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Feb 6, 2019

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giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che punge a guaio. 3 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia. 6 Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata 9 vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. 15 «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio, 18 «guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? 21 Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 24 Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. 27 Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. 30 La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. 33 Letteratura italiana Einaudi 18 Dante Alighieri - Commedia Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. 36 Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 39 E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali 42 di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. 45 E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, 48 ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?». 51 «La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle. 54 A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. 57 Ell’è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge. 60 L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussuriosa. 63 Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo. 66 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille. 69 Letteratura italiana Einaudi 19 Dante Alighieri - Commedia Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72 I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri». 75 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78 Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!». 81 Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate; 84 cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettuoso grido. 87 «O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90 se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 93 Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96 Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui. 99 Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 102 Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105 Letteratura italiana Einaudi 20 Dante Alighieri - Commedia Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. 108 Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». 111 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». 114 Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117 Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». 120 E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. 123 Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto dirò come colui che piange e dice. 126 Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132 Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, 135 la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». 138 Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse. 141 E caddi come corpo morto cade. Letteratura italiana Einaudi 21 Dante Alighieri - Commedia CANTO VI Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pietà d’i due cognati, che di trestizia tutto mi confuse, 3 novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch’io mi mova e ch’io mi volga, e come che io guati. 6 Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova. 9 Grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aere tenebroso si riversa; pute la terra che questo riceve. 12 Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. 15 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ’l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti, iscoia ed isquatra. 18 Urlar li fa la pioggia come cani; de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. 21 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo. 24 E ’l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne. 27 Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, e si racqueta poi che ’l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna, 30 cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che ’ntrona l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. 33 Letteratura italiana Einaudi 22 Dante Alighieri - Commedia Noi passavam su per l’ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante sovra lor vanità che par persona. 36 Elle giacean per terra tutte quante, fuor d’una ch’a seder si levò, ratto ch’ella ci vide passarsi davante. 39 «O tu che se’ per questo ’nferno tratto», mi disse, «riconoscimi, se sai: tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto». 42 E io a lui: «L’angoscia che tu hai forse ti tira fuor de la mia mente, sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. 45 Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente loco se’ messo e hai sì fatta pena, che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente». 48 Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. 51 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. 54 E io anima trista non son sola, ché tutte queste a simil pena stanno per simil colpa». E più non fé parola. 57 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno 60 li cittadin de la città partita; s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione per che l’ha tanta discordia assalita». 63 E quelli a me: «Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l’altra con molta offensione. 66 Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l’altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. 69 Letteratura italiana Einaudi 23 Dante Alighieri - Commedia Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l’altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n’aonti. 72 Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi». 75 Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni, e che di più parlar mi facci dono. 78 Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, 81 dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; ché gran disio mi stringe di savere se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca». 84 E quelli: «Ei son tra l’anime più nere: diverse colpe giù li grava al fondo: se tanto scendi, là i potrai vedere. 87 Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch’a la mente altrui mi rechi: più non ti dico e più non ti rispondo». 90 Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco, e poi chinò la testa: cadde con essa a par de li altri ciechi. 93 E ’l duca disse a me: «Più non si desta di qua dal suon de l’angelica tromba, quando verrà la nimica podesta: 96 ciascun rivederà la trista tomba, ripiglierà sua carne e sua figura, udirà quel ch’in etterno rimbomba». 99 Sì trapassammo per sozza mistura de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura; 102 per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti crescerann’ei dopo la gran sentenza, o fier minori, o saran sì cocenti?». 105 Letteratura italiana Einaudi 24 Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza, che vuol, quanto la cosa è più perfetta, più senta il bene, e così la doglienza. 108 Tutto che questa gente maladetta in vera perfezion già mai non vada, di là più che di qua essere aspetta». 111 Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando più assai ch’i’ non ridico; venimmo al punto dove si digrada: 114 quivi trovammo Pluto, il gran nemico. Letteratura italiana Einaudi 25 Dante Alighieri - Commedia CANTO VII « Pape Satàn, pape Satàn aleppe! », cominciò Pluto con la voce chioccia; e quel savio gentil, che tutto seppe, 3 disse per confortarmi: «Non ti noccia la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, non ci torrà lo scender questa roccia». 6 Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia, e disse: «Taci, maladetto lupo! consuma dentro te con la tua rabbia. 9 Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi ne l’alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo». 12 Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca, tal cadde a terra la fiera crudele.