Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129
tal mi fec’io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch’i’ cominciai come persona franca: 132
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!
135
Tu m’hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto.
138
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue, 141
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Letteratura italiana Einaudi
8
Dante Alighieri - Commedia CANTO III
«PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE,
PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE,
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.
3
GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE: FECEMI LA DIVINA PODESTATE,
LA SOMMA SAPIENZA E ’L PRIMO AMORE.
6
DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE
SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO.
LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE».
9
Queste parole di colore oscuro
vid’io scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
12
Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.
15
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
18
E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose.
21
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
24
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle 27
facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.
30
E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».
33
Letteratura italiana Einaudi
9
Dante Alighieri - Commedia Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
36
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
39
Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».
42
E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor, che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.
45
Questi non hanno speranza di morte
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte.
48
Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
51
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna che girando correva tanto ratta,
che d’ogne posa mi parea indegna;
54
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.
57
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
60
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
63
Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
66
Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto.
69
Letteratura italiana Einaudi
10
Dante Alighieri - Commedia E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d’un gran fiume; per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi 72
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com’io discerno per lo fioco lume».
75
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d’Acheronte».
78
Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no ’l mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi.
81
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave!
84
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
87
E tu che se’ costì, anima viva
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90
disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti».
93
E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
96
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
99
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude.
102
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti.
105
Letteratura italiana Einaudi
11
Dante Alighieri - Commedia Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
108
Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia.
111
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, 114
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo.
117
Così sen vanno su per l’onda bruna, e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’auna.
120
«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l’ira di Dio
tutti convegnon qui d’ogne paese:
123
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.
126
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
129
Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
132
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento; 135
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
Letteratura italiana Einaudi
12
Dante Alighieri - Commedia CANTO IV
Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta;
3
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi.
6
Vero è che ’n su la proda mi trovai de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
9
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa.
12
«Or discendiam qua giù nel cieco mondo», cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
15
E io, che del color mi fui accorto, dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
18
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà che tu per tema senti.
21
Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
24
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri, che l’aura etterna facevan tremare; 27
ciò avvenia di duol sanza martìri
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, d’infanti e di femmine e di viri.
30
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33
Letteratura italiana Einaudi
13
Dante Alighieri - Commedia ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi; 36
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
39
Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi, che sanza speme vivemo in disio».
42
Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, però che gente di molto valore
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
45
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», comincia’ io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore: 48
«uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 51
rispuose: «Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
54
Trasseci l’ombra del primo parente, d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moisè legista e ubidente;
57
Abraàm patriarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé;
60
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati».
63
Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
66
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco ch’emisperio di tenebre vincia.
69
Letteratura italiana Einaudi
14
Dante Alighieri - Commedia Di lungi n’eravamo ancora un poco,
ma non sì ch’io non discernessi in parte ch’orrevol gente possedea quel loco.
72
«O tu ch’onori scienzia e arte,
questi chi son c’hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?».
75
E quelli a me: «L’onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita, grazia acquista in ciel che sì li avanza».
78
Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l’altissimo poeta:
l’ombra sua torna, ch’era dipartita».
81
Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand’ombre a noi venire: sembianz’avevan né trista né lieta.
84
Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sì come sire: 87
quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
90
Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene».
93
Così vid’i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto che sovra li altri com’aquila vola.
96
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno,
e ’l mio maestro sorrise di tanto;
99
e più d’onore ancora assai mi fenno, ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
102
Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che ’l tacere è bello, sì com’era ’l parlar colà dov’era.
105
Letteratura italiana Einaudi
15
Dante Alighieri - Commedia Venimmo al piè d’un nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello.
108
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura.
111
Genti v’eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne’ lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi.
114
Traemmoci così da l’un de’ canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti.
117
Colà diritto, sovra ’l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m’essalto.
120
I’ vidi Eletra con molti compagni,
tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
123
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l’altra parte, vidi ’l re Latino che con Lavina sua figlia sedea.
126
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia; e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
129
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, vidi ’l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
132
Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’io Socrate e Platone,
che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; 135
Democrito, che ’l mondo a caso pone, Diogenés, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
138
e vidi il buono accoglitor del quale, Diascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
141
Letteratura italiana Einaudi
16
Dante Alighieri - Commedia Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che ’l gran comento feo.
144
Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno.
147
La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l’aura che trema.
150
E vegno in parte ove non è che luca.
Letteratura italiana Einaudi
17
Dante Alighieri - Commedia CANTO V
Così discesi del cerchio primaio