Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
3
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
6
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
9
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
12
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
15
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
18
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m'era durata
21
la notte ch'i' passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
24
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
27
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
30
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
3
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
33
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
36
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
39
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
42
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
45
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
48
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
51
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
54
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
57
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
60
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
63
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
« Miserere di me», gridai a lui,
66
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
69
mantoani per patrïa ambedui.
4
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
72
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
75
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
78
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
81
rispuos' io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
84
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
87
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
90
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
93
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
96
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
99
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
102
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
105
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
108
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
5
Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
111
là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
114
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
117
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
120
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
123
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là sù regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
126
non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l'alto seggio:
129
oh felice colui cu' ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
132
a ciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov' or dicesti,
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
135
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
6
CANTO II
[Canto secondo de la prima parte ne la quale fa proemio a la prima cantica cioè a la prima parte di questo libro solamente, e in questo canto tratta l'auttore come trovò Virgilio, il quale il fece sicuro del cammino per le tre donne che di lui aveano cura ne la corte del cielo.]
Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
3
da le fatiche loro; e io sol uno
m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
6
che ritrarrà la mente che non erra.
O muse, o alto ingegno, or m'aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
9
qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s'ell' è possente,
12
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.
Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
15
secolo andò, e fu sensibilmente.
Però, se l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
18
ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale
non pare indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
21
ne l'empireo ciel per padre eletto:
la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
24
u' siede il successor del maggior Piero.
Per quest' andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
27
di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezïone,
per recarne conforto a quella fede
30
ch'è principio a la via di salvazione.
Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
33
me degno a ciò né io né altri 'l crede.
7
Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
36
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono».
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
39
sì che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec' ïo 'n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la 'mpresa
42
che fu nel cominciar cotanto tosta.
«S'i' ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell' ombra,
45
«l'anima tua è da viltade offesa;
la qual molte fïate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
48
come falso veder bestia quand' ombra.
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch' io venni e quel ch'io 'ntesi
51
nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
54
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
57
con angelica voce, in sua favella:
"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
60
e durerà quanto 'l mondo lontana,
l'amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
63
sì nel cammin, che vòlt' è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
66
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c'ha mestieri al suo campare,
69
l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata.
I' son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
72
amor mi mosse, che mi fa parlare.
8
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
75
Tacette allora, e poi comincia' io:
"O donna di virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
78
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,
tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
81
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
84
de l'ampio loco ove tornar tu ardi".
"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
87
"perch' i' non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
c'hanno potenza di fare altrui male;
90
de l'altre no, ché non son paurose.
I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
93
né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.
Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov' io ti mando,
96
sì che duro giudicio là sù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: — Or ha bisogno il tuo fedele
99
di te, e io a te lo raccomando —.
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov' i' era,
102
che mi sedea con l'antica Rachele.
Disse: — Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t'amò tanto,
105
ch'uscì per te de la volgare schiera?
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che 'l combatte
108
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? —.
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
111
com' io, dopo cotai parole fatte,
9
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
114
ch'onora te e quei ch'udito l'hanno".
Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
117
per che mi fece del venir più presto.
E venni a te così com' ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
120
che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque: che è? perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
123
perché ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
126
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?».
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,
129
si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec' io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
132
ch'i' cominciai come persona franca:
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
135
a le vere parole che ti porse!
Tu m'hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
138
ch'i' son tornato nel primo proposto.
Or va, ch'un sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro».
141
Così li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.
10
CANTO III
[Canto terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l'auttore; e tocca qui questo vizio ne la persona di papa Cilestino.]
'Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
3
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
6
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
9
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'.
Queste parole di colore oscuro
vid' ïo scritte al sommo d'una porta;
12
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».
Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
15
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
18
c'hanno perduto il ben de l'intelletto».
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond' io mi confortai,
21
mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
24
per ch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
27
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell' aura sanza tempo tinta,
30
come la rena quando turbo spira.
E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
33
e che gent' è che par nel duol sì vinta?».
11
Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
36
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
39
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
42
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».
E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?».
45
Rispuose: «Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
48
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
51
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
54
che d'ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
57
che morte tanta n'avesse disfatta.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
60
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
63
a Dio spiacenti e a' nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
66
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
69
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
72
per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi
12
ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
75
com' i' discerno per lo fioco lume».
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
78
su la trista riviera d'Acheronte».
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
81
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
84
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
87
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
90
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
93
più lieve legno convien che ti porti».
E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
96
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
99
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
102
ratto che 'nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
105
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
108
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
111
batte col remo qualunque s'adagia.
13
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
114
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
117
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
120
anche di qua nuova schiera s'auna.
«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l'ira di Dio
123
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
126
sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
129
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».
Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
132
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
135
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia.
14
CANTO IV
[Canto quarto, nel quale mostra del primo cerchio de l'inferno, luogo detto Limbo, e quivi tratta de la pena de' non battezzati e de' valenti uomini, li quali moriron innanzi l'avvenimento di Gesù Cristo e non conobbero debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di questo luogo molte anime.]
Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch'io mi riscossi
3
come persona ch'è per forza desta;
e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
6
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
9
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
12
io non vi discernea alcuna cosa.
«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
15
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
18
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
21
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
24
nel primo cerchio che l'abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
27
che l'aura etterna facevan tremare;
ciò avvenia di duol sanza martìri,
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
30
d'infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
15
33
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
36
ch'è porta de la fede che tu credi;
e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
39
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
42
che sanza speme vivemo in disio».
Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
però che gente di molto valore
45
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia' io per volere esser certo
48
di quella fede che vince ogne errore:
«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
51
E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
54
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l'ombra del primo parente,
d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
57
di Moïsè legista e ubidente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co' suoi nati
60
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
63
spiriti umani non eran salvati».
Non lasciavam l'andar perch' ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
66
la selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand' io vidi un foco
69
ch'emisperio di tenebre vincia.
Di lungi n'eravamo ancora un poco,
ma non sì ch'io non discernessi in parte
16
72
ch'orrevol gente possedea quel loco.
«O tu ch'onori scïenzïa e arte,
questi chi son c'hanno cotanta onranza,
75
che dal modo de li altri li diparte?».
E quelli a me: «L'onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
78
grazïa acquista in ciel che sì li avanza».
Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l'altissimo poeta;
81
l'ombra sua torna, ch'era dipartita».
Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand' ombre a noi venire:
84
sembianz' avevan né trista né lieta.
Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
87
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
quelli è Omero poeta sovrano;
l'altro è Orazio satiro che vene;
90
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
93
fannomi onore, e di ciò fanno bene».
Così vid' i' adunar la bella scola
di quel segnor de l'altissimo canto
96
che sovra li altri com' aquila vola.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
99
e 'l mio maestro sorrise di tanto;
e più d'onore ancora assai mi fenno,
ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
102
sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che 'l tacere è bello,
105
sì com' era 'l parlar colà dov' era.
Venimmo al piè d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
108
difeso intorno d'un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
17
111
giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne' lor sembianti:
114
parlavan rado, con voci soavi.
Traemmoci così da l'un de' canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
117
sì che veder si potien tutti quanti.
Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
120
che del vedere in me stesso m'essalto.
I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
123
Cesare armato con li occhi grifagni.
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte vidi 'l re Latino
126
che con Lavina sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
129
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
132
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid' ïo Socrate e Platone,
135
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
Democrito che 'l mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora e Tale,
138
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale,
Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
141
Tulïo e Lino e Seneca morale;
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
144
Averoìs, che 'l gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
147
che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
18
150
fuor de la queta, ne l'aura che trema.
E vegno in parte ove non è che luca.
19
CANTO V
[Canto quinto, nel quale mostra del secondo cerchio de l'inferno, e tratta de la pena del vizio de la lussuria ne la persona di più famosi gentili uomini.]
Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
3
e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
6
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
9
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
12
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
15
dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
18
lasciando l'atto di cotanto offizio,
«guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
21
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
24
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
27
là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
30
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
33
voltando e percotendo li molesta.
20
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
36
bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
39
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
42
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
45
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
48
così vid' io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
51
genti che l'aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
54
«fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
57
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
60
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
63
poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
66
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
69
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
72
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
21
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
75
e paion sì al vento esser leggieri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
78
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
81
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
84
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
87
sì forte fu l'affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
90
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
93
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
96
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
99
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
102
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
105
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
108
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
111
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
22
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
114
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
117
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
120
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
123
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
126
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
129
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
132
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
135
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
138
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
141
io venni men così com' io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
23
CANTO VI
[Canto sesto, nel quale mostra del terzo cerchio de l'inferno e tratta del punimento del vizio de la gola, e massimamente in persona d'un fiorentino chiamato Ciacco; in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio Cerbero e narra in forma di predicere più cose a divenire a la città di Fiorenza.]
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
3
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
6
e ch'io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
9
regola e qualità mai non l'è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
12
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
15
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
18
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
21
volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
24
non avea membro che tenesse fermo.
E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
27
la gittò dentro a le bramose canne.
Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
30
ché solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
24
33
l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
36
sovra lor vanità che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
39
ch'ella ci vide passarsi davante.
«O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
mi disse, «riconoscimi, se sai:
42
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».
E io a lui: «L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
45
sì che non par ch'i' ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
loco se' messo, e hai sì fatta pena,
48
che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente».
Ed elli a me: «La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
51
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
54
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
57
per simil colpa». E più non fé parola.
Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
60
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
63
per che l'ha tanta discordia assalita».
E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
66
caccerà l'altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
69
con la forza di tal che testé piaggia.
Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
25
72
come che di ciò pianga o che n'aonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
75
le tre faville c'hanno i cuori accesi».
Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni
78
e che di più parlar mi facci dono.
Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
81
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
84
se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca».
E quelli: «Ei son tra l'anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
87
se tanto scendi, là i potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
90
più non ti dico e più non ti rispondo».
Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
93
cadde con essa a par de li altri ciechi.
E 'l duca disse a me: «Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
96
quando verrà la nimica podesta:
ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
99
udirà quel ch'in etterno rimbomba».
Sì trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
102
toccando un poco la vita futura;
per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
crescerann' ei dopo la gran sentenza,
105
o fier minori, o saran sì cocenti?».
Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
108
più senta il bene, e così la doglienza.
Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
26
111
di là più che di qua essere aspetta».
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'i' non ridico;
114
venimmo al punto dove si digrada:
quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
27
CANTO VII
[Canto settimo, dove si dimostra del quarto cerchio de l'inferno e alquanto del quinto; qui pone la pena del peccato de l'avarizia e del vizio de la prodigalità; e del dimonio Pluto; e quello che è fortuna.]
« Pape Satàn, pape Satàn aleppe! »,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
3
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
6
non ci torrà lo scender questa roccia».
Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
e disse: «Taci, maladetto lupo!
9
consuma dentro te con la tua rabbia.
Non è sanza cagion l'andare al cupo:
vuolsi ne l'alto, là dove Michele
12
fé la vendetta del superbo strupo».
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
15
tal cadde a terra la fiera crudele.
Così scendemmo ne la quarta lacca,
pigliando più de la dolente ripa
18
che 'l mal de l'universo tutto insacca.
Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
nove travaglie e pene quant' io viddi?
21
e perché nostra colpa sì ne scipa?
Come fa l'onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa,
24
così convien che qui la gente riddi.
Qui vid' i' gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand' urli,
27
voltando pesi per forza di poppa.
Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
30
gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
Così tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l'opposito punto,
33
gridandosi anche loro ontoso metro;
28
poi si volgea ciascun, quand' era giunto,
per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
36
E io, ch'avea lo cor quasi compunto,
dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
39
questi chercuti a la sinistra nostra».
Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
sì de la mente in la vita primaia,
42
che con misura nullo spendio ferci.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia,
quando vegnono a' due punti del cerchio
45
dove colpa contraria li dispaia.
Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
48
in cui usa avarizia il suo soperchio».
E io: «Maestro, tra questi cotali
dovre' io ben riconoscere alcuni
51
che furo immondi di cotesti mali».
Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi,
54
ad ogne conoscenza or li fa bruni.
In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
57
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
60
qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
d'i ben che son commessi a la fortuna,
63
per che l'umana gente si rabuffa;
ché tutto l'oro ch'è sotto la luna
e che già fu, di quest' anime stanche
66
non poterebbe farne posare una».
«Maestro mio», diss' io, «or mi dì anche:
questa fortuna di che tu mi tocche,
69
che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
E quelli a me: «Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v'offende!
72
Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.
29
Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
75
sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende,
distribuendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor mondani
78
ordinò general ministra e duce
che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
81
oltre la difension d'i senni umani;
per ch'una gente impera e l'altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
84
che è occulto come in erba l'angue.
Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
87
suo regno come il loro li altri dèi.
Le sue permutazion non hanno triegue:
necessità la fa esser veloce;
90
sì spesso vien chi vicenda consegue.
Quest' è colei ch'è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
93
dandole biasmo a torto e mala voce;
ma ella s'è beata e ciò non ode:
con l'altre prime creature lieta
96
volve sua spera e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior pieta;
già ogne stella cade che saliva
99
quand' io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».
Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
sovr' una fonte che bolle e riversa
102
per un fossato che da lei deriva.
L'acqua era buia assai più che persa;
e noi, in compagnia de l'onde bige,
105
intrammo giù per una via diversa.
In la palude va c'ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand' è disceso
108
al piè de le maligne piagge grige.
E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
111
ignude tutte, con sembiante offeso.
30
Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
114
troncandosi co' denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
117
e anche vo' che tu per certo credi
che sotto l'acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest' acqua al summo,
120
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,