nostra redenzion pur questo modo”. 57 Questo decreto, frate, sta sepulto a li occhi di ciascuno il cui ingegno ne la fiamma d’amor non è adulto. 60 Veramente, però ch’a questo segno molto si mira e poco si discerne, dirò perché tal modo fu più degno. 63 La divina bontà, che da sé sperne ogne livore, ardendo in sé, sfavilla sì che dispiega le bellezze etterne. 66 Ciò che da lei sanza mezzo distilla non ha poi fine, perché non si move la sua imprenta quand’ella sigilla. 69 Letteratura italiana Einaudi 324 Dante Alighieri - Commedia Ciò che da essa sanza mezzo piove libero è tutto, perché non soggiace a la virtute de le cose nove. 72 Più l’è conforme, e però più le piace; ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, ne la più somigliante è più vivace. 75 Di tutte queste dote s’avvantaggia l’umana creatura; e s’una manca, di sua nobilità convien che caggia. 78 Solo il peccato è quel che la disfranca e falla dissìmile al sommo bene, per che del lume suo poco s’imbianca; 81 e in sua dignità mai non rivene, se non riempie, dove colpa vòta, contra mal dilettar con giuste pene. 84 Vostra natura, quando peccò tota nel seme suo, da queste dignitadi, come di paradiso, fu remota; 87 né ricovrar potiensi, se tu badi ben sottilmente, per alcuna via, sanza passar per un di questi guadi: 90 o che Dio solo per sua cortesia dimesso avesse, o che l’uom per sé isso avesse sodisfatto a sua follia. 93 Ficca mo l’occhio per entro l’abisso de l’etterno consiglio, quanto puoi al mio parlar distrettamente fisso. 96 Non potea l’uomo ne’ termini suoi mai sodisfar, per non potere ir giuso con umiltate obediendo poi, 99 quanto disobediendo intese ir suso; e questa è la cagion per che l’uom fue da poter sodisfar per sé dischiuso. 102 Dunque a Dio convenia con le vie sue riparar l’omo a sua intera vita, dico con l’una, o ver con amendue. 105 Letteratura italiana Einaudi 325 Dante Alighieri - Commedia Ma perché l’ovra tanto è più gradita da l’operante, quanto più appresenta de la bontà del core ond’ell’è uscita, 108 la divina bontà che ’l mondo imprenta, di proceder per tutte le sue vie, a rilevarvi suso, fu contenta. 111 Né tra l’ultima notte e ’l primo die sì alto o sì magnifico processo, o per l’una o per l’altra, fu o fie: 114 ché più largo fu Dio a dar sé stesso per far l’uom sufficiente a rilevarsi, che s’elli avesse sol da sé dimesso; 117 e tutti li altri modi erano scarsi a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio non fosse umiliato ad incarnarsi. 120 Or per empierti bene ogni disio, ritorno a dichiararti in alcun loco, perché tu veggi lì così com’io. 123 Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco, l’aere e la terra e tutte lor misture venire a corruzione, e durar poco; 126 e queste cose pur furon creature; per che, se ciò ch’è detto è stato vero, esser dovrien da corruzion sicure”. 129 Li angeli, frate, e ’l paese sincero nel qual tu se’, dir si posson creati, sì come sono, in loro essere intero; 132 ma li elementi che tu hai nomati e quelle cose che di lor si fanno da creata virtù sono informati. 135 Creata fu la materia ch’elli hanno; creata fu la virtù informante in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. 138 L’anima d’ogne bruto e de le piante di complession potenziata tira lo raggio e ’l moto de le luci sante; 141 Letteratura italiana Einaudi 326 Dante Alighieri - Commedia ma vostra vita sanza mezzo spira la somma beninanza, e la innamora di sé sì che poi sempre la disira. 144 E quinci puoi argomentare ancora vostra resurrezion, se tu ripensi come l’umana carne fessi allora 147 che li primi parenti intrambo fensi». Letteratura italiana Einaudi 327 Dante Alighieri - Commedia CANTO VIII Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo; 3 per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido le genti antiche ne l’antico errore; 6 ma Dione onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; 9 e da costei ond’io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. 12 Io non m’accorsi del salire in ella; ma d’esservi entro mi fé assai fede la donna mia ch’i’ vidi far più bella. 15 E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand’una è ferma e altra va e riede, 18 vid’io in essa luce altre lucerne muoversi in giro più e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne. 21 Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti 24 a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini; 27 e dentro a quei che più innanzi appariro sonava ‘ Osanna’ sì, che unque poi di riudir non fui sanza disiro. 30 Indi si fece l’un più presso a noi e solo incominciò: «Tutti sem presti al tuo piacer, perché di noi ti gioi. 33 Letteratura italiana Einaudi 328 Dante Alighieri - Commedia Noi ci volgiam coi principi celesti d’un giro e d’un girare e d’una sete, ai quali tu del mondo già dicesti: 36 ‘ Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quiete». 39 Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa fatti li avea di sé contenti e certi, 42 rivolsersi a la luce che promessa tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue la voce mia di grande affetto impressa. 45 E quanta e quale vid’io lei far piùe per allegrezza nova che s’accrebbe, quando parlai, a l’allegrezze sue! 48 Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe giù poco tempo; e se più fosse stato, molto sarà di mal, che non sarebbe. 51 La mia letizia mi ti tien celato che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato. 54 Assai m’amasti, e avesti ben onde; che s’io fossi giù stato, io ti mostrava di mio amor più oltre che le fronde. 57 Quella sinistra riva che si lava di Rodano poi ch’è misto con Sorga, per suo segnore a tempo m’aspettava, 60 e quel corno d’Ausonia che s’imborga di Bari e di Gaeta e di Catona da ove Tronto e Verde in mare sgorga. 63 Fulgeami già in fronte la corona di quella terra che ’l Danubio riga poi che le ripe tedesche abbandona. 66 E la bella Trinacria, che caliga tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo che riceve da Euro maggior briga, 69 Letteratura italiana Einaudi 329 Dante Alighieri - Commedia non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo, 72 se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. 75 E se mio frate questo antivedesse, l’avara povertà di Catalogna già fuggeria, perché non li offendesse; 78 ché veramente proveder bisogna per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca carcata più d’incarco non si pogna. 81 La sua natura, che di larga parca discese, avria mestier di tal milizia che non curasse di mettere in arca». 84 «Però ch’i’ credo che l’alta letizia che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio, là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, 87 per te si veggia come la vegg’io, grata m’è più; e anco quest’ho caro perché ’l discerni rimirando in Dio. 90 Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso com’esser può, di dolce seme, amaro». 93 Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso. 96 Lo ben che tutto il regno che tu scandi volge e contenta, fa esser virtute sua provedenza in questi corpi grandi. 99 E non pur le nature provedute sono in la mente ch’è da sé perfetta, ma esse insieme con la lor salute: 102 per che quantunque quest’arco saetta disposto cade a proveduto fine, sì come cosa in suo segno diretta. 105 Letteratura italiana Einaudi 330 Dante Alighieri - Commedia Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sì li suoi effetti, che non sarebbero arti, ma ruine; 108 e ciò esser non può, se li ’ntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti. 111 Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». E io: «Non già; ché impossibil veggio che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». 114 Ond’elli ancora: «Or di’: sarebbe il peggio per l’omo in terra, se non fosse cive?». «Sì», rispuos’io; «e qui ragion non cheggio». 117 «E puot’elli esser, se giù non si vive diversamente per diversi offici? Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». 120 Sì venne deducendo infino a quici; poscia conchiuse: «Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici: 123 per ch’un nasce Solone e altro Serse, altro Melchisedèch e altro quello che, volando per l’aere, il figlio perse. 126 La circular natura, ch’è suggello a la cera mortal, fa ben sua arte, ma non distingue l’un da l’altro ostello. 129 Quinci addivien ch’Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da sì vil padre, che si rende a Marte. 132 Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a’ generanti, se non vincesse il proveder divino. 135 Or quel che t’era dietro t’è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t’ammanti. 138 Sempre natura, se fortuna trova discorde a sé, com’ogne altra semente fuor di sua region, fa mala prova. 141 Letteratura italiana Einaudi 331 Dante Alighieri - Commedia E se ’l mondo là giù ponesse mente al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria buona la gente. 144 Ma voi torcete a la religione tal che fia nato a cignersi la spada, e fate re di tal ch’è da sermone; 147 onde la traccia vostra è fuor di strada». Letteratura italiana Einaudi 332 Dante Alighieri - Commedia CANTO IX Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni che ricever dovea la sua semenza; 3 ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; sì ch’io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro ai vostri danni. 6 E già la vita di quel lume santo rivolta s’era al Sol che la riempie come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. 9 Ahi anime ingannate e fatture empie, che da sì fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanità le vostre tempie! 12 Ed ecco un altro di quelli splendori ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori. 15 Li occhi di Beatrice, ch’eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato fermi. 18 «Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirto», dissi, «e fammi prova ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». 21 Onde la luce che m’era ancor nova, del suo profondo, ond’ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova: 24 «In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rialto e le fontane di Brenta e di Piava, 27 si leva un colle, e non surge molt’alto, là onde scese già una facella che fece a la contrada un grande assalto. 30 D’una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perché mi vinse il lume d’esta stella; 33 Letteratura italiana Einaudi 333 Dante Alighieri - Commedia ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo. 36 Di questa luculenta e cara gioia del nostro cielo che più m’è propinqua, grande fama rimase; e pria che moia, 39 questo centesimo anno ancor s’incinqua: vedi se far si dee l’omo eccellente, sì ch’altra vita la prima relinqua. 42 E ciò non pensa la turba presente che Tagliamento e Adice richiude, né per esser battuta ancor si pente; 45 ma tosto fia che Padova al palude cangerà l’acqua che Vincenza bagna, per essere al dover le genti crude; 48 e dove Sile e Cagnan s’accompagna, tal signoreggia e va con la testa alta, che già per lui carpir si fa la ragna. 51 Piangerà Feltro ancora la difalta de l’empio suo pastor, che sarà sconcia sì, che per simil non s’entrò in malta. 54 Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese, e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, 57 che donerà questo prete cortese per mostrarsi di parte; e cotai doni conformi fieno al viver del paese. 60 Sù sono specchi, voi dicete Troni, onde refulge a noi Dio giudicante; sì che questi parlar ne paion buoni». 63 Qui si tacette; e fecemi sembiante che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise com’era davante. 66 L’altra letizia, che m’era già nota per cara cosa, mi si fece in vista qual fin balasso in che lo sol percuota. 69 Letteratura italiana Einaudi 334 Dante Alighieri - Commedia Per letiziar là sù fulgor s’acquista, sì come riso qui; ma giù s’abbuia l’ombra di fuor, come la mente è trista. 72 «Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», diss’io, «beato spirto, sì che nulla voglia di sé a te puot’esser fuia. 75 Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla sempre col canto di quei fuochi pii che di sei ali facen la coculla, 78 perché non satisface a’ miei disii? Già non attendere’ io tua dimanda, s’io m’intuassi, come tu t’inmii». 81 «La maggior valle in che l’acqua si spanda», incominciaro allor le sue parole, «fuor di quel mar che la terra inghirlanda, 84 tra ’ discordanti liti contra ’l sole tanto sen va, che fa meridiano là dove l’orizzonte pria far suole. 87 Di quella valle fu’ io litorano tra Ebro e Macra, che per cammin corto parte lo Genovese dal Toscano. 90 Ad un occaso quasi e ad un orto Buggea siede e la terra ond’io fui, che fé del sangue suo già caldo il porto. 93 Folco mi disse quella gente a cui fu noto il nome mio; e questo cielo di me s’imprenta, com’io fe’ di lui; 96 ché più non arse la figlia di Belo, noiando e a Sicheo e a Creusa, di me, infin che si convenne al pelo; 99 né quella Rodopea che delusa fu da Demofoonte, né Alcide quando Iole nel core ebbe rinchiusa. 102 Non però qui si pente, ma si ride, non de la colpa, ch’a mente non torna, ma del valor ch’ordinò e provide. 105 Letteratura italiana Einaudi 335 Dante Alighieri - Commedia Qui si rimira ne l’arte ch’addorna cotanto affetto, e discernesi ’l bene per che ’l mondo di sù quel di giù torna. 108 Ma perché tutte le tue voglie piene ten porti che son nate in questa spera, proceder ancor oltre mi convene. 111 Tu vuo’ saper chi è in questa lumera che qui appresso me così scintilla, come raggio di sole in acqua mera. 114 Or sappi che là entro si tranquilla Raab; e a nostr’ordine congiunta, di lei nel sommo grado si sigilla. 117 Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’alma del triunfo di Cristo fu assunta. 120 Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun cielo de l’alta vittoria che s’acquistò con l’una e l’altra palma, 123 perch’ella favorò la prima gloria di Iosuè in su la Terra Santa, che poco tocca al papa la memoria. 126 La tua città, che di colui è pianta che pria volse le spalle al suo fattore e di cui è la ’nvidia tanto pianta, 129 produce e spande il maladetto fiore c’ha disviate le pecore e li agni, però che fatto ha lupo del pastore. 132 Per questo l’Evangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali si studia, sì che pare a’ lor vivagni. 135 A questo intende il papa e ’ cardinali; non vanno i lor pensieri a Nazarette, là dove Gabriello aperse l’ali. 138 Ma Vaticano e l’altre parti elette di Roma che son state cimitero a la milizia che Pietro seguette, 141 tosto libere fien de l’avoltero». Letteratura italiana Einaudi 336 Dante Alighieri - Commedia CANTO X Guardando nel suo Figlio con l’Amore che l’uno e l’altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore 3 quanto per mente e per loco si gira con tant’ordine fé, ch’esser non puote sanza gustar di lui chi ciò rimira. 6 Leva dunque, lettore, a l’alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l’un moto e l’altro si percuote; 9 e lì comincia a vagheggiar ne l’arte di quel maestro che dentro a sé l’ama, tanto che mai da lei l’occhio non parte. 12 Vedi come da indi si dirama l’oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. 15 Che se la strada lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogne potenza qua giù morta; 18 e se dal dritto più o men lontano fosse ’l partire, assai sarebbe manco e giù e sù de l’ordine mondano. 21 Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, dietro pensando a ciò che si preliba, s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. 24 Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba; ché a sé torce tutta la mia cura quella materia ond’io son fatto scriba. 27 Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, 30 con quella parte che sù si rammenta congiunto, si girava per le spire in che più tosto ognora s’appresenta; 33 Letteratura italiana Einaudi 337 Dante Alighieri - Commedia e io era con lui; ma del salire non m’accors’io, se non com’uom s’accorge, anzi ’l primo pensier, del suo venire. 36 E’ Beatrice quella che sì scorge di bene in meglio, sì subitamente che l’atto suo per tempo non si sporge. 39 Quant’esser convenia da sé lucente quel ch’era dentro al sol dov’io entra’mi, non per color, ma per lume parvente! 42 Perch’io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, sì nol direi che mai s’imaginasse; ma creder puossi e di veder si brami. 45 E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non è maraviglia; ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. 48 Tal era quivi la quarta famiglia de l’alto Padre, che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia. 51 E Beatrice cominciò: «Ringrazia, ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo sensibil t’ha levato per sua grazia». 54 Cor di mortal non fu mai sì digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto ’l suo gradir cotanto presto, 57 come a quelle parole mi fec’io; e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclissò ne l’oblio. 60 Non le dispiacque; ma sì se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise. 63 Io vidi più folgór vivi e vincenti far di noi centro e di sé far corona, più dolci in voce che in vista lucenti: 66 così cinger la figlia di Latona vedem talvolta, quando l’aere è pregno, sì che ritenga il fil che fa la zona. 69 Letteratura italiana Einaudi 338 Dante Alighieri - Commedia Ne la corte del cielo, ond’io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno; 72 e ’l canto di quei lumi era di quelle; chi non s’impenna sì che là sù voli, dal muto aspetti quindi le novelle. 75 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a’ fermi poli, 78 donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s’arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte. 81 E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando lo raggio de la grazia, onde s’accende verace amore e che poi cresce amando, 84 multiplicato in te tanto resplende, che ti conduce su per quella scala u’ sanza risalir nessun discende; 87 qual ti negasse il vin de la sua fiala per la tua sete, in libertà non fora se non com’acqua ch’al mar non si cala. 90 Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia la bella donna ch’al ciel t’avvalora. 93 Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino u’ ben s’impingua se non si vaneggia. 96 Questi che m’è a destra più vicino, frate e maestro fummi, ed esso Alberto è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. 99 Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo, di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto. 102 Quell’altro fiammeggiare esce del riso di Grazian, che l’uno e l’altro foro aiutò sì che piace in paradiso. 105 Letteratura italiana Einaudi 339 Dante Alighieri - Commedia L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, quel Pietro fu che con la poverella offerse a Santa Chiesa suo tesoro. 108 La quinta luce, ch’è tra noi più bella, spira di tal amor, che tutto ’l mondo là giù ne gola di saper novella: 111 entro v’è l’alta mente u’ sì profondo saver fu messo, che, se ’l vero è vero a veder tanto non surse il secondo. 114 Appresso vedi il lume di quel cero che giù in carne più a dentro vide l’angelica natura e ’l ministero. 117 Ne l’altra piccioletta luce ride quello avvocato de’ tempi cristiani del cui latino Augustin si provide. 120 Or se tu l’occhio de la mente trani di luce in luce dietro a le mie lode, già de l’ottava con sete rimani. 123 Per vedere ogni ben dentro vi gode l’anima santa che ’l mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode. 126 Lo corpo ond’ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro e da essilio venne a questa pace. 129 Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, che a considerar fu più che viro. 132 Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri gravi a morir li parve venir tardo: 135 essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidiosi veri». 138 Indi, come orologio che ne chiami ne l’ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l’ami, 141 Letteratura italiana Einaudi 340 Dante Alighieri - Commedia che l’una parte e l’altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che ’l ben disposto spirto d’amor turge; 144 così vid’io la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch’esser non pò nota 147 se non colà dove gioir s’insempra. Letteratura italiana Einaudi 341 Dante Alighieri - Commedia CANTO XI O insensata cura de’ mortali, quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l’ali! 3 Chi dietro a iura, e chi ad amforismi sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, 6 e chi rubare, e chi civil negozio, chi nel diletto de la carne involto s’affaticava e chi si dava a l’ozio, 9 quando, da tutte queste cose sciolto, con Beatrice m’era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto. 12 Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s’era, fermossi, come a candellier candelo. 15 E io senti’ dentro a quella lumera che pria m’avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi più mera: 18 «Così com’io del suo raggio resplendo, sì, riguardando ne la luce etterna, li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. 21 Tu dubbi, e hai voler che si ricerna in sì aperta e ’n sì distesa lingua lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, 24 ove dinanzi dissi “U’ ben s’impingua”, e là u’ dissi “Non nacque il secondo”; e qui è uopo che ben si distingua. 27 La provedenza, che governa il mondo con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato è vinto pria che vada al fondo, 30 però che andasse ver’ lo suo diletto la sposa di colui ch’ad alte grida disposò lei col sangue benedetto, 33 Letteratura italiana Einaudi 342 Dante Alighieri - Commedia in sé sicura e anche a lui più fida, due principi ordinò in suo favore, che quinci e quindi le fosser per guida. 36 L’un fu tutto serafico in ardore; l’altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore. 39 De l’un dirò, però che d’amendue si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, perch’ad un fine fur l’opere sue. 42 Intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, fertile costa d’alto monte pende, 45 onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo. 48 Di questa costa, là dov’ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. 51 Però chi d’esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. 54 Non era ancor molto lontan da l’orto, ch’el cominciò a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto; 57 ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra; 60 e dinanzi a la sua spirital corte et coram patre le si fece unito; poscia di dì in dì l’amò più forte. 63 Questa, privata del primo marito, millecent’anni e più dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito; 66 né valse udir che la trovò sicura con Amiclate, al suon de la sua voce, colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; 69 Letteratura italiana Einaudi 343 Dante Alighieri - Commedia né valse esser costante né feroce, sì che, dove Maria rimase giuso, ella con Cristo pianse in su la croce. 72 Ma perch’io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. 75 La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; 78 tanto che ’l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. 81 Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 84 Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l’umile capestro. 87 Né li gravò viltà di cuor le ciglia per esser fi’ di Pietro Bernardone, né per parer dispetto a maraviglia; 90 ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religione. 93 Poi che la gente poverella crebbe dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, 96 di seconda corona redimita fu per Onorio da l’Etterno Spiro la santa voglia d’esto archimandrita. 99 E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, 102 e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l’italica erba, 105 Letteratura italiana Einaudi 344 Dante Alighieri - Commedia nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. 108 Quando a colui ch’a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch’el meritò nel suo farsi pusillo, 111 a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l’amassero a fede; 114 e del suo grembo l’anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara. 117 Pensa oramai qual fu colui che degno collega fu a mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno; 120 e questo fu il nostro patriarca; per che qual segue lui, com’el comanda, discerner puoi che buone merce carca. 123 Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote che per diversi salti non si spanda; 126 e quanto le sue pecore remote e vagabunde più da esso vanno, più tornano a l’ovil di latte vòte. 129 Ben son di quelle che temono ’l danno e stringonsi al pastor; ma son sì poche, che le cappe fornisce poco panno. 132 Or, se le mie parole non son fioche, se la tua audienza è stata attenta, se ciò ch’è detto a la mente revoche, 135 in parte fia la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra’ il corrègger che argomenta 138 “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». Letteratura italiana Einaudi 345 Dante Alighieri - Commedia CANTO XII Sì tosto come l’ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola; 3 e nel suo giro tutta non si volse prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; 6 canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. 9 Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, 12 nascendo di quel d’entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch’amor consunse come sol vapori; 15 e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè puose, del mondo che già mai più non s’allaga: 18 così di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e sì l’estrema a l’intima rispuose. 21 Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande, sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce gaudiose e blande, 24 insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch’al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi; 27 del cor de l’una de le luci nove si mosse voce, che l’ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; 30 e cominciò: «L’amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l’altro duca per cui del mio sì ben ci si favella. 33 Letteratura italiana Einaudi 346 Dante Alighieri - Commedia Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca: sì che, com’elli ad una militaro, così la gloria loro insieme luca. 36 L’essercito di Cristo, che sì caro costò a riarmar, dietro a la ’nsegna si movea tardo, sospeccioso e raro, 39 quando lo ’mperador che sempre regna provide a la milizia, ch’era in forse, per sola grazia, non per esser degna; 42 e, come è detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disviato si raccorse. 45 In quella parte ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde di che si vede Europa rivestire, 48 non molto lungi al percuoter de l’onde dietro a le quali, per la lunga foga, lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, 51 siede la fortunata Calaroga sotto la protezion del grande scudo in che soggiace il leone e soggioga: 54 dentro vi nacque l’amoroso drudo de la fede cristiana, il santo atleta benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; 57 e come fu creata, fu repleta sì la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta. 60 Poi che le sponsalizie fuor compiute al sacro fonte intra lui e la Fede, u’ si dotar di mutua salute, 63 la donna che per lui l’assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto ch’uscir dovea di lui e de le rede; 66 e perché fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto. 69 Letteratura italiana Einaudi 347 Dante Alighieri - Commedia Domenico fu detto; e io ne parlo sì come de l’agricola che Cristo elesse a l’orto suo per aiutarlo. 72 Ben parve messo e famigliar di Cristo: che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto, fu al primo consiglio che diè Cristo. 75 Spesse fiate fu tacito e desto trovato in terra da la sua nutrice, come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. 78 Oh padre suo veramente Felice! oh madre sua veramente Giovanna, se, interpretata, val come si dice! 81 Non per lo mondo, per cui mo s’affanna di retro ad Ostiense e a Taddeo, ma per amor de la verace manna 84 in picciol tempo gran dottor si feo; tal che si mise a circuir la vigna che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. 87 E a la sedia che fu già benigna più a’ poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna, 90 non dispensare o due o tre per sei, non la fortuna di prima vacante, non decimas, quae sunt pauperum Dei, 93 addimandò, ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante. 96 Poi, con dottrina e con volere insieme, con l’officio appostolico si mosse quasi torrente ch’alta vena preme; 99 e ne li sterpi eretici percosse l’impeto suo, più vivamente quivi dove le resistenze eran più grosse. 102 Di lui si fecer poi diversi rivi onde l’orto catolico si riga, sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. 105 Letteratura italiana Einaudi 348 Dante Alighieri - Commedia Se tal fu l’una rota de la biga in che la Santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, 108 ben ti dovrebbe assai esser palese l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu sì cortese. 111 Ma l’orbita che fé la parte somma di sua circunferenza, è derelitta, sì ch’è la muffa dov’era la gromma. 114 La sua famiglia, che si mosse dritta coi piedi a le sue orme, è tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta; 117 e tosto si vedrà de la ricolta de la mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l’arca li sia tolta. 120 Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; 123 ma non fia da Casal né d’Acquasparta, là onde vegnon tali a la scrittura, ch’uno la fugge e altro la coarta. 126 Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che ne’ grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura. 129 Illuminato e Augustin son quici, che fuor de’ primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio si fero amici. 132 Ugo da San Vittore è qui con elli, e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, lo qual giù luce in dodici libelli; 135 Natàn profeta e ’l metropolitano Crisostomo e Anselmo e quel Donato ch’a la prim’arte degnò porre mano. 138 Rabano è qui, e lucemi dallato il calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato. 141 Letteratura italiana Einaudi 349 Dante Alighieri - Commedia Ad inveggiar cotanto paladino mi mosse l’infiammata cortesia di fra Tommaso e ’l discreto latino; 144 e mosse meco questa compagnia». Letteratura italiana Einaudi 350 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIII Imagini, chi bene intender cupe quel ch’i’ or vidi – e ritegna l’image, mentre ch’io dico, come ferma rupe –, 3 quindici stelle che ’n diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno che soperchia de l’aere ogne compage; 6 imagini quel carro a cu’ il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, sì ch’al volger del temo non vien meno; 9 imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno, 12 aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi allora che sentì di morte il gelo; 15 e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; 18 e avrà quasi l’ombra de la vera costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov’io era: 21 poi ch’è tanto di là da nostra usanza, quanto di là dal mover de la Chiana si move il ciel che tutti li altri avanza. 24 Lì si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, e in una persona essa e l’umana. 27 Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura. 30 Ruppe il silenzio ne’ concordi numi poscia la luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi, 33 Letteratura italiana Einaudi 351 Dante Alighieri - Commedia e disse: «Quando l’una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter l’altra dolce amor m’invita. 36 Tu credi che nel petto onde la costa si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto ’l mondo costa, 39 e in quel che, forato da la lancia, e prima e poscia tanto sodisfece, che d’ogne colpa vince la bilancia, 42 quantunque a la natura umana lece aver di lume, tutto fosse infuso da quel valor che l’uno e l’altro fece; 45 e però miri a ciò ch’io dissi suso, quando narrai che non ebbe ’l secondo lo ben che ne la quinta luce è chiuso. 48 Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, e vedrai il tuo credere e ’l mio dire nel vero farsi come centro in tondo. 51 Ciò che non more e ciò che può morire non è se non splendor di quella idea che partorisce, amando, il nostro Sire; 54 ché quella viva luce che sì mea dal suo lucente, che non si disuna da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, 57 per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una. 60 Quindi discende a l’ultime potenze giù d’atto in atto, tanto divenendo, che più non fa che brevi contingenze; 63 e queste contingenze essere intendo le cose generate, che produce con seme e sanza seme il ciel movendo. 66 La cera di costoro e chi la duce non sta d’un modo; e però sotto ’l segno ideale poi più e men traluce. 69 Letteratura italiana Einaudi 352 Dante Alighieri - Commedia Ond’elli avvien ch’un medesimo legno, secondo specie, meglio e peggio frutta; e voi nascete con diverso ingegno. 72 Se fosse a punto la cera dedutta e fosse il cielo in sua virtù supprema, la luce del suggel parrebbe tutta; 75 ma la natura la dà sempre scema, similemente operando a l’artista ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. 78 Però se ’l caldo amor la chiara vista de la prima virtù dispone e segna, tutta la perfezion quivi s’acquista. 81 Così fu fatta già la terra degna di tutta l’animal perfezione; così fu fatta la Vergine pregna; 84 sì ch’io commendo tua oppinione, che l’umana natura mai non fue né fia qual fu in quelle due persone. 87 Or s’i’ non procedesse avanti piùe, ‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ comincerebber le parole tue. 90 Ma perché paia ben ciò che non pare, pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. 93 Non ho parlato sì, che tu non posse ben veder ch’el fu re, che chiese senno acciò che re sufficiente fosse; 96 non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; 99 non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote triangol sì ch’un retto non avesse. 102 Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, regal prudenza è quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote; 105 Letteratura italiana Einaudi 353 Dante Alighieri - Commedia e se al “surse” drizzi li occhi chiari, vedrai aver solamente respetto ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. 108 Con questa distinzion prendi ’l mio detto; e così puote star con quel che credi del primo padre e del nostro Diletto. 111 E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, per farti mover lento com’uom lasso e al sì e al no che tu non vedi: 114 ché quelli è tra li stolti bene a basso, che sanza distinzione afferma e nega ne l’un così come ne l’altro passo; 117 perch’elli ’ncontra che più volte piega l’oppinion corrente in falsa parte, e poi l’affetto l’intelletto lega. 120 Vie più che ’ndarno da riva si parte, perché non torna tal qual e’ si move, chi pesca per lo vero e non ha l’arte. 123 E di ciò sono al mondo aperte prove Parmenide, Melisso e Brisso e molti, li quali andaro e non sapean dove; 126 sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti che furon come spade a le Scritture in render torti li diritti volti. 129 Non sien le genti, ancor, troppo sicure a giudicar, sì come quei che stima le biade in campo pria che sien mature; 132 ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima lo prun mostrarsi rigido e feroce; poscia portar la rosa in su la cima; 135 e legno vidi già dritto e veloce correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l’intrar de la foce. 138 Non creda donna Berta e ser Martino, per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino; 141 ché quel può surgere, e quel può cadere». Letteratura italiana Einaudi 354 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIV Dal centro al cerchio,e sì dal cerchio al centro movesi l’acqua in un ritondo vaso, secondo ch’è percosso fuori o dentro: 3 ne la mia mente fé sùbito caso questo ch’io dico, sì come si tacque la gloriosa vita di Tommaso, 6 per la similitudine che nacque del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: 9 «A costui fa mestieri, e nol vi dice né con la voce né pensando ancora, d’un altro vero andare a la radice. 12 Diteli se la luce onde s’infiora vostra sustanza, rimarrà con voi etternalmente sì com’ell’è ora; 15 e se rimane, dite come, poi che sarete visibili rifatti, esser porà ch’al veder non vi nòi». 18 Come, da più letizia pinti e tratti, a la fiata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti, 21 così, a l’orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota. 24 Qual si lamenta perché qui si moia per viver colà sù, non vide quive lo refrigerio de l’etterna ploia. 27 Quell’uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, non circunscritto, e tutto circunscrive, 30 tre volte era cantato da ciascuno di quelli spirti con tal melodia, ch’ad ogne merto saria giusto muno. 33 Letteratura italiana Einaudi 355 Dante Alighieri - Commedia E io udi’ ne la luce più dia del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu da l’angelo a Maria, 36 risponder: «Quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore si raggerà dintorno cotal vesta. 39 La sua chiarezza séguita l’ardore; l’ardor la visione, e quella è tanta, quant’ha di grazia sovra suo valore. 42 Come la carne gloriosa e santa fia rivestita, la nostra persona più grata fia per esser tutta quanta; 45 per che s’accrescerà ciò che ne dona di gratuito lume il sommo bene, lume ch’a lui veder ne condiziona; 48 onde la vision crescer convene, crescer l’ardor che di quella s’accende, crescer lo raggio che da esso vene. 51 Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende; 54 così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne che tutto dì la terra ricoperchia; 57 né potrà tanta luce affaticarne: ché li organi del corpo saran forti a tutto ciò che potrà dilettarne». 60 Tanto mi parver sùbiti e accorti e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», che ben mostrar disio d’i corpi morti: 63 forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme. 66 Ed ecco intorno, di chiarezza pari, nascere un lustro sopra quel che v’era, per guisa d’orizzonte che rischiari. 69 Letteratura italiana Einaudi 356 Dante Alighieri - Commedia E sì come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, sì che la vista pare e non par vera, 72 parvemi lì novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l’altre due circunferenze. 75 Oh vero sfavillar del Santo Spiro! come si fece sùbito e candente a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! 78 Ma Beatrice sì bella e ridente mi si mostrò, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente. 81 Quindi ripreser li occhi miei virtute a rilevarsi; e vidimi translato sol con mia donna in più alta salute. 84 Ben m’accors’io ch’io era più levato, per l’affocato riso de la stella, che mi parea più roggio che l’usato. 87 Con tutto ’l core e con quella favella ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella. 90 E non er’anco del mio petto essausto l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi esso litare stato accetto e fausto; 93 ché con tanto lucore e tanto robbi m’apparvero splendor dentro a due raggi, ch’io dissi: «O Eliòs che sì li addobbi!». 96 Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ’ poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; 99 sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo. 102 Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; ché quella croce lampeggiava Cristo, sì ch’io non so trovare essempro degno; 105 Letteratura italiana Einaudi 357 Dante Alighieri - Commedia ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, vedendo in quell’albor balenar Cristo. 108 Di corno in corno e tra la cima e ’l basso si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: 111 così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, 114 moversi per lo raggio onde si lista talvolta l’ombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista. 117 E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, 120 così da’ lumi che lì m’apparinno s’accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l’inno. 123 Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode, però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» come a colui che non intende e ode. 126 Io m’innamorava tanto quinci, che ’nfino a lì non fu alcuna cosa che mi legasse con sì dolci vinci. 129 Forse la mia parola par troppo osa, posponendo il piacer de li occhi belli, ne’ quai mirando mio disio ha posa; 132 ma chi s’avvede che i vivi suggelli d’ogne bellezza più fanno più suso, e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, 135 escusar puommi di quel ch’io m’accuso per escusarmi, e vedermi dir vero: ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, 138 perché si fa, montando, più sincero. Letteratura italiana Einaudi 358 Dante Alighieri - Commedia CANTO XV Benigna volontade in che si liqua sempre l’amor che drittamente spira, come cupidità fa ne la iniqua, 3 silenzio puose a quella dolce lira, e fece quietar le sante corde che la destra del cielo allenta e tira. 6 Come saranno a’ giusti preghi sorde quelle sustanze che, per darmi voglia ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? 9 Bene è che sanza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri, etternalmente quello amor si spoglia. 12 Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or sùbito foco, movendo li occhi che stavan sicuri, 15 e pare stella che tramuti loco, se non che da la parte ond’e’ s’accende nulla sen perde, ed esso dura poco: 18 tale dal corno che ’n destro si stende a piè di quella croce corse un astro de la costellazion che lì resplende; 21 né si partì la gemma dal suo nastro, ma per la lista radial trascorse, che parve foco dietro ad alabastro. 24 Sì pia l’ombra d’Anchise si porse, se fede merta nostra maggior musa, quando in Eliso del figlio s’accorse. 27 « O sanguis meus, o superinfusa gratia Dei, sicut tibi cui bis unquam celi ianua reclusa? ». 30 Così quel lume: ond’io m’attesi a lui; poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui; 33 Letteratura italiana Einaudi 359 Dante Alighieri - Commedia ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso. 36 Indi, a udire e a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose, ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; 39 né per elezion mi si nascose, ma per necessità, ché ’l suo concetto al segno d’i mortal si soprapuose. 42 E quando l’arco de l’ardente affetto fu sì sfogato, che ’l parlar discese inver’ lo segno del nostro intelletto, 45 la prima cosa che per me s’intese, «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, che nel mio seme se’ tanto cortese!». 48 E seguì: «Grato e lontano digiuno, tratto leggendo del magno volume du’ non si muta mai bianco né bruno, 51 solvuto hai, figlio, dentro a questo lume in ch’io ti parlo, mercè di colei ch’a l’alto volo ti vestì le piume. 54 Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch’è primo, così come raia da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; 57 e però ch’io mi sia e perch’io paia più gaudioso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia. 60 Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi; 63 ma perché ’l sacro amore in che io veglio con perpetua vista e che m’asseta di dolce disiar, s’adempia meglio, 66 la voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni ’l disio, a che la mia risposta è già decreta!». 69 Letteratura italiana Einaudi 360 Dante Alighieri - Commedia Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l’ali al voler mio. 72 Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno, come la prima equalità v’apparse, d’un peso per ciascun di voi si fenno, 75 però che ’l sol che v’allumò e arse, col caldo e con la luce è sì iguali, che tutte simiglianze sono scarse. 78 Ma voglia e argomento ne’ mortali, per la cagion ch’a voi è manifesta, diversamente son pennuti in ali; 81 ond’io, che son mortal, mi sento in questa disagguaglianza, e però non ringrazio se non col core a la paterna festa. 84 Ben supplico io a te, vivo topazio che questa gioia preziosa ingemmi, perché mi facci del tuo nome sazio». 87 «O fronda mia in che io compiacemmi pur aspettando, io fui la tua radice»: cotal principio, rispondendo, femmi. 90 Poscia mi disse: «Quel da cui si dice tua cognazione e che cent’anni e piùe girato ha ’l monte in la prima cornice, 93 mio figlio fu e tuo bisavol fue: ben si convien che la lunga fatica tu li raccorci con l’opere tue. 96 Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond’ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica. 99 Non avea catenella, non corona, non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona. 102 Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, che ’l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura. 105 Letteratura italiana Einaudi 361 Dante Alighieri - Commedia Non avea case di famiglia vòte; non v’era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che ’n camera si puote. 108 Non era vinto ancora Montemalo dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto nel montar sù, così sarà nel calo. 111 Bellincion Berti vid’io andar cinto di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza ’l viso dipinto; 114 e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio. 117 Oh fortunate! ciascuna era certa de la sua sepultura, e ancor nulla era per Francia nel letto diserta. 120 L’una vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava l’idioma che prima i padri e le madri trastulla; 123 l’altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. 126 Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia. 129 A così riposato, a così bello viver di cittadini, a così fida cittadinanza, a così dolce ostello, 132 Maria mi diè, chiamata in alte grida; e ne l’antico vostro Batisteo insieme fui cristiano e Cacciaguida. 135 Moronto fu mio frate ed Eliseo; mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo. 138 Poi seguitai lo ’mperador Currado; ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado. 141 Letteratura italiana Einaudi 362 Dante Alighieri - Commedia Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa, per colpa d’i pastor, vostra giustizia. 144 Quivi fu’ io da quella gente turpa disviluppato dal mondo fallace, lo cui amor molt’anime deturpa; 147 e venni dal martiro a questa pace». Letteratura italiana Einaudi 363 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVI O poca nostra nobiltà di sangue, se gloriar di te la gente fai qua giù dove l’affetto nostro langue, 3 mirabil cosa non mi sarà mai: ché là dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai. 6 Ben se’ tu manto che tosto raccorce: sì che, se non s’appon di dì in die, lo tempo va dintorno con le force. 9 Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie; 12 onde Beatrice, ch’era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio al primo fallo scritto di Ginevra. 15 Io cominciai: «Voi siete il padre mio; voi mi date a parlar tutta baldezza; voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. 18 Per tanti rivi s’empie d’allegrezza la mente mia, che di sé fa letizia perché può sostener che non si spezza. 21 Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra puerizia; 24 ditemi de l’ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni». 27 Come s’avviva a lo spirar d’i venti carbone in fiamma, così vid’io quella luce risplendere a’ miei blandimenti; 30 e come a li occhi miei si fé più bella, così con voce più dolce e soave, ma non con questa moderna favella, 33 Letteratura italiana Einaudi 364 Dante Alighieri - Commedia dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘ Ave’ al parto in che mia madre, ch’è or santa, s’alleviò di me ond’era grave, 36 al suo Leon cinquecento cinquanta e trenta fiate venne questo foco a rinfiammarsi sotto la sua pianta. 39 Li antichi miei e io nacqui nel loco dove si truova pria l’ultimo sesto da quei che corre il vostro annual gioco. 42 Basti d’i miei maggiori udirne questo: chi ei si fosser e onde venner quivi, più è tacer che ragionare onesto. 45 Tutti color ch’a quel tempo eran ivi da poter arme tra Marte e ’l Batista, eran il quinto di quei ch’or son vivi. 48 Ma la cittadinanza, ch’è or mista di Campi, di Certaldo e di Fegghine, pura vediesi ne l’ultimo artista. 51 Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine, 54 che averle dentro e sostener lo puzzo del villan d’Aguglion, di quel da Signa, che già per barattare ha l’occhio aguzzo! 57 Se la gente ch’al mondo più traligna non fosse stata a Cesare noverca, ma come madre a suo figlio benigna, 60 tal fatto è fiorentino e cambia e merca, che si sarebbe vòlto a Simifonti, là dove andava l’avolo a la cerca; 63 sariesi Montemurlo ancor de’ Conti; sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone, e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. 66 Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade, come del vostro il cibo che s’appone; 69 Letteratura italiana Einaudi 365 Dante Alighieri - Commedia e cieco toro più avaccio cade che cieco agnello; e molte volte taglia più e meglio una che le cinque spade. 72 Se tu riguardi Luni e Orbisaglia come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, 75 udir come le schiatte si disfanno non ti parrà nova cosa né forte, poscia che le cittadi termine hanno. 78 Le vostre cose tutte hanno lor morte, sì come voi; ma celasi in alcuna che dura molto, e le vite son corte. 81 E come ’l volger del ciel de la luna cuopre e discuopre i liti sanza posa, così fa di Fiorenza la Fortuna: 84 per che non dee parer mirabil cosa ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini onde è la fama nel tempo nascosa. 87 Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, già nel calare, illustri cittadini; 90 e vidi così grandi come antichi, con quel de la Sannella, quel de l’Arca, e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. 93 Sovra la porta ch’al presente è carca di nova fellonia di tanto peso che tosto fia iattura de la barca, 96 erano i Ravignani, ond’è disceso il conte Guido e qualunque del nome de l’alto Bellincione ha poscia preso. 99 Quel de la Pressa sapeva già come regger si vuole, e avea Galigaio dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. 102 Grand’era già la colonna del Vaio, Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. 105 Letteratura italiana Einaudi 366 Dante Alighieri - Commedia Lo ceppo di che nacquero i Calfucci era già grande, e già eran tratti a le curule Sizii e Arrigucci. 108 Oh quali io vidi quei che son disfatti per lor superbia! e le palle de l’oro fiorian Fiorenza in tutt’i suoi gran fatti. 111 Così facieno i padri di coloro che, sempre che la vostra chiesa vaca, si fanno grassi stando a consistoro. 114 L’oltracotata schiatta che s’indraca dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente o ver la borsa, com’agnel si placa, 117 già venìa sù, ma di picciola gente; sì che non piacque ad Ubertin Donato che poi il suocero il fé lor parente. 120 Già era ’l Caponsacco nel mercato disceso giù da Fiesole, e già era buon cittadino Giuda e Infangato. 123 Io dirò cosa incredibile e vera: nel picciol cerchio s’entrava per porta che si nomava da quei de la Pera. 126 Ciascun che de la bella insegna porta del gran barone il cui nome e ’l cui pregio la festa di Tommaso riconforta, 129 da esso ebbe milizia e privilegio; avvegna che con popol si rauni oggi colui che la fascia col fregio. 132 Già eran Gualterotti e Importuni; e ancor saria Borgo più quieto, se di novi vicin fosser digiuni. 135 La casa di che nacque il vostro fleto, per lo giusto disdegno che v’ha morti, e puose fine al vostro viver lieto, 138 era onorata, essa e suoi consorti: o Buondelmonte, quanto mal fuggisti le nozze sue per li altrui conforti! 141 Letteratura italiana Einaudi 367 Dante Alighieri - Commedia Molti sarebber lieti, che son tristi, se Dio t’avesse conceduto ad Ema la prima volta ch’a città venisti. 144 Ma conveniesi a quella pietra scema che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse vittima ne la sua pace postrema. 147 Con queste genti, e con altre con esse, vid’io Fiorenza in sì fatto riposo, che non avea cagione onde piangesse: 150 con queste genti vid’io glorioso e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio non era ad asta mai posto a ritroso, 153 né per division fatto vermiglio». Letteratura italiana Einaudi 368 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVII Qual venne a Climené, per accertarsi di ciò ch’avea incontro a sé udito, quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; 3 tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito. 6 Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca segnata bene de la interna stampa; 9 non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t’ausi a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». 12 «O cara piota mia che sì t’insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi, 15 così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; 18 mentre ch’io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l’anime cura e discendendo nel mondo defunto, 21 dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch’io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; 24 per che la voglia mia saria contenta d’intender qual fortuna mi s’appressa; ché saetta previsa vien più lenta». 27 Così diss’io a quella luce stessa che pria m’avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. 30 Né per ambage, in che la gente folle già s’inviscava pria che fosse anciso l’Agnel di Dio che le peccata tolle, 33 Letteratura italiana Einaudi 369 Dante Alighieri - Commedia ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: 36 «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno: 39 necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende. 42 Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s’apparecchia. 45 Qual si partio Ipolito d’Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene. 48 Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca. 51 La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa. 54 Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo essilio pria saetta. 57 Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. 60 E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle; 63 che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr’a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. 66 Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch’a te fia bello averti fatta parte per te stesso. 69 Letteratura italiana Einaudi 370 Dante Alighieri - Commedia Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che ’n su la scala porta il santo uccello; 72 ch’in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo. 75 Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l’opere sue. 78 Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte; 81 ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d’argento né d’affanni. 84 Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ’ suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. 87 A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici; 90 e portera’ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente. 93 Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie che dietro a pochi giri son nascose. 96 Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, poscia che s’infutura la tua vita vie più là che ’l punir di lor perfidie». 99 Poi che, tacendo, si mostrò spedita l’anima santa di metter la trama in quella tela ch’io le porsi ordita, 102 io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: 105 Letteratura italiana Einaudi 371 Dante Alighieri - Commedia «Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; 108 per che di provedenza è buon ch’io m’armi, sì che, se loco m’è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi. 111 Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro, 114 e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s’io ridico, a molti fia sapor di forte agrume; 117 e s’io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico». 120 La luce in che rideva il mio tesoro ch’io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d’oro; 123 indi rispuose: «Coscienza fusca o de la propria o de l’altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca. 126 Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua vision fa manifesta; e lascia pur grattar dov’è la rogna. 129 Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta. 132 Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d’onor poco argomento. 135 Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l’anime che son di fama note, 138 che l’animo di quel ch’ode, non posa né ferma fede per essempro ch’aia la sua radice incognita e ascosa, 141 né per altro argomento che non paia». Letteratura italiana Einaudi 372 Dante Alighieri - Commedia CANTO XVIII Già si godeva solo del suo verbo quello specchio beato, e io gustava lo mio, temprando col dolce l’acerbo; 3 e quella donna ch’a Dio mi menava disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono presso a colui ch’ogne torto disgrava». 6 Io mi rivolsi a l’amoroso suono del mio conforto; e qual io allor vidi ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: 9 non perch’io pur del mio parlar diffidi, ma per la mente che non può redire sovra sé tanto, s’altri non la guidi. 12 Tanto poss’io di quel punto ridire, che, rimirando lei, lo mio affetto libero fu da ogne altro disire, 15 fin che ’l piacere etterno, che diretto raggiava in Beatrice, dal bel viso mi contentava col secondo aspetto. 18 Vincendo me col lume d’un sorriso, ella mi disse: «Volgiti e ascolta; ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». 21 Come si vede qui alcuna volta l’affetto ne la vista, s’elli è tanto, che da lui sia tutta l’anima tolta, 24 così nel fiammeggiar del folgór santo, a ch’io mi volsi, conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto. 27 El cominciò: «In questa quinta soglia de l’albero che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia, 30 spiriti son beati, che giù, prima che venissero al ciel, fuor di gran voce, sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. 33 Letteratura italiana Einaudi 373 Dante Alighieri - Commedia Però mira ne’ corni de la croce: quello ch’io nomerò, lì farà l’atto che fa in nube il suo foco veloce». 36 Io vidi per la croce un lume tratto dal nomar Iosuè, com’el si feo; né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. 39 E al nome de l’alto Macabeo vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo. 42 Così per Carlo Magno e per Orlando due ne seguì lo mio attento sguardo, com’occhio segue suo falcon volando. 45 Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo e ’l duca Gottifredi la mia vista per quella croce, e Ruberto Guiscardo. 48 Indi, tra l’altre luci mota e mista, mostrommi l’alma che m’avea parlato qual era tra i cantor del cielo artista. 51 Io mi rivolsi dal mio destro lato per vedere in Beatrice il mio dovere, o per parlare o per atto, segnato; 54 e vidi le sue luci tanto mere, tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l’ultimo solere. 57 E come, per sentir più dilettanza bene operando, l’uom di giorno in giorno s’accorge che la sua virtute avanza, 60 sì m’accors’io che ’l mio girare intorno col cielo insieme avea cresciuto l’arco, veggendo quel miracol più addorno. 63 E qual è ’l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando ’l volto suo si discarchi di vergogna il carco, 66 tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, per lo candor de la temprata stella sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. 69 Letteratura italiana Einaudi 374 Dante Alighieri - Commedia Io vidi in quella giovial facella lo sfavillar de l’amor che lì era, segnare a li occhi miei nostra favella. 72 E come augelli surti di rivera, quasi congratulando a lor pasture, fanno di sé or tonda or altra schiera, 75 sì dentro ai lumi sante creature volitando cantavano, e faciensi or D, or I, or L in sue figure. 78 Prima, cantando, a sua nota moviensi; poi, diventando l’un di questi segni, un poco s’arrestavano e taciensi. 81 O diva Pegasea che li ’ngegni fai gloriosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ’ regni, 84 illustrami di te, sì ch’io rilevi le lor figure com’io l’ho concette: paia tua possa in questi versi brevi! 87 Mostrarsi dunque in cinque volte sette vocali e consonanti; e io notai le parti sì, come mi parver dette. 90 ‘ DILIGITE IUSTITIAM’, primai fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; ‘ QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. 93 Poscia ne l’emme del vocabol quinto rimasero ordinate; sì che Giove pareva argento lì d’oro distinto. 96 E vidi scendere altre luci dove era il colmo de l’emme, e lì quetarsi cantando, credo, il ben ch’a sé le move. 99 Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi surgono innumerabili faville, onde li stolti sogliono agurarsi, 102 resurger parver quindi più di mille luci e salir, qual assai e qual poco, sì come ’l sol che l’accende sortille; 105 Letteratura italiana Einaudi 375 Dante Alighieri - Commedia e quietata ciascuna in suo loco, la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi rappresentare a quel distinto foco. 108 Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; ma esso guida, e da lui si rammenta quella virtù ch’è forma per li nidi. 111 L’altra beatitudo, che contenta pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, con poco moto seguitò la ’mprenta. 114 O dolce stella, quali e quante gemme mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme! 117 Per ch’io prego la mente in che s’inizia tuo moto e tua virtute, che rimiri ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; 120 sì ch’un’altra fiata omai s’adiri del comperare e vender dentro al templo che si murò di segni e di martìri. 123 O milizia del ciel cu’ io contemplo, adora per color che sono in terra tutti sviati dietro al malo essemplo! 126 Già si solea con le spade far guerra; ma or si fa togliendo or qui or quivi lo pan che ’l pio Padre a nessun serra. 129 Ma tu che sol per cancellare scrivi, pensa che Pietro e Paulo, che moriro per la vigna che guasti, ancor son vivi. 132 Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro sì a colui che volle viver solo e che per salti fu tratto al martiro, 135 ch’io non conosco il pescator né Polo». Letteratura italiana Einaudi 376 Dante Alighieri - Commedia CANTO XIX Parea dinanzi a me con l’ali aperte la bella image che nel dolce frui liete facevan l’anime conserte; 3 parea ciascuna rubinetto in cui raggio di sole ardesse sì acceso, che ne’ miei occhi rifrangesse lui. 6 E quel che mi convien ritrar testeso, non portò voce mai, né scrisse incostro, né fu per fantasia già mai compreso; 9 ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, e sonar ne la voce e «io» e «mio», quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. 12 E cominciò: «Per esser giusto e pio son io qui essaltato a quella gloria che non si lascia vincere a disio; 15 e in terra lasciai la mia memoria sì fatta, che le genti lì malvage commendan lei, ma non seguon la storia». 18 Così un sol calor di molte brage si fa sentir, come di molti amori usciva solo un suon di quella image. 21 Ond’io appresso: «O perpetui fiori de l’etterna letizia, che pur uno parer mi fate tutti vostri odori, 24 solvetemi, spirando, il gran digiuno che lungamente m’ha tenuto in fame, non trovandoli in terra cibo alcuno. 27 Ben so io che, se ’n cielo altro reame la divina giustizia fa suo specchio, che ’l vostro non l’apprende con velame. 30 Sapete come attento io m’apparecchio ad ascoltar; sapete qual è quello dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». 33 Letteratura italiana Einaudi 377 Dante Alighieri - Commedia Quasi falcone ch’esce del cappello, move la testa e con l’ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, 36 vid’io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi là sù gaude. 39 Poi cominciò: «Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto, 42 non poté suo valor sì fare impresso in tutto l’universo, che ’l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. 45 E ciò fa certo che ’l primo superbo, che fu la somma d’ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo; 48 e quinci appar ch’ogne minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine e sé con sé misura. 51 Dunque vostra veduta, che convene esser alcun de’ raggi de la mente di che tutte le cose son ripiene, 54 non pò da sua natura esser possente tanto, che suo principio discerna molto di là da quel che l’è parvente. 57 Però ne la giustizia sempiterna la vista che riceve il vostro mondo, com’occhio per lo mare, entro s’interna; 60 che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l’esser profondo. 63 Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenebra od ombra de la carne o suo veleno. 66 Assai t’è mo aperta la latebra che t’ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra; 69 Letteratura italiana Einaudi 378 Dante Alighieri - Commedia ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva de l’Indo, e quivi non è chi ragioni di Cristo né chi legga né chi scriva; 72 e tutti suoi voleri e atti buoni sono, quanto ragione umana vede, sanza peccato in vita o in sermoni. 75 Muore non battezzato e sanza fede: ov’è questa giustizia che ’l condanna? ov’è la colpa sua, se ei non crede?” 78 Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d’una spanna? 81 Certo a colui che meco s’assottiglia, se la Scrittura sovra voi non fosse, da dubitar sarebbe a maraviglia. 84 Oh terreni animali! oh menti grosse! La prima volontà, ch’è da sé buona, da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. 87 Cotanto è giusto quanto a lei consuona: nullo creato bene a sé la tira, ma essa, radiando, lui cagiona». 90 Quale sovresso il nido si rigira poi c’ha pasciuti la cicogna i figli, e come quel ch’è pasto la rimira; 93 cotal si fece, e sì levai i cigli, la benedetta imagine, che l’ali movea sospinte da tanti consigli. 96 Roteando cantava, e dicea: «Quali son le mie note a te, che non le ’ntendi, tal è il giudicio etterno a voi mortali». 99 Poi si quetaro quei lucenti incendi de lo Spirito Santo ancor nel segno che fé i Romani al mondo reverendi, 102 esso ricominciò: «A questo regno non salì mai chi non credette ’n Cristo, né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. 105 Letteratura italiana Einaudi 379 Dante Alighieri - Commedia Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo; 108 e tai Cristian dannerà l’Etiòpe, quando si partiranno i due collegi, l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. 111 Che poran dir li Perse a’ vostri regi, come vedranno quel volume aperto nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 114 Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, quella che tosto moverà la penna, per che ’l regno di Praga fia diserto. 117 Lì si vedrà il duol che sovra Senna induce, falseggiando la moneta, quel che morrà di colpo di cotenna. 120 Lì si vedrà la superbia ch’asseta, che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, sì che non può soffrir dentro a sua meta. 123 Vedrassi la lussuria e ’l viver molle di quel di Spagna e di quel di Boemme, che mai valor non conobbe né volle. 126 Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme segnata con un i la sua bontate, quando ’l contrario segnerà un emme. 129 Vedrassi l’avarizia e la viltate di quei che guarda l’isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate; 132 e a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco. 135 E parranno a ciascun l’opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze. 138 E quel di Portogallo e di Norvegia lì si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia. 141 Letteratura italiana Einaudi 380 Dante Alighieri - Commedia Oh beata Ungheria, se non si lascia più malmenare! e beata Navarra, se s’armasse del monte che la fascia! 144 E creder de’ ciascun che già, per arra di questo, Niccosia e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra, 147 che dal fianco de l’altre non si scosta». Letteratura italiana Einaudi 381 Dante Alighieri - Commedia CANTO XX Quando colui che tutto ’l mondo alluma de l’emisperio nostro sì discende, che ’l giorno d’ogne parte si consuma, 3 lo ciel, che sol di lui prima s’accende, subitamente si rifà parvente per molte luci, in che una risplende; 6 e questo atto del ciel mi venne a mente, come ’l segno del mondo e de’ suoi duci nel benedetto rostro fu tacente; 9 però che tutte quelle vive luci, vie più lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci. 12 O dolce amor che di riso t’ammanti, quanto parevi ardente in que’ flailli, ch’avieno spirto sol di pensier santi! 15 Poscia che i cari e lucidi lapilli ond’io vidi ingemmato il sesto lume puoser silenzio a li angelici squilli, 18 udir mi parve un mormorar di fiume che scende chiaro giù di pietra in pietra, mostrando l’ubertà del suo cacume. 21 E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e sì com’al pertugio de la sampogna vento che penètra, 24 così, rimosso d’aspettare indugio, quel mormorar de l’aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio. 27 Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov’io le scrissi. 30 «La parte in me che vede e pate il sole ne l’aguglie mortali», incominciommi, «or fisamente riguardar si vole, 33 Letteratura italiana Einaudi 382 Dante Alighieri - Commedia perché d’i fuochi ond’io figura fommi, quelli onde l’occhio in testa mi scintilla, e’ di tutti lor gradi son li sommi. 36 Colui che luce in mezzo per pupilla, fu il cantor de lo Spirito Santo, che l’arca traslatò di villa in villa: 39 ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch’è altrettanto. 42 Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, colui che più al becco mi s’accosta, la vedovella consolò del figlio: 45 ora conosce quanto caro costa non seguir Cristo, per l’esperienza di questa dolce vita e de l’opposta. 48 E quel che segue in la circunferenza di che ragiono, per l’arco superno, morte indugiò per vera penitenza: 51 ora conosce che ’l giudicio etterno non si trasmuta, quando degno preco fa crastino là giù de l’odierno. 54 L’altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che fé mal frutto, per cedere al pastor si fece greco: 57 ora conosce come il mal dedutto dal suo bene operar non li è nocivo, avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. 60 E quel che vedi ne l’arco declivo, Guiglielmo fu, cui quella terra plora che piagne Carlo e Federigo vivo: 63 ora conosce come s’innamora lo ciel del giusto rege, e al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora. 66 Chi crederebbe giù nel mondo errante, che Rifeo Troiano in questo tondo fosse la quinta de le luci sante? 69 Letteratura italiana Einaudi 383 Dante Alighieri - Commedia Ora conosce assai di quel che ’l mondo veder non può de la divina grazia, ben che sua vista non discerna il fondo». 72 Quale allodetta che ’n aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta de l’ultima dolcezza che la sazia, 75 tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta de l’etterno piacere, al cui disio ciascuna cosa qual ell’è diventa. 78 E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio lì quasi vetro a lo color ch’el veste, tempo aspettar tacendo non patio, 81 ma de la bocca, «Che cose son queste?», mi pinse con la forza del suo peso: per ch’io di coruscar vidi gran feste. 84 Poi appresso, con l’occhio più acceso, lo benedetto segno mi rispuose per non tenermi in ammirar sospeso: 87 «Io veggio che tu credi queste cose perch’io le dico, ma non vedi come; sì che, se son credute, sono ascose. 90 Fai come quei che la cosa per nome apprende ben, ma la sua quiditate veder non può se altri non la prome. 93 Regnum celorum violenza pate da caldo amore e da viva speranza, che vince la divina volontate: 96 non a guisa che l’omo a l’om sobranza, ma vince lei perché vuole esser vinta, e, vinta, vince con sua beninanza. 99 La prima vita del ciglio e la quinta ti fa maravigliar, perché ne vedi la region de li angeli dipinta. 102 D’i corpi suoi non uscir, come credi, Gentili, ma Cristiani, in ferma fede quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. 105 Letteratura italiana Einaudi 384 Dante Alighieri - Commedia Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede già mai a buon voler, tornò a l’ossa; e ciò di viva spene fu mercede: 108 di viva spene, che mise la possa ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, sì che potesse sua voglia esser mossa. 111 L’anima gloriosa onde si parla, tornata ne la carne, in che fu poco, credette in lui che potea aiutarla; 114 e credendo s’accese in tanto foco di vero amor, ch’a la morte seconda fu degna di venire a questo gioco. 117 L’altra, per grazia che da sì profonda fontana stilla, che mai creatura non pinse l’occhio infino a la prima onda, 120 tutto suo amor là giù pose a drittura: per che, di grazia in grazia, Dio li aperse l’occhio a la nostra redenzion futura; 123 ond’ei credette in quella, e non sofferse da indi il puzzo più del paganesmo; e riprendiene le genti perverse. 126 Quelle tre donne li fur per battesmo che tu vedesti da la destra rota, dinanzi al battezzar più d’un millesmo. 129 O predestinazion, quanto remota è la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota! 132 E voi, mortali, tenetevi stretti a giudicar; ché noi, che Dio vedemo, non conosciamo ancor tutti li eletti; 135 ed ènne dolce così fatto scemo, perché il ben nostro in questo ben s’affina, che quel che vole Iddio, e noi volemo». 138 Così da quella imagine divina, per farmi chiara la mia corta vista, data mi fu soave medicina. 141 Letteratura italiana Einaudi 385 Dante Alighieri - Commedia E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che più di piacer lo canto acquista, 144 sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda ch’io vidi le due luci benedette, pur come batter d’occhi si concorda, 147 con le parole mover le fiammette. Letteratura italiana Einaudi 386 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXI Già eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l’animo con essi, e da ogne altro intento s’era tolto. 3 E quella non ridea; ma «S’io ridessi», mi cominciò, «tu ti faresti quale fu Semelè quando di cener fessi; 6 ché la bellezza mia, che per le scale de l’etterno palazzo più s’accende, com’hai veduto, quanto più si sale, 9 se non si temperasse, tanto splende, che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore, sarebbe fronda che trono scoscende. 12 Noi sem levati al settimo splendore, che sotto ’l petto del Leone ardente raggia mo misto giù del suo valore. 15 Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, e fa di quelli specchi a la figura che ’n questo specchio ti sarà parvente». 18 Qual savesse qual era la pastura del viso mio ne l’aspetto beato quand’io mi trasmutai ad altra cura, 21 conoscerebbe quanto m’era a grato ubidire a la mia celeste scorta, contrapesando l’un con l’altro lato. 24 Dentro al cristallo che ’l vocabol porta, cerchiando il mondo, del suo caro duce sotto cui giacque ogne malizia morta, 27 di color d’oro in che raggio traluce vid’io uno scaleo eretto in suso tanto, che nol seguiva la mia luce. 30 Vidi anche per li gradi scender giuso tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume che par nel ciel, quindi fosse diffuso. 33 Letteratura italiana Einaudi 387 Dante Alighieri - Commedia E come, per lo natural costume, le pole insieme, al cominciar del giorno, si movono a scaldar le fredde piume; 36 poi altre vanno via sanza ritorno, altre rivolgon sé onde son mosse, e altre roteando fan soggiorno; 39 tal modo parve me che quivi fosse in quello sfavillar che ’nsieme venne, sì come in certo grado si percosse. 42 E quel che presso più ci si ritenne, si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando: ‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. 45 Ma quella ond’io aspetto il come e ’l quando del dire e del tacer, si sta; ond’io, contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. 48 Per ch’ella, che vedea il tacer mio nel veder di colui che tutto vede, mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». 51 E io incominciai: «La mia mercede non mi fa degno de la tua risposta; ma per colei che ’l chieder mi concede, 54 vita beata che ti stai nascosta dentro a la tua letizia, fammi nota la cagion che sì presso mi t’ha posta; 57 e di’ perché si tace in questa rota la dolce sinfonia di paradiso, che giù per l’altre suona sì divota». 60 «Tu hai l’udir mortal sì come il viso», rispuose a me; «onde qui non si canta per quel che Beatrice non ha riso. 63 Giù per li gradi de la scala santa discesi tanto sol per farti festa col dire e con la luce che mi ammanta; 66 né più amor mi fece esser più presta; ché più e tanto amor quinci sù ferve, sì come il fiammeggiar ti manifesta. 69 Letteratura italiana Einaudi 388 Dante Alighieri - Commedia Ma l’alta carità, che ci fa serve pronte al consiglio che ’l mondo governa, sorteggia qui sì come tu osserve». 72 «Io veggio ben», diss’io, «sacra lucerna, come libero amore in questa corte basta a seguir la provedenza etterna; 75 ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, perché predestinata fosti sola a questo officio tra le tue consorte». 78 Né venni prima a l’ultima parola, che del suo mezzo fece il lume centro, girando sé come veloce mola; 81 poi rispuose l’amor che v’era dentro: «Luce divina sopra me s’appunta, penetrando per questa in ch’io m’inventro, 84 la cui virtù, col mio veder congiunta, mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio la somma essenza de la quale è munta. 87 Quinci vien l’allegrezza ond’io fiammeggio; per ch’a la vista mia, quant’ella è chiara, la chiarità de la fiamma pareggio. 90 Ma quell’alma nel ciel che più si schiara, quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, a la dimanda tua non satisfara, 93 però che sì s’innoltra ne lo abisso de l’etterno statuto quel che chiedi, che da ogne creata vista è scisso. 96 E al mondo mortal, quando tu riedi, questo rapporta, sì che non presumma a tanto segno più mover li piedi. 99 La mente, che qui luce, in terra fumma; onde riguarda come può là giùe quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». 102 Sì mi prescrisser le parole sue, ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi a dimandarla umilmente chi fue. 105 Letteratura italiana Einaudi 389 Dante Alighieri - Commedia «Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria, tanto che ’ troni assai suonan più bassi, 108 e fanno un gibbo che si chiama Catria, di sotto al quale è consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria». 111 Così ricominciommi il terzo sermo; e poi, continuando, disse: «Quivi al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, 114 che pur con cibi di liquor d’ulivi lievemente passava caldi e geli, contento ne’ pensier contemplativi. 117 Render solea quel chiostro a questi cieli fertilemente; e ora è fatto vano, sì che tosto convien che si riveli. 120 In quel loco fu’ io Pietro Damiano, e Pietro Peccator fu’ ne la casa di Nostra Donna in sul lito adriano. 123 Poca vita mortal m’era rimasa, quando fui chiesto e tratto a quel cappello, che pur di male in peggio si travasa. 126 Venne Cefàs e venne il gran vasello de lo Spirito Santo, magri e scalzi, prendendo il cibo da qualunque ostello. 129 Or voglion quinci e quindi chi rincalzi li moderni pastori e chi li meni, tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. 132 Cuopron d’i manti loro i palafreni, sì che due bestie van sott’una pelle: oh pazienza che tanto sostieni!». 135 A questa voce vid’io più fiammelle di grado in grado scendere e girarsi, e ogne giro le facea più belle. 138 Dintorno a questa vennero e fermarsi, e fero un grido di sì alto suono, che non potrebbe qui assomigliarsi; 141 né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. Letteratura italiana Einaudi 390 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXII Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida; 3 e quella, come madre che soccorre sùbito al figlio palido e anelo con la sua voce, che ’l suol ben disporre, 6 mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo? e non sai tu che ’l cielo è tutto santo, e ciò che ci si fa vien da buon zelo? 9 Come t’avrebbe trasmutato il canto, e io ridendo, mo pensar lo puoi, poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; 12 nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi, già ti sarebbe nota la vendetta che tu vedrai innanzi che tu muoi. 15 La spada di qua sù non taglia in fretta né tardo, ma’ ch’al parer di colui che disiando o temendo l’aspetta. 18 Ma rivolgiti omai inverso altrui; ch’assai illustri spiriti vedrai, se com’io dico l’aspetto redui». 21 Come a lei piacque, li occhi ritornai, e vidi cento sperule che ’nsieme più s’abbellivan con mutui rai. 24 Io stava come quei che ’n sé repreme la punta del disio, e non s’attenta di domandar, sì del troppo si teme; 27 e la maggiore e la più luculenta di quelle margherite innanzi fessi, per far di sé la mia voglia contenta. 30 Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi com’io la carità che tra noi arde, li tuoi concetti sarebbero espressi. 33 Letteratura italiana Einaudi 391 Dante Alighieri - Commedia Ma perché tu, aspettando, non tarde a l’alto fine, io ti farò risposta pur al pensier, da che sì ti riguarde. 36 Quel monte a cui Cassino è ne la costa fu frequentato già in su la cima da la gente ingannata e mal disposta; 39 e quel son io che sù vi portai prima lo nome di colui che ’n terra addusse la verità che tanto ci soblima; 42 e tanta grazia sopra me relusse, ch’io ritrassi le ville circunstanti da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. 45 Questi altri fuochi tutti contemplanti uomini fuoro, accesi di quel caldo che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. 48 Qui è Maccario, qui è Romoaldo, qui son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo». 51 E io a lui: «L’affetto che dimostri meco parlando, e la buona sembianza ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, 54 così m’ha dilatata mia fidanza, come ’l sol fa la rosa quando aperta tanto divien quant’ell’ha di possanza. 57 Però ti priego, e tu, padre, m’accerta s’io posso prender tanta grazia, ch’io ti veggia con imagine scoverta». 60 Ond’elli: «Frate, il tuo alto disio s’adempierà in su l’ultima spera, ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. 63 Ivi è perfetta, matura e intera ciascuna disianza; in quella sola è ogne parte là ove sempr’era, 66 perché non è in loco e non s’impola; e nostra scala infino ad essa varca, onde così dal viso ti s’invola. 69 Letteratura italiana Einaudi 392 Dante Alighieri - Commedia Infin là sù la vide il patriarca Iacobbe porger la superna parte, quando li apparve d’angeli sì carca. 72 Ma, per salirla, mo nessun diparte da terra i piedi, e la regola mia rimasa è per danno de le carte. 75 Le mura che solieno esser badia fatte sono spelonche, e le cocolle sacca son piene di farina ria. 78 Ma grave usura tanto non si tolle contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto che fa il cor de’ monaci sì folle; 81 ché quantunque la Chiesa guarda, tutto è de la gente che per Dio dimanda; non di parenti né d’altro più brutto. 84 La carne d’i mortali è tanto blanda, che giù non basta buon cominciamento dal nascer de la quercia al far la ghianda. 87 Pier cominciò sanz’oro e sanz’argento, e io con orazione e con digiuno, e Francesco umilmente il suo convento; 90 e se guardi ’l principio di ciascuno, poscia riguardi là dov’è trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno. 93 Veramente Iordan vòlto retrorso più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui ’l soccorso». 96 Così mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e ’l collegio si strinse; poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. 99 La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, sì sua virtù la mia natura vinse; 102 né mai qua giù dove si monta e cala naturalmente, fu sì ratto moto ch’agguagliar si potesse a la mia ala. 105 Letteratura italiana Einaudi 393 Dante Alighieri - Commedia S’io torni mai, lettore, a quel divoto triunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e ’l petto mi percuoto, 108 tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant’io vidi ’l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso. 111 O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno, 114 con voi nasceva e s’ascondeva vosco quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, quand’io senti’ di prima l’aere tosco; 117 e poi, quando mi fu grazia largita d’entrar ne l’alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita. 120 A voi divotamente ora sospira l’anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a sé la tira. 123 «Tu se’ sì presso a l’ultima salute», cominciò Beatrice, «che tu dei aver le luci tue chiare e acute; 126 e però, prima che tu più t’inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei; 129 sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo s’appresenti a la turba triunfante che lieta vien per questo etera tondo». 132 Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; 135 e quel consiglio per migliore approbo che l’ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo. 138 Vidi la figlia di Latona incensa sanza quell’ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa. 141 Letteratura italiana Einaudi 394 Dante Alighieri - Commedia L’aspetto del tuo nato, Iperione, quivi sostenni, e vidi com’si move circa e vicino a lui Maia e Dione. 144 Quindi m’apparve il temperar di Giove tra ’l padre e ’l figlio: e quindi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove; 147 e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo. 150 L’aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom’io con li etterni Gemelli, tutta m’apparve da’ colli a le foci; 153 poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. Letteratura italiana Einaudi 395 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIII Come l’augello, intra l’amate fronde, posato al nido de’ suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, 3 che, per veder li aspetti disiati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, 6 previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l’alba nasca; 9 così la donna mia stava eretta e attenta, rivolta inver’ la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: 12 sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disiando altro vorria, e sperando s’appaga. 15 Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; 18 e Beatrice disse: «Ecco le schiere del triunfo di Cristo e tutto ’l frutto ricolto del girar di queste spere!». 21 Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia sì pieni, che passarmen convien sanza costrutto. 24 Quale ne’ plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni, 27 vid’i’ sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l’accendea, come fa ’l nostro le viste superne; 30 e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea. 33 Letteratura italiana Einaudi 396 Dante Alighieri - Commedia Oh Beatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: «Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara. 36 Quivi è la sapienza e la possanza ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra, onde fu già sì lunga disianza». 39 Come foco di nube si diserra per dilatarsi sì che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s’atterra, 42 la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di sé stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape. 45 «Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente se’ fatto a sostener lo riso mio». 48 Io era come quei che si risente di visione oblita e che s’ingegna indarno di ridurlasi a la mente, 51 quand’io udi’ questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che ’l preterito rassegna. 54 Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnia con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue, 57 per aiutarmi, al millesmo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero; 60 e così, figurando il paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso. 63 Ma chi pensasse il ponderoso tema e l’omero mortal che se ne carca, nol biasmerebbe se sott’esso trema: 66 non è pareggio da picciola barca quel che fendendo va l’ardita prora, né da nocchier ch’a sé medesmo parca. 69 Letteratura italiana Einaudi 397 Dante Alighieri - Commedia «Perché la faccia mia sì t’innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo s’infiora? 72 Quivi è la rosa in che ’l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino». 75 Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de’ debili cigli. 78 Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, già prato di fiori vider, coverti d’ombra, li occhi miei; 81 vid’io così più turbe di splendori, folgorate di sù da raggi ardenti, sanza veder principio di folgóri. 84 O benigna vertù che sì li ’mprenti, sù t’essaltasti, per largirmi loco a li occhi lì che non t’eran possenti. 87 Il nome del bel fior ch’io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l’animo ad avvisar lo maggior foco; 90 e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che là sù vince come qua giù vinse, 93 per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella. 96 Qualunque melodia più dolce suona qua giù e più a sé l’anima tira, parrebbe nube che squarciata tona, 99 comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. 102 «Io sono amore angelico, che giro l’alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro disiro; 105 Letteratura italiana Einaudi 398 Dante Alighieri - Commedia e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera suprema perché lì entre». 108 Così la circulata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria. 111 Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che più ferve e più s’avviva ne l’alito di Dio e nei costumi, 114 avea sopra di noi l’interna riva tanto distante, che la sua parvenza, là dov’io era, ancor non appariva: 117 però non ebber li occhi miei potenza di seguitar la coronata fiamma che si levò appresso sua semenza. 120 E come fantolin che ’nver’ la mamma tende le braccia, poi che ’l latte prese, per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; 123 ciascun di quei candori in sù si stese con la sua cima, sì che l’alto affetto ch’elli avieno a Maria mi fu palese. 126 Indi rimaser lì nel mio cospetto, ‘ Regina celi’ cantando sì dolce, che mai da me non si partì ’l diletto. 129 Oh quanta è l’ubertà che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giù buone bobolce! 132 Quivi si vive e gode del tesoro che s’acquistò piangendo ne lo essilio di Babillòn, ove si lasciò l’oro. 135 Quivi triunfa, sotto l’alto Filio di Dio e di Maria, di sua vittoria, e con l’antico e col novo concilio, 138 colui che tien le chiavi di tal gloria. Letteratura italiana Einaudi 399 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIV «O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena, 3 se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba, 6 ponete mente a l’affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». 9 Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, a volte, a guisa di comete. 12 E come cerchi in tempra d’oriuoli si giran sì, che ’l primo a chi pon mente quieto pare, e l’ultimo che voli; 15 così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente. 18 Di quella ch’io notai di più carezza vid’io uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; 21 e tre fiate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. 24 Però salta la penna e non lo scrivo: ché l’imagine nostra a cotai pieghe, non che ’l parlare, è troppo color vivo. 27 «O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe». 30 Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com’i’ ho detto. 33 Letteratura italiana Einaudi 400 Dante Alighieri - Commedia Ed ella: «O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, 36 tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi. 39 S’elli ama bene e bene spera e crede, non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi dov’ogne cosa dipinta si vede; 42 ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a gloriarla, di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». 45 Sì come il baccialier s’arma e non parla fin che ’l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, 48 così m’armava io d’ogne ragione mentre ch’ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. 51 «Di’, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond’io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; 54 poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch’io spandessi l’acqua di fuor del mio interno fonte. 57 «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», comincia’ io, «da l’alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi». 60 E seguitai: «Come ’l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, 63 fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate». 66 Allora udi’: «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti». 69 Letteratura italiana Einaudi 401 Dante Alighieri - Commedia E io appresso: «Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, 72 che l’esser loro v’è in sola credenza, sopra la qual si fonda l’alta spene; e però di sustanza prende intenza. 75 E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz’avere altra vista: però intenza d’argomento tene». 78 Allora udi’: «Se quantunque s’acquista giù per dottrina, fosse così ’nteso, non lì avria loco ingegno di sofista». 81 Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d’esta moneta già la lega e ’l peso; 84 ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s’inforsa». 87 Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, 90 onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch’è diffusa in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, 93 è silogismo che la m’ha conchiusa acutamente sì, che ’nverso d’ella ogne dimostrazion mi pare ottusa». 96 Io udi’ poi: «L’antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l’hai tu per divina favella?». 99 E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, son l’opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude». 102 Risposto fummi: «Di’, chi t’assicura che quell’opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura». 105 Letteratura italiana Einaudi 402 Dante Alighieri - Commedia «Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», diss’io, «sanza miracoli, quest’uno è tal, che li altri non sono il centesmo: 108 ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno». 111 Finito questo, l’alta corte santa risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ ne la melode che là sù si canta. 114 E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m’avea, che a l’ultime fronde appressavamo, 117 ricominciò: «La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t’aperse infino a qui come aprir si dovea, 120 sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; ma or conviene espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s’offerse». 123 «O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver’ lo sepulcro più giovani piedi», 126 comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti. 129 E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, non moto, con amore e con disio; 132 e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove 135 per Moisè, per profeti e per salmi, per l’Evangelio e per voi che scriveste poi che l’ardente Spirto vi fé almi; 138 e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. 141 Letteratura italiana Einaudi 403 Dante Alighieri - Commedia De la profonda condizion divina ch’io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l’evangelica dottrina. 144 Quest’è ’l principio, quest’è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla». 147 Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch’el si tace; 150 così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com’io tacqui, l’appostolico lume al cui comando 153 io avea detto: sì nel dir li piacqui! Letteratura italiana Einaudi 404 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXV Se mai continga che ’l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m’ha fatto per molti anni macro, 3 vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov’io dormi’ agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; 6 con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò ’l cappello; 9 però che ne la fede, che fa conte l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte. 12 Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond’uscì la primizia che lasciò Cristo d’i vicari suoi; 15 e la mia donna, piena di letizia, mi disse: «Mira, mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia». 18 Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l’uno a l’altro pande, girando e mormorando, l’affezione; 21 così vid’io l’un da l’altro grande principe glorioso essere accolto, laudando il cibo che là sù li prande. 24 Ma poi che ’l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s’affisse, ignito sì che vincea ’l mio volto. 27 Ridendo allora Beatrice disse: «Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse, 30 fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre fé più carezza». 33 Letteratura italiana Einaudi 405 Dante Alighieri - Commedia «Leva la testa e fa che t’assicuri: che ciò che vien qua sù del mortal mondo, convien ch’ai nostri raggi si maturi». 36 Questo conforto del foco secondo mi venne; ond’io levai li occhi a’ monti che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. 39 «Poi che per grazia vuol che tu t’affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l’aula più secreta co’ suoi conti, 42 sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte, 45 di’ quel ch’ell’è, di’ come se ne ’nfiora la mente tua, e dì onde a te venne». Così seguì ’l secondo lume ancora. 48 E quella pia che guidò le penne de le mie ali a così alto volo, a la risposta così mi prevenne: 51 «La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com’è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: 54 però li è conceduto che d’Egitto vegna in Ierusalemme per vedere, anzi che ’l militar li sia prescritto. 57 Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch’ei rapporti quanto questa virtù t’è in piacere, 60 a lui lasc’io, ché non li saran forti né di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti». 63 Come discente ch’a dottor seconda pronto e libente in quel ch’elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda, 66 «Spene», diss’io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. 69 Letteratura italiana Einaudi 406 Dante Alighieri - Commedia Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. 72 ‘Sperino in te’, ne la sua teodìa dice, ‘color che sanno il nome tuo’: e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? 75 Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo». 78 Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno. 81 Indi spirò: «L’amore ond’io avvampo ancor ver’ la virtù che mi seguette infin la palma e a l’uscir del campo, 84 vuol ch’io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti ’mpromette». 87 E io: «Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. 90 Dice Isaia che ciascuna vestita ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita; 93 e ’l tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta». 96 E prima, appresso al fin d’este parole, ‘ Sperent in te’ di sopr’a noi s’udì; a che rispuoser tutte le carole. 99 Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. 102 E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, 105 Letteratura italiana Einaudi 407 Dante Alighieri - Commedia così vid’io lo schiarato splendore venire a’ due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore. 108 Misesi lì nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l’aspetto, pur come sposa tacita e immota. 111 «Questi è colui che giacque sopra ’l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto». 114 La donna mia così; né però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue. 117 Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; 120 tal mi fec’io a quell’ultimo foco mentre che detto fu: «Perché t’abbagli per veder cosa che qui non ha loco? 123 In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che ’l numero nostro con l’etterno proposito s’agguagli. 126 Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro». 129 A questa voce l’infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, 132 sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l’acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d’un fischio. 135 Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi 138 presso di lei, e nel mondo felice! Letteratura italiana Einaudi 408 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVI Mentr’io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento, 3 dicendo: «Intanto che tu ti risense de la vista che hai in me consunta, ben è che ragionando la compense. 6 Comincia dunque; e di’ ove s’appunta l’anima tua, e fa’ ragion che sia la vista in te smarrita e non defunta: 9 perché la donna che per questa dia region ti conduce, ha ne lo sguardo la virtù ch’ebbe la man d’Anania». 12 Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quand’ella entrò col foco ond’io sempr’ardo. 15 Lo ben che fa contenta questa corte, Alfa e O è di quanta scrittura mi legge Amore o lievemente o forte». 18 Quella medesma voce che paura tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura; 21 e disse: «Certo a più angusto vaglio ti conviene schiarar: dicer convienti chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». 24 E io: «Per filosofici argomenti e per autorità che quinci scende cotale amor convien che in me si ’mprenti: 27 ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende, così accende amore, e tanto maggio quanto più di bontate in sé comprende. 30 Dunque a l’essenza ov’è tanto avvantaggio, che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è ch’un lume di suo raggio, 33 Letteratura italiana Einaudi 409 Dante Alighieri - Commedia più che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova. 36 Tal vero a l’intelletto mio sterne colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne. 39 Sternel la voce del verace autore, che dice a Moisè, di sé parlando: ‘Io ti farò vedere ogne valore’. 42 Sternilmi tu ancora, incominciando l’alto preconio che grida l’arcano di qui là giù sovra ogne altro bando». 45 E io udi’: «Per intelletto umano e per autoritadi a lui concorde d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. 48 Ma di’ ancor se tu senti altre corde tirarti verso lui, sì che tu suone con quanti denti questo amor ti morde». 51 Non fu latente la santa intenzione de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi dove volea menar mia professione. 54 Però ricominciai: «Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi: 57 ché l’essere del mondo e l’esser mio, la morte ch’el sostenne perch’io viva, e quel che spera ogne fedel com’io, 60 con la predetta conoscenza viva, tratto m’hanno del mar de l’amor torto, e del diritto m’han posto a la riva. 63 Le fronde onde s’infronda tutto l’orto de l’ortolano etterno, am’io cotanto quanto da lui a lor di bene è porto». 66 Sì com’io tacqui, un dolcissimo canto risonò per lo cielo, e la mia donna dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». 69 Letteratura italiana Einaudi 410 Dante Alighieri - Commedia E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna, 72 e lo svegliato ciò che vede aborre, sì nescia è la sùbita vigilia fin che la stimativa non soccorre; 75 così de li occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio d’i suoi, che rifulgea da più di mille milia: 78 onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. 81 E la mia donna: «Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l’anima prima che la prima virtù creasse mai». 84 Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la soblima, 87 fec’io in tanto in quant’ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond’io ardeva. 90 E cominciai: «O pomo che maturo solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, 93 divoto quanto posso a te supplìco perché mi parli: tu vedi mia voglia, e per udirti tosto non la dico». 96 Talvolta un animal coverto broglia, sì che l’affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; 99 e similmente l’anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant’ella a compiacermi venìa gaia. 102 Indi spirò: «Sanz’essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t’è più certa; 105 Letteratura italiana Einaudi 411 Dante Alighieri - Commedia perch’io la veggio nel verace speglio che fa di sé pareglio a l’altre cose, e nulla face lui di sé pareglio. 108 Tu vuogli udir quant’è che Dio mi puose ne l’eccelso giardino, ove costei a così lunga scala ti dispuose, 111 e quanto fu diletto a li occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l’idioma ch’usai e che fei. 114 Or, figluol mio, non il gustar del legno fu per sé la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno. 117 Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio; 120 e vidi lui tornare a tutt’i lumi de la sua strada novecento trenta fiate, mentre ch’io in terra fu’ mi. 123 La lingua ch’io parlai fu tutta spenta innanzi che a l’ovra inconsummabile fosse la gente di Nembròt attenta: 126 ché nullo effetto mai razionabile, per lo piacere uman che rinovella seguendo il cielo, sempre fu durabile. 129 Opera naturale è ch’uom favella; ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v’abbella. 132 Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, I s’appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia; 135 e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l’uso d’i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene. 138 Nel monte che si leva più da l’onda, fu’ io, con vita pura e disonesta, da la prim’ora a quella che seconda, 141 come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». Letteratura italiana Einaudi 412 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVII ‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, sì che m’inebriava il dolce canto. 3 Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso de l’universo; per che mia ebbrezza intrava per l’udire e per lo viso. 6 Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d’amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! 9 Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, 12 e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. 15 La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, 18 quand’io udi’: «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend’io, vedrai trascolorar tutti costoro. 21 Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, 24 fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde ’l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa». 27 Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid’io allora tutto ’l ciel cosperso. 30 E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l’altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, 33 Letteratura italiana Einaudi 413 Dante Alighieri - Commedia così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che ’n ciel fue, quando patì la supprema possanza. 36 Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: 39 «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d’oro usata; 42 ma per acquisto d’esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. 45 Non fu nostra intenzion ch’a destra mano d’i nostri successor parte sedesse, parte da l’altra del popol cristiano; 48 né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; 51 né ch’io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond’io sovente arrosso e disfavillo. 54 In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? 57 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s’apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! 60 Ma l’alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com’io concipio; 63 e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch’io non ascondo». 66 Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l’aere nostro, quando ’l corno de la capra del ciel col sol si tocca, 69 Letteratura italiana Einaudi 414 Dante Alighieri - Commedia in sù vid’io così l’etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. 72 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti. 75 Onde la donna, che mi vide assolto de l’attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se’ vòlto». 78 Da l’ora ch’io avea guardato prima i’ vidi mosso me per tutto l’arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; 81 sì ch’io vedea di là da Gade il varco folle d’Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. 84 E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma ’l sol procedea sotto i mie’ piedi un segno e più partito. 87 La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea; 90 e se natura o arte fé pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, 93 tutte adunate, parrebber niente ver’ lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. 96 E la virtù che lo sguardo m’indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m’impulse. 99 Le parti sue vivissime ed eccelse sì uniforme son, ch’i’ non so dire qual Beatrice per loco mi scelse. 102 Ma ella, che vedea ’l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: 105 Letteratura italiana Einaudi 415 Dante Alighieri - Commedia «La natura del mondo, che quieta il mezzo e tutto l’altro intorno move, quinci comincia come da sua meta; 108 e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s’accende l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. 111 Luce e amor d’un cerchio lui comprende, sì come questo li altri; e quel precinto colui che ’l cinge solamente intende. 114 Non è suo moto per altro distinto, ma li altri son mensurati da questo, sì come diece da mezzo e da quinto; 117 e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto. 120 Oh cupidigia che i mortali affonde sì sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde! 123 Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continua converte in bozzacchioni le sosine vere. 126 Fede e innocenza son reperte solo ne’ parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte. 129 Tale, balbuziendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; 132 e tal, balbuziendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disia poi di vederla sepolta. 135 Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch’apporta mane e lascia sera. 138 Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che ’n terra non è chi governi; onde sì svia l’umana famiglia. 141 Letteratura italiana Einaudi 416 Dante Alighieri - Commedia Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch’è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, 144 che la fortuna che tanto s’aspetta, le poppe volgerà u’ son le prore, sì che la classe correrà diretta; 147 e vero frutto verrà dopo ’l fiore». Letteratura italiana Einaudi 417 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXVIII Poscia che ’ncontro a la vita presente d’i miseri mortali aperse ’l vero quella che ’mparadisa la mia mente, 3 come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n’alluma retro, prima che l’abbia in vista o in pensiero, 6 e sé rivolge per veder se ’l vetro li dice il vero, e vede ch’el s’accorda con esso come nota con suo metro; 9 così la mia memoria si ricorda ch’io feci riguardando ne’ belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. 12 E com’io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s’adocchi, 15 un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; 18 e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collòca. 21 Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che ’l dipigne quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, 24 distante intorno al punto un cerchio d’igne si girava sì ratto, ch’avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; 27 e questo era d’un altro circumcinto, e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. 30 Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che ’l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. 33 Letteratura italiana Einaudi 418 Dante Alighieri - Commedia Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno più tardo si movea, secondo ch’era in numero distante più da l’uno; 36 e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s’invera. 39 La donna mia, che mi vedea in cura forte sospeso, disse: «Da quel punto depende il cielo e tutta la natura. 42 Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che ’l suo muovere è sì tosto per l’affocato amore ond’elli è punto». 45 E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; 48 ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant’elle son dal centro più remote. 51 Onde, se ’l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo che solo amore e luce ha per confine, 54 udir convienmi ancor come l’essemplo e l’essemplare non vanno d’un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo». 57 «Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficienti, non è maraviglia: tanto, per non tentare, è fatto sodo!». 60 Così la donna mia; poi disse: «Piglia quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; e intorno da esso t’assottiglia. 63 Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e ’l men de la virtute che si distende per tutte lor parti. 66 Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s’elli ha le parti igualmente compiute. 69 Letteratura italiana Einaudi 419 Dante Alighieri - Commedia Dunque costui che tutto quanto rape l’altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape: 72 per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza de le sustanze che t’appaion tonde, 75 tu vederai mirabil consequenza di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a sua intelligenza». 78 Come rimane splendido e sereno l’emisperio de l’aere, quando soffia Borea da quella guancia ond’è più leno, 81 per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride con le bellezze d’ogne sua paroffia; 84 così fec’io, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide. 87 E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro. 90 L’incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che ’l numero loro più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. 93 Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. 96 E quella che vedea i pensier dubi ne la mia mente, disse: «I cerchi primi t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. 99 Così veloci seguono i suoi vimi, per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi. 102 Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che ’l primo ternaro terminonno; 105 Letteratura italiana Einaudi 420 Dante Alighieri - Commedia e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogne intelletto. 108 Quinci si può veder come si fonda l’essere beato ne l’atto che vede, non in quel ch’ama, che poscia seconda; 111 e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede. 114 L’altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Ariete non dispoglia, 117 perpetualemente ‘ Osanna’ sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s’interna. 120 In essa gerarcia son l’altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l’ordine terzo di Podestadi èe. 123 Poscia ne’ due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. 126 Questi ordini di sù tutti s’ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano. 129 E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com’io. 132 Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, sì tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sé medesmo rise. 135 E se tanto secreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch’ammiri; ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse 138 con altro assai del ver di questi giri». Letteratura italiana Einaudi 421 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXIX Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l’orizzonte insieme zona, 3 quant’è dal punto che ’l cenìt inlibra infin che l’uno e l’altro da quel cinto, cambiando l’emisperio, si dilibra, 6 tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Beatrice, riguardando fiso nel punto che m’avea vinto. 9 Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. 12 Non per aver a sé di bene acquisto, ch’esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, 15 in sua etternità di tempo fore, fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. 18 Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest’acque. 21 Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d’arco tricordo tre saette. 24 E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire a l’esser tutto non è intervallo, 27 così ’l triforme effetto del suo sire ne l’esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzione in essordire. 30 Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze; e quelle furon cima nel mondo in che puro atto fu produtto; 33 Letteratura italiana Einaudi 422 Dante Alighieri - Commedia pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime, che già mai non si divima. 36 Ieronimo vi scrisse lungo tratto di secoli de li angeli creati anzi che l’altro mondo fosse fatto; 39 ma questo vero è scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo, e tu te n’avvedrai se bene agguati; 42 e anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che ’ motori sanza sua perfezion fosser cotanto. 45 Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: sì che spenti nel tuo disio già son tre ardori. 48 Né giugneriesi, numerando, al venti sì tosto, come de li angeli parte turbò il suggetto d’i vostri alementi. 51 L’altra rimase, e cominciò quest’arte che tu discerni, con tanto diletto, che mai da circuir non si diparte. 54 Principio del cader fu il maladetto superbir di colui che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto. 57 Quelli che vedi qui furon modesti a riconoscer sé da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti: 60 per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto, si c’hanno ferma e piena volontate; 63 e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia è meritorio secondo che l’affetto l’è aperto. 66 Omai dintorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanz’altro aiutorio. 69 Letteratura italiana Einaudi 423 Dante Alighieri - Commedia Ma perché ’n terra per le vostre scole si legge che l’angelica natura è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, 72 ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che là giù si confonde, equivocando in sì fatta lettura. 75 Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: 78 però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso; 81 sì che là giù, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero; ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. 84 Voi non andate giù per un sentiero filosofando: tanto vi trasporta l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! 87 E ancor questo qua sù si comporta con men disdegno che quando è posposta la divina Scrittura o quando è torta. 90 Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo e quanto piace chi umilmente con essa s’accosta. 93 Per apparer ciascun s’ingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. 96 Un dice che la luna si ritorse ne la passion di Cristo e s’interpuose, per che ’l lume del sol giù non si porse; 99 e mente, ché la luce si nascose da sé: però a li Spani e a l’Indi come a’ Giudei tale eclissi rispuose. 102 Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi quante sì fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi; 105 Letteratura italiana Einaudi 424 Dante Alighieri - Commedia sì che le pecorelle, che non sanno, tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno. 108 Non disse Cristo al suo primo convento: ‘Andate, e predicate al mondo ciance’; ma diede lor verace fondamento; 111 e quel tanto sonò ne le sue guance, sì ch’a pugnar per accender la fede de l’Evangelio fero scudo e lance. 114 Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e più non si richiede. 117 Ma tale uccel nel becchetto s’annida, che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di ch’el si confida; 120 per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d’alcun testimonio, ad ogne promession si correrebbe. 123 Di questo ingrassa il porco sant’Antonio, e altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta sanza conio. 126 Ma perché siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada, sì che la via col tempo si raccorci. 129 Questa natura sì oltre s’ingrada in numero, che mai non fu loquela né concetto mortal che tanto vada; 132 e se tu guardi quel che si revela per Daniel, vedrai che ’n sue migliaia determinato numero si cela. 135 La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son li splendori a chi s’appaia. 138 Onde, però che a l’atto che concepe segue l’affetto, d’amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe. 141 Letteratura italiana Einaudi 425 Dante Alighieri - Commedia Vedi l’eccelso omai e la larghezza de l’etterno valor, poscia che tanti speculi fatti s’ha in che si spezza, 144 uno manendo in sé come davanti». Letteratura italiana Einaudi 426 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXX Forse semilia miglia di lontano ci ferve l’ora sesta, e questo mondo china già l’ombra quasi al letto piano, 3 quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, ch’alcuna stella perde il parere infino a questo fondo; 6 e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, così ’l ciel si chiude di vista in vista infino a la più bella. 9 Non altrimenti il triunfo che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, 12 a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a Beatrice nulla vedere e amor mi costrinse. 15 Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice. 18 La bellezza ch’io vidi si trasmoda non pur di là da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda. 21 Da questo passo vinto mi concedo più che già mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: 24 ché, come sole in viso che più trema, così lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema. 27 Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m’è il seguire al mio cantar preciso; 30 ma or convien che mio seguir desista più dietro a sua bellezza, poetando, come a l’ultimo suo ciascuno artista. 33 Letteratura italiana Einaudi 427 Dante Alighieri - Commedia Cotal qual io lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l’ardua sua matera terminando, 36 con atto e voce di spedito duce ricominciò: «Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: 39 luce intellettual, piena d’amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore. 42 Qui vederai l’una e l’altra milizia di paradiso, e l’una in quelli aspetti che tu vedrai a l’ultima giustizia». 45 Come sùbito lampo che discetti li spiriti visivi, sì che priva da l’atto l’occhio di più forti obietti, 48 così mi circunfulse luce viva, e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgor, che nulla m’appariva. 51 «Sempre l’amor che queta questo cielo accoglie in sé con sì fatta salute, per far disposto a sua fiamma il candelo». 54 Non fur più tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch’io compresi me sormontar di sopr’a mia virtute; 57 e di novella vista mi raccesi tale, che nulla luce è tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi; 60 e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera. 63 Di tal fiumana uscian faville vive, e d’ogne parte si mettìen ne’ fiori, quasi rubin che oro circunscrive; 66 poi, come inebriate da li odori, riprofondavan sé nel miro gurge; e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. 69 Letteratura italiana Einaudi 428 Dante Alighieri - Commedia «L’alto disio che mo t’infiamma e urge, d’aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge; 72 ma di quest’acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si sazi»: così mi disse il sol de li occhi miei. 75 Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe son di lor vero umbriferi prefazi. 78 Non che da sé sian queste cose acerbe; ma è difetto da la parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe». 81 Non è fantin che sì sùbito rua col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l’usanza sua, 84 come fec’io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a l’onda che si deriva perché vi s’immegli; 87 e sì come di lei bevve la gronda de le palpebre mie, così mi parve di sua lunghezza divenuta tonda. 90 Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve, 93 così mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, sì ch’io vidi ambo le corti del ciel manifeste. 96 O isplendor di Dio, per cu’ io vidi l’alto triunfo del regno verace, dammi virtù a dir com’io il vidi! 99 Lume è là sù che visibile face lo creatore a quella creatura che solo in lui vedere ha la sua pace. 102 E’ si distende in circular figura, in tanto che la sua circunferenza sarebbe al sol troppo larga cintura. 105 Letteratura italiana Einaudi 429 Dante Alighieri - Commedia Fassi di raggio tutta sua parvenza reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza. 108 E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi addorno, quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, 111 sì, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in più di mille soglie quanto di noi là sù fatto ha ritorno. 114 E se l’infimo grado in sé raccoglie sì grande lume, quanta è la larghezza di questa rosa ne l’estreme foglie! 117 La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e ’l quale di quella allegrezza. 120 Presso e lontano, lì, né pon né leva: ché dove Dio sanza mezzo governa, la legge natural nulla rileva. 123 Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna, 126 qual è colui che tace e dicer vole, mi trasse Beatrice, e disse: «Mira quanto è ’l convento de le bianche stole! 129 Vedi nostra città quant’ella gira; vedi li nostri scanni sì ripieni, che poca gente più ci si disira. 132 E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che già v’è sù posta, prima che tu a queste nozze ceni, 135 sederà l’alma, che fia giù agosta, de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia verrà in prima ch’ella sia disposta. 138 La cieca cupidigia che v’ammalia simili fatti v’ha al fantolino che muor per fame e caccia via la balia. 141 Letteratura italiana Einaudi 430 Dante Alighieri - Commedia E fia prefetto nel foro divino allora tal, che palese e coverto non anderà con lui per un cammino. 144 Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo officio; ch’el sarà detruso là dove Simon mago è per suo merto, 147 e farà quel d’Alagna intrar più giuso». Letteratura italiana Einaudi 431 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXI In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; 3 ma l’altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la ’nnamora e la bontà che la fece cotanta, 6 sì come schiera d’ape, che s’infiora una fiata e una si ritorna là dove suo laboro s’insapora, 9 nel gran fior discendeva che s’addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove ’l suo amor sempre soggiorna. 12 Le facce tutte avean di fiamma viva, e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva. 15 Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l’ardore ch’elli acquistavan ventilando il fianco. 18 Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: 21 ché la luce divina è penetrante per l’universo secondo ch’è degno, sì che nulla le puote essere ostante. 24 Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. 27 O trina luce, che ’n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! 30 Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d’Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond’ella è vaga, 33 Letteratura italiana Einaudi 432 Dante Alighieri - Commedia veggendo Roma e l’ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra; 36 io, che al divino da l’umano, a l’etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano 39 di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e ’l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto. 42 E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com’ello stea, 45 su per la viva luce passeggiando, menava io li occhi per li gradi, mo sù, mo giù e mo recirculando. 48 Vedea visi a carità suadi, d’altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi. 51 La forma general di paradiso già tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; 54 e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. 57 Uno intendea, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose. 60 Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene. 63 E «Ov’è ella?», sùbito diss’io. Ond’elli: «A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio; 66 e se riguardi sù nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro». 69 Letteratura italiana Einaudi 433 Dante Alighieri - Commedia Sanza risponder, li occhi sù levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da sé li etterni rai. 72 Da quella region che più sù tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s’abbandona, 75 quanto lì da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, ché sua effige non discendea a me per mezzo mista. 78 «O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige, 81 di tante cose quant’i’ ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute. 84 Tu m’hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tutt’i modi che di ciò fare avei la potestate. 87 La tua magnificenza in me custodi, sì che l’anima mia, che fatt’hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi». 90 Così orai; e quella, sì lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò a l’etterna fontana. 93 E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, 96 vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t’acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. 99 E la regina del cielo, ond’io ardo tutto d’amor, ne farà ogne grazia, però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». 102 Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l’antica fame non sen sazia, 105 Letteratura italiana Einaudi 434 Dante Alighieri - Commedia ma dice nel pensier, fin che si mostra: ‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra?’; 108 tal era io mirando la vivace carità di colui che ’n questo mondo, contemplando, gustò di quella pace. 111 «Figliuol di grazia, quest’esser giocondo», cominciò elli, «non ti sarà noto, tenendo li occhi pur qua giù al fondo; 114 ma guarda i cerchi infino al più remoto, tanto che veggi seder la regina cui questo regno è suddito e devoto». 117 Io levai li occhi; e come da mattina la parte oriental de l’orizzonte soverchia quella dove ’l sol declina, 120 così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l’altra fronte. 123 E come quivi ove s’aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, 126 così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte per igual modo allentava la fiamma; 129 e a quel mezzo, con le penne sparte, vid’io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d’arte. 132 Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; 135 e s’io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. 138 Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei, 141 che ’ miei di rimirar fé più ardenti. Letteratura italiana Einaudi 435 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXII Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante: 3 «La piaga che Maria richiuse e unse, quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi è colei che l’aperse e che la punse. 6 Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Beatrice, sì come tu vedi. 9 Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse ‘ Miserere mei’, 12 puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com’io ch’a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia. 15 E dal settimo grado in giù, sì come infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome; 18 perché, secondo lo sguardo che fée la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee. 21 Da questa parte onde ’l fiore è maturo di tutte le sue foglie, sono assisi quei che credettero in Cristo venturo; 24 da l’altra parte onde sono intercisi di vòti i semicirculi, si stanno quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. 27 E come quinci il glorioso scanno de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno, 30 così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo ’l diserto e ’l martiro sofferse, e poi l’inferno da due anni; 33 Letteratura italiana Einaudi 436 Dante Alighieri - Commedia e sotto lui così cerner sortiro Francesco, Benedetto e Augustino e altri fin qua giù di giro in giro. 36 Or mira l’alto proveder divino: ché l’uno e l’altro aspetto de la fede igualmente empierà questo giardino. 39 E sappi che dal grado in giù che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede, 42 ma per l’altrui, con certe condizioni: ché tutti questi son spiriti ascolti prima ch’avesser vere elezioni. 45 Ben te ne puoi accorger per li volti e anche per le voci puerili, se tu li guardi bene e se li ascolti. 48 Or dubbi tu e dubitando sili; ma io discioglierò ’l forte legame in che ti stringon li pensier sottili. 51 Dentro a l’ampiezza di questo reame casual punto non puote aver sito, se non come tristizia o sete o fame: 54 ché per etterna legge è stabilito quantunque vedi, sì che giustamente ci si risponde da l’anello al dito; 57 e però questa festinata gente a vera vita non è sine causa intra sé qui più e meno eccellente. 60 Lo rege per cui questo regno pausa in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa, 63 le menti tutte nel suo lieto aspetto creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l’effetto. 65 E ciò espresso e chiaro vi si nota ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l’ira commota. 68 Letteratura italiana Einaudi 437 Dante Alighieri - Commedia Però, secondo il color d’i capelli, di cotal grazia l’altissimo lume degnamente convien che s’incappelli. 72 Dunque, sanza mercé di lor costume, locati son per gradi differenti, sol differendo nel primiero acume. 75 Bastavasi ne’ secoli recenti con l’innocenza, per aver salute, solamente la fede d’i parenti; 78 poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a l’innocenti penne per circuncidere acquistar virtute; 81 ma poi che ’l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza là giù si ritenne. 84 Riguarda omai ne la faccia che a Cristo più si somiglia, ché la sua chiarezza sola ti può disporre a veder Cristo». 87 Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, 90 che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante; 93 e quello amor che primo lì discese, cantando ‘ Ave, Maria, gratia plena’, dinanzi a lei le sue ali distese. 96 Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, sì ch’ogne vista sen fé più serena. 99 «O santo padre, che per me comporte l’esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, 102 qual è quell’angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato sì che par di foco?». 105 Letteratura italiana Einaudi 438 Dante Alighieri - Commedia Così ricorsi ancora a la dottrina di colui ch’abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina. 108 Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria quant’esser puote in angelo e in alma, tutta è in lui; e sì volem che sia, 111 perch’elli è quelli che portò la palma giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma. 114 Ma vieni omai con li occhi sì com’io andrò parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio. 117 Quei due che seggon là sù più felici per esser propinquissimi ad Augusta, son d’esta rosa quasi due radici: 120 colui che da sinistra le s’aggiusta è il padre per lo cui ardito gusto l’umana specie tanto amaro gusta; 123 dal destro vedi quel padre vetusto di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi raccomandò di questo fior venusto. 126 E quei che vide tutti i tempi gravi, pria che morisse, de la bella sposa che s’acquistò con la lancia e coi clavi, 129 siede lungh’esso, e lungo l’altro posa quel duca sotto cui visse di manna la gente ingrata, mobile e retrosa. 132 Di contr’a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia, che non move occhio per cantare osanna; 135 e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna, quando chinavi, a rovinar, le ciglia. 138 Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna, qui farem punto, come buon sartore che com’elli ha del panno fa la gonna; 141 Letteratura italiana Einaudi 439 Dante Alighieri - Commedia e drizzeremo li occhi al primo amore, sì che, guardando verso lui, penètri quant’è possibil per lo suo fulgore. 144 Veramente, ne forse tu t’arretri movendo l’ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s’impetri 147 grazia da quella che puote aiutarti; e tu mi seguirai con l’affezione, sì che dal dicer mio lo cor non parti». 150 E cominciò questa santa orazione: Letteratura italiana Einaudi 440 Dante Alighieri - Commedia CANTO XXXIII «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, 3 tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. 6 Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore. 9 Qui se’ a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali, se’ di speranza fontana vivace. 12 Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz’ali. 15 La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. 18 In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate. 21 Or questi, che da l’infima lacuna de l’universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, 24 supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l’ultima salute. 27 E io, che mai per mio veder non arsi più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30 perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co’ prieghi tuoi, sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 33 Letteratura italiana Einaudi 441 Dante Alighieri - Commedia Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. 36 Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 39 Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l’orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; 42 indi a l’etterno lume s’addrizzaro, nel qual non si dee creder che s’invii per creatura l’occhio tanto chiaro. 45 E io ch’al fine di tutt’i disii appropinquava, sì com’io dovea, l’ardor del desiderio in me finii. 48 Bernardo m’accennava, e sorridea, perch’io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: 51 ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l’alta luce che da sé è vera. 54 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. 57 Qual è colui che sognando vede, che dopo ’l sogno la passione impressa rimane, e l’altro a la mente non riede, 60 cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. 63 Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. 66 O somma luce che tanto ti levi da’ concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, 69 Letteratura italiana Einaudi 442 Dante Alighieri - Commedia e fa la lingua mia tanto possente, ch’una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; 72 ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. 75 Io credo, per l’acume ch’io soffersi del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. 78 E’ mi ricorda ch’io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi l’aspetto mio col valore infinito. 81 Oh abbondante grazia ond’io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! 84 Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: 87 sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. 90 La forma universal di questo nodo credo ch’i’ vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 93 Un punto solo m’è maggior letargo che venticinque secoli a la ’mpresa, che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 96 Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. 99 A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; 102 però che ’l ben, ch’è del volere obietto, tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch’è lì perfetto. 105 Letteratura italiana Einaudi 443 Dante Alighieri - Commedia Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. 108 Non perché più ch’un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch’io mirava, che tal è sempre qual s’era davante; 111 ma per la vista che s’avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom’io, a me si travagliava. 114 Ne la profonda e chiara sussistenza de l’alto lume parvermi tre giri di tre colori e d’una contenenza; 117 e l’un da l’altro come iri da iri parea reflesso, e ’l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. 120 Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. 123 O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! 126 Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, 129 dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che ’l mio viso in lei tutto era messo. 132 Qual è ’l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige, 135 tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’indova; 138 ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. 141 Letteratura italiana Einaudi 444 Dante Alighieri - Commedia A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, 144 l’amor che move il sole e l’altre stelle. Letteratura italiana Einaudi 445 Document Outline Commedia Sommario Inferno Canto I Canto II Canto III Canto IV Canto V Canto VI Canto VII Canto VIII Canto IX Canto X Canto XI Canto XII Canto XIII Canto XIV Canto XV Canto XVI Canto XVII Canto XVIII Canto XIX Canto XX Canto XXI Canto XXII Canto XXIII Canto XXIV Canto XXV Canto XXVI Canto XXVII Canto XXVIII Canto XXIX Canto XXX Canto XXXI Canto XXXII Canto XXXIII Canto XXXIV Purgatorio Canto I Canto II Canto III Canto IV Canto V Canto VI Canto VII Canto VIII Canto IX Canto X Canto XI Canto XII Canto XIII Canto XIV Canto XV Canto XVI Canto XVII Canto XVIII Canto XIX Canto XX Canto XXI Canto XXII Canto XXIII Canto XXIV Canto XXV Canto XXVI Canto XXVII Canto XXVIII Canto XXIX Canto XXX Canto XXXI Canto XXXII Canto XXXIII Paradiso Canto I Canto II Canto III Canto IV Canto V Canto VI Canto VII Canto VIII Canto IX Canto X Canto XI Canto XII Canto XIII Canto XIV Canto XV Canto XVI Canto XVII Canto XVIII Canto XIX Canto XX Canto XXI Canto XXII Canto XXIII Canto XXIV Canto XXV Canto XXVI Canto XXVII Canto XXVIII Canto XXIX Canto XXX Canto XXXI Canto XXXII Canto XXXIII